Il teatrino della politica di questi ultimi giorni ha offerto alla stampa italiana materiale sufficiente per scaldare i motori per quello che viene annunciato come uno degli autunni più caldi degli ultimi anni.

Le cronache hanno infatti riportato delle continue prove di forza tra Governo italiano ed Unione Europea, come quella che si è giocata sulla nave Diciotti e sulla pelle delle persone che vi erano a bordo; del nuovo passo nella direzione di un’ulteriore saldatura dell’asse sovranista con l’incontro tra Salvini e Orban; dell’ennesima tensioni tra Salvini e Macron, entrambi intenzionati a diventare punti di riferimento a livello europeo per i rispettivi schieramenti, quello sovranista e quello europeista; dell’inarrestabile crescita di Matteo Salvini, ormai azionista di maggioranza dell’Esecutivo e, pare, intenzionato ad andare all’incasso già il prossimo anno; delle intenzioni del Governo di sforare il tetto del 3% nel rapporto deficit/pil; delle richieste italiane di uno sconto sulla riduzione del debito; alla tensione sul mercarti finanziari; dell’aumento della febbre dello spread; dei chiarissimi avvertimenti delle agenzie di rating, che minacciano di declassare l’Italia se il prossimo Def vedrà messe nero su bianco le intenzioni del Governo.

Solo un soggetto manca ufficialmente all’appello: la sinistra. La cosa è grave, e pure seria. E non tanto per l’assenza della sinistra in sé, quanto per la mancanza della possibilità puramente teorica di attuare nel Paese il meccanismo dell’alternanza tipico degli ordinamenti democratici compiuti. Un sistema partitico incapace di esprimere un’alternativa, sia essa di destra e di sinistra, almeno potenziale alla classe politica al governo è infatti un sistema il cui livello di democraticità subisce una grave contrazione, spingendosi pericolosamente verso la china di una sorta di monopartitismo di fatto, con conseguente riduzione della stessa libertà di voto del cittadino.

Capire le cause di questa situazione dev’essere il primo passo per definire una strategia di medio-lungo termine che riduca al minimo la durata e le conseguenze della traversata del deserto che oggi i progressisti si trovano di fronte.

Suggerisco, a mo’ di spunto, tre ambiti di riflessione (su altrettanti errori storici che la sinistra ha compiuto negli ultimi 25 anni): il passaggio dalle battaglie sociali a quelle civili, sacrosante ma non sufficienti nell’attuale contesto di impoverimento diffuso; il passaggio dalla fabbrica al salotto; la convinzione di avere ancora un controllo sull’opinione pubblica in forza del proprio controllo culturale sui media tradizionali, senza capire che oggi il consenso si crea con una comunicazione efficace, simbolica ed emozionale sui social network. Niente di originale o di nuovo, certo, ma spesso i problemi e le loro soluzioni sono più ovvie di quanto non si pensi.

Fatto ancora più grave è che la tentazione di molti potrebbe essere oggi quella di decidere, in piena tempesta, di abbassare le vele e rimanere fermi, aspettare. Può anche avere senso ma il limite di questa strategia sta nel fatto che, se anche ci fossero delle effettive possibilità di ripresa dal punto di vista elettorale, e comunque non prima di qualche anno, si rinuncerebbe alla necessaria e preliminare azione culturale che serve innanzitutto all’interno dell’aria e, al di là dei simboli di partito, ai suoi vertici per una ridefinizione attualizzata delle categorie classiche, e poi a livello sociale, attraverso il recupero di una capacità attrattiva, di identificazione e di protezione dei destinatari di riferimento delle politiche pensante e attuate.

In altre parole una sinistra che si prendesse il lusso di rimanere ferma in attesa che la tempesta passi sarebbe non solo sconfitta in partenza ma anche e soprattutto colpevole di avere abbandonato la propria gente, di averla costretta a rifugiarsi nella destra sovranista e di non avere dato al Paese la possibilità di un’alternanza; sarebbe una sinistra che ha rinunciato alla piena attuazione del sistema democratico, prima ancora che a se stessa.

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