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La sfida socialista a sovranisti e populisti. “Non basta dire Europa”, un libro di Enrico Rossi

Che non bastasse dire Europa lo avevano capito già quelli del manifesto di Ventotene. E non a caso Spinelli, Colorni e Rossi volevano che nell’ auspicata federazione europea ci fosse qualcosa di socialista. Riparte di lì Enrico Rossi, presidente della Regione Toscana, nelle considerazioni che svolge, stimolato da un bravo giornalista come Antonio Pollio Salimbeni, nel suo libro “Non basta dire Europa“. Una risposta politica e operativa all’incalzare delle destre populiste non soltanto nel nostro Paese.

E così Rossi parte dal solido ancoraggio al Pse, che le forze democratiche e di sinistra debbono chiaramente sostenere in questa battaglia elettorale in vista del voto del 26 maggio. Il problema, spiega, è quello di riconquistare “il consenso delle classi lavoratrici, dei giovani e di chi sono stati impoveriti dalla crisi“. E, non a caso, queste cose sono dette nel manifesto dei socialisti europei per le elezioni “Un nuovo contratto sociale per l’Europa“, riportato in appendice del libro, e nella introduzione di Frans Timmermans, candidato del Pse alla presidenza della Commissione europea, il quale spiega “come l’Europa non è la causa di tutti i problemi, ma non è neanche la soluzione di tutti i problemi come i suoi difensori a volte erroneamente suggeriscono“.

Ma quali sono i principali contenuti che i socialisti vogliono dare alla loro sfida per e nell’Europa? Rossi li indica in “un salario minimo garantito in tutta l’Unione, un fondo comune per la disoccupazione, una fiscalità unica per far pagare le grandi imprese che fanno profitti in Europa e pagano nulla o poco di tasse nei paradisi fiscali, una imposta minima contro il dumping fiscale tra Paesi europei, una legislazione del lavoro per rimettere i sindacati in grado di negoziare contratti collettivi soprattutto per lavori precari“. E qui Rossi richiama opportunamente un’affermazione che si legge già nel manifesto di Ventotene: “la rivoluzione europea per rispondere alle nostre esigenze dovrà essere socialista, dovrà proporsi l’emancipazione delle classi lavoratrici e la realizzazione per esse di condizioni più umane di vita“.

Già, ma, per governare l’Europa democratica, i socialisti che sono indispensabili non possono, sulla base dei numeri, essere soli. E a questo proposito Rossi guarda a quelle forze liberali e democratiche presenti in Europa che non si identificano con “le pulsioni predatorie di un liberismo che non conosce limiti“. Ed è in questa prospettiva di possibile convergenza tra socialisti e liberali che Rossi spiega di aver sottoscritto l’appello di Carlo Calendaperchè mi sembra che, come il manifesto di Pikketty e l’agenda Monti, su questo terreno presenti importanti proposte programmatiche“, come quella di un New deal per la formazione permanente dei lavoratori.

La prospettiva potrebbe, spiega Rossi, anche essere di dar vita ad un gruppo di Roma da contrapporre a quello di Visegràd, “al fine di richiedere che siano assunte nuove responsabilità comuni, ad esempio riguardo alla gestione dei flussi migratori, pena l’esclusione“. Del resto “la lista unitaria a cui lavora il nuovo segretario del Pd Zingaretti va in questa direzione, con chiaro riferimento alla famiglia socialista e quella liberale“. Per questo la conclusione del presidente della regione Toscana è: “Io sarò lì e farò la mia battaglia”.

Nella foto: Il libro-intervista di Enrico Rossi “Non basta dire Europa”, edizione Castelvecchi

A proposito della definizione di una strategia per regolare attraverso il lavoro gli immigrati regolari Rossi dice di pensare agli “eserciti del lavoro” ricordando che Ernesto Rossi li indicava come strumento per contrastare marginalità e povertà del dopoguerra sul modello roosveltiano. Questo passaggio mi ha particolarmente colpito e mi ha ricordato che mio padre nelle sue lezioni universitarie e soprattutto in un suo libro “I terroni in città” di fine anni 50, chiamava “le grandi fanterie del lavoro” i disoccupati del Mezzogiorno che andavano a cercare miglior vita a Dusseldorf, a Dortmund o anche, senza scalvalcare le Alpi, a Milano e Torino.

Il libro contiene anche un breve intervento del musicista Sting, il quale è residente in Toscana, che, a proposito della Brexit coglie l’occasione per rivolgere al suo Paese un’esortazione “a ripensarci” e cita una fondamentale affermazione di Sir Winston Churchill in tempo di guerra: “Dobbiamo ricreare la famiglia europea in una struttura regionale che potremmo chiamare gli stati Uniti di Europa“. Una conferma del fatto che, anche se non basta dire Europa, da Churchill a Sting si ripropongono ancora tradizione e attualità del sogno europeo. Con buona pace dei sovranisti, non soltanto di casa nostra.
I quali non hanno certo tutte le carte in regola per appropriarsi della parola popolo. E Rossi proprio in apertura del suo libro giustamente evidenzia: “Il popolo non è un’entità astratta, è un soggetto che si costruisce attraverso la politica, le istituzioni, i corpi intermedi e i compromessi, Mentre il populismo, con la contrapposizione alto-basso azzera la differenza degli interessi, la politica democratica la ricompone in una visione del futuro della società“. Ed è anche questa la sfida che si gioca il prossimo 26 maggio.

Foto in evidenza: Frans Timmermans ed Enrico Rossi

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