Elezioni_Under35_Sinistra

Gli under 35 e la sinistra da ritrovare

Forse ricorderemo il 4 marzo come una data segnante della politica italiana. Si è consumata una frattura probabilmente meno traumatica di quella realizzatasi nel ’94, ma che comunque può aver generato un cambiamento della Costituzione materiale, col M5S che rompe definitivamente il tradizionale bipolarismo, la Lega che si afferma come forza nazionale e non più eversiva e secessionista e la sinistra, soprattutto, non più coalizzata nell’Ulivo o nell’Unione, ma divisa tra PD, LeU e PaP, dimezzando i suoi voti rispetto al ’96 (siamo passati dagli oltre 16 milioni di Prodi agli attuali 8,5).

Sono state bocciate definitivamente le due anime della sinistra storica, quella governista e quella radicale, che hanno retto al crollo del muro e che, pur faticosamente, ci hanno traghettato dalla svolta della Bolognina ad oggi.

Ma cos’ha determinato questa sconfitta epocale? E perché come LeU, nonostante ci fossimo presentati come discontinui rispetto agli ultimi due governi, abbiamo fallito? Una risposta univoca non c’è, ma sarebbe opportuno distinguere le ragioni di questo tracollo in cause “accidentali“, cioè quelle che hanno impedito a LeU di raggiungere il 7%, e in cause “strutturali“, che ci hanno fatto perdere il 43% e che affondano le radici in una crisi diventata evidente nel 1989.

Le prime, e cioè i clamorosi errori compiuti in questi ultimi mesi, sono chiarissime. Innanzitutto, il tardivo e travagliato processo di unità con il Brancaccio fatto e disfatto e i tentennamenti di Pisapia, poi la divisone per quote tra i tre partiti, e non per mozioni, dei delegati dell’assemblea nazionale e le eccessive deroghe al regolamento delle liste. Altro errore è stato nominare Rossella Muroni coordinatrice nazionale, anziché creare un coordinamento collegiale che si occupasse esclusivamente dell’organizzazione della campagna e che non avesse impegni con le candidature.

Infine, è stato sbagliato il profilo programmatico del progetto. In un’elezione in cui eravamo marginali, rassicurare gli elettori non era il nostro compito, mentre avremmo dovuto essere di rottura. Abbiamo lasciato la bandiera della lotta all’austerity alla Lega e al M5S e, per giunta, le nostre proposte sono state timide e confuse, concentrate quasi esclusivamente sulla progressività fiscale, dimenticandoci delle politiche economiche o dello scenario internazionale, per esempio.

Sulle cause strutturali, invece, il discorso è più ampio e profondo. Sicuramente paghiamo il più che ventennale appiattimento della sinistra all’egemonia neoliberista, ma bisogna anche considerare che la desertificazione industriale del Paese ha fatto sì che scomparisse proprio il soggetto costitutivo della sinistra, la classe operaia. Non rappresentiamo più niente nella società, e ciò è ancor più drammatico se consideriamo che con la scomparsa della fabbrica, luogo fisico di aggregazione e discussione, il lavoro prende sempre più la forma dell’atomizzazione assoluta dei lavoretti della gig economy. A questo problema va ricondotta anche la crisi del sindacato: il suo potere contrattuale è venuto meno e con esso anche il suo ruolo di cinghia di trasmissione del partito nella dialettica tra capitale e lavoro. Non a caso, infatti, la CGIL è stata la grande assente di queste elezioni.

La soluzione a tutto questo è molto, troppo complessa. Non ci sono dubbi, però, sul fatto che almeno LeU debba continuare sulla strada del partito unitario. Nonostante il risultato deludente, abbiamo una rappresentanza parlamentare grazie a più di un milione di elettori, ed è a loro che abbiamo fatto una promessa da mantenere (vi immaginate, poi, che noia riaprire i tavoli ogni volta che c’è da fare un’elezione?). Bisogna, però, cambiare i metodi e recuperare un patrimonio politico e storico liquidato troppo in fretta: l’egemonia culturale, la pedagogia di massa e la coscienza di classe sono categorie concettuali e non storiche o, al limite, valide finché esiste una società divisa in classi. Si tratta di strumenti da riadattare all’attuale quadro sociale ed economico e, se da una parte già si accennava alla questione della scomparsa della classe operaia, dall’altra oggi siamo incapaci di vedere nella generazione degli under 35, fatta di precari, partite IVA e Neet, il nuovo soggetto della trasformazione. Infatti chi, se non gli under 35, sta subendo più di tutti gli effetti del Jobs Act o della legge Fornero? È un punto centrale che Sanders e Corbyn hanno compreso (meglio non prenderli ad esempio, invece, per tradurre macchinosamente i loro slogan) e che in Italia è in parte replicabile, data la percentuale di Neet più alta d’Europa. Solo così, forse, ritroveremo il nostro compito storico.

 

Commenti