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La sfida necessaria della sinistra riformista al governo Conte – Di Maio – Salvini e ai populismi

Nonostante il braccio di ferro sul ministro dell’Economia non ancora risolto tutto lascia intendere che nel fine settimana sabato o al più tardi domenica il Governo Conte-Di Maio-Salvini giurerà, segnando una significativa e altrettanto preoccupante politica. La domanda è a questo punto questa: la sinistra riformista sfiderà (si intende politicamente) il nuova governo e soprattutto la sua sfida sarà all’altezza della situazione?

Quanto accaduto finora non induce all’ottimismo. Dopo la durissima sconfitta elettorale una parte della sinistra (quella che aveva condotto baldanzosamente la campagna elettorale del Pd) non ha trovato di meglio che dire: ora noi andiamo all’opposizione perchè è lì che ci hanno mandato gli elettori. Per questo governare spetterà a “loro“. Come dire: più che una sfida una dichiarazione di rassegnazione nascosta dietro slogan demagogici tipo: ora vediamo che siete capaci di fare. E noi ci godiamo lo spettacolo.
Naturalmente anche nel Pd, e anche da parte di chi quel partito ha il compito di guidare sia pure provvisoramente, è stato avanzato qualche dubbio in proposito. Persino in sede di assemblea nazionale, inizialmente convocata per decidere sull’assetto del partito dopo le dimissioni (?) del precedente segretario. Alla fine però l’unica decisione sul che fare è stata quella di rinviare il tutto ad una prossima occasione. Magari a luglio.

Come si diceva un tempo però se Sparta (il Pd) piange Atene (Leu e sue componenti) non ride. Usciti ammaccati dalle elezioni, ma comunque presenti in Parlamento e forti di un milione e passa di voti, coloro che in quella lista si sono ritrovati, non sono sinora stati in grado di farsi partito. Nonostante questo obiettivo fosse stato annunciato nel corso della campagna elettorale. Domani a Roma ci sarà un’importante assemblea nazionale di Leu e vedremo se sarà la volta buona per definire un vero precorso costituente da svolgersi nei tempi strettamente necessari.
Se questo è lo stato di quel che è o dovrebbe essere la sinistra riformista si capisce che la sfida alla forze che hanno dato vita ad un’alleanza di governo populista e fortemente orientata a destra, è tanto necessaria, anzi indispensabile, quanto difficile e soprattutto non ancora avviata. Qualche segnale positivo comunque c’è stato. La necessità di provare a costruire un campo nel quale possano ritrovarsi le forze che vogliono ricostruire una sinistra riformista hanno dato qualche segnale di vitalità. Penso alle iniziative di Peppe Provenzano ed altri che hanno trovato un’eco significativa anche nella successiva assemblea del Pd. Penso anche alla recente assemblea di Articolo 1 Mdp che ha rilanciato la volontà di rilanciare il progetto partito.

E allora forse è il caso di ripartire falle fondamenta del socialismo, anzi del socialismo democratico. Come data darei quella classica del dicembre del 1959 quando la scialdemocrazia tedesca, riunita a Bad Godesberg, abbandonò la prospettiva rivoluzionaria e la rigorosa ortodossia marxista per scegliere la strada del riformismo. Fu la stagione dei Brandt e degli Schmidt, dei Palme, e in Italia del Centro-sinistra di Nenni e Moro, quello che face lo Statuto dei lavoratori (altro che job act). Al tempo stesso metterei alcuni paletti ben fermi: il primo è che la sinistra riformista rappresenta soprattutto il socialismo che si mette all’opera per ridurre squilibri e diseguaglianze, e fare cose di sinistra. E che quindi tutto è meno che la destra della sinistra. Il secondo è che la sinistra la sua Bad Godesberg l’ha già fatta nel 1959 e quindi non ha bisogno di sostenere altri esami o altre correzioni. O peggio altre sbandate di tipo neroliberista come quelle di Blair nel Regno Unito o quella più recente del renzismo in Italia. Terzo paletto: è indispensabile che in questo campo si ritrovi anche i riformisti cristiani. Come ha osservato Enrico Rossii principi del socialismo democratico e quelli della dottrina sociale della Chiesa” possono e debbono costituire “il riferimento ideale per un partito della sinistra e del lavoro“.
Ed è da qui che può e deve partire la sfida, difficile e lunga, ma necessaria del riformismo al populismo, anzi ai populismi.

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