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La Sinistra senza lieto fine

All’indomani delle elezioni del 4 marzo ho rivolto una domanda a me stesso e ai compagni tutti, quelli che hanno lottato con me, quelli che hanno scelto altre strade e quelli che si sono persi lungo la via: “Saremo ancora in grado di lottare per un’Italia più giusta”?
Avrei voluto che la risposta mi sarebbe stata chiara già oggi, ma in realtà serviranno diversi anni per capirlo. Oggi, però, è il pessimismo a farla da sovrano. L’unica risposta adeguata sarebbe un “no” secco.

Non ho mai vissuto un tale disorientamento politico, una tale perdita di entusiasmo e di credibilità in qualsivoglia politico, partito, movimento o un insieme di questi.
Liberi e Uguali era un progetto bellissimo. Ma l’abbiamo vissuto come una partita di poker contro noi stessi, giocando a carte coperte, puntando su dei bluff, alla fine abbiamo perso persino il compagno di gioco e ci siamo ritrovati con un due di picche, regalando la vittoria al banco.
Oltre agli assordanti mesi di silenzio, una volta fuoriuscito il Civati fanclub, ci siamo persi nella più inutile delle discussioni: un congresso online, che più volte lo dici, più ti rendi conto di quanto risulti un motivo idiota e le alleanze europee, quando Liberi e Uguali un’idea sull’Europa non ce l’aveva, quando Iglesias e Melenchon ancora non si è capito con chi e come affronteranno le elezioni europee, e quando il progetto di De Magistris è tutto tranne che chiaro, quando il Partito Socialista Europeo più che rinascere dalle proprie ceneri, stava scavando nel terreno per relegarsi un posto nel cimitero dei partiti falliti.

E allora il PD? C’è chi ha provato ad affacciarsi alla finestra della loro sede, per poi correre via dopo pochi minuti, comprendendo quanto ancora quel partito viva anni luce di distanza dalla Terra. E qui un plauso bisogna farlo: hanno battuto la Nasa, sono arrivati più lontani loro. Ci sono più candidati alla segreteria che iscritti, il ché va solo a dimostrare che una concezione di partito unica non esiste e non potrà esistere, così come non può sussistere una linea programmatica. Si è ancora fermi su cosa pensa la maggioranza e su cosa pensa la minoranza, rancori e clientele che affiorano durante ogni congresso, e alla fine di tutto di una cosa si è certi: l’unità e il cambiamento saranno sempre e solo a parole. La favola che si racconta ai nuovi iscritti.

D’altra parte, a sinistra non stiamo messi meglio, Potere al Popolo, Rifondazione, DeMa, Sinistra Italiana, Patria e Costituzione, Possibile, Articolo Uno, Futura e il nuovo movimento di Grasso. La situazione è patetica. Non esiste un altro aggettivo, e sono tutti alla ricerca di trovare quel qualcosa che può farlo apparire più bello degli altri, recintando il proprio giardino di idee, proposte e progetti che dove dovrebbero portare un partito dall’1%, se va bene, non si sa.
Quarto polo, terzo polo, radicali, dialoganti, diversi ma non alternativi, ma su cosa ci stiamo soffermando? È così che ritorneremo a lottare?

La classe dirigente odierna ha reso i partiti schiavi della continua lotta tra persone, piuttosto che per le idee. Hanno lasciato emergere il lato peggiore della politica: tra opportunismo, favoritismi, raccomandazioni e interesse personale. La continua crisi dei partiti di massa è dovuta, perlopiù, all’incapacità politica e gestionale di un’organizzazione da parte di una generazione che ha vissuto gli ultimi momenti idilliaci della storia dei partiti popolari, senza essere in grado di cogliere quali strumenti, idee e metodi sono stati necessari per costruire e mantenere il consenso, né di rinnovarsi ed adeguarsi ad una società in continuo sviluppo. Una lotta tra correnti che ha fatto sì che intere comunità si disperdessero in micropartiti e perdessero l’entusiasmo necessario per lottare, per sognare.
Non esiste alcun luogo che possa dare libero sfogo alla passione politica, di aggregazione e mobilitazione. Lontano dagli schemi e dalle divisioni personali. Un luogo dove l’azione politica è concentrata nell’obiettivo di incidere nel cambiamento culturale della società e di migliorarla.

E no, questa volta non c’è un lieto fine, nessuna citazione ad hoc, nessun appello a sperare, a credere in un qualcosa che è morto.
È la fine della sinistra italiana.

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