Simone_Siliani

Liberi e Uguali, la battaglia per una finanza etica

Sono trascorsi 10 anni dall’inizio della più grave crisi economico-finanziaria dell’ultimo secolo e, forse, sono passati invano. E non solo perché la ripresa è quantitativamente debole e gli effetti sociali della crisi sono ben lontani da essere risolti (basti ricordare che il tasso di disoccupazione in Italia alla fine del 2007 era del 6,5%, quello registrato a giugno 2017 è stato dell’11,1%), ma anche perché tutti gli elementi strutturali della finanza privata che ha innescato la crisi sono ancora presenti e forti e nessuna seria regolamentazione pubblica è stata introdotta per evitare il ripetersi di simili eventi. Certo, sono stati introdotte in Europa alcune normative per la gestione delle crisi bancarie (salvo poi che i singoli paesi che hanno contribuito a scrivere quelle norme, alla bisogna hanno scelto altre soluzioni, come nel caso italiano), ma tutto nel folle casinò della finanza è rimasto uguale.

Lo dimostra la buona salute di cui godono ancora i paradisi fiscali, come le inchieste giornalistiche recenti ci hanno raccontato. Lo dimostra la resa della Commissione Europea che, poche settimane fa, ha deciso di ritirare proposta legislativa di riforma del sistema bancario, la Bank Structural Reform, che conteneva una pur blanda separazione fra banche d’investimento e banche commerciali, per l’opposizione degli Stati membri. Separare le attività commerciali da quelle di investimento nelle banche di rilevanza sistemica dovrebbe essere un necessario elemento di una regolamentazione finanziaria più generale per rispondere a rischi sistemici e ridurre le probabilità di un’altra crisi finanziaria. Ma la politica ha rinunciato a questo suo ruolo precipuo.
Nel frattempo la crisi ci lascia in eredità una situazione di maggiore diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza. Ce lo dicono quei pericolosi bolscevichi dell’istituto di ricerca di Credit Suisse che nell’autorevole Rapporto sulla ricchezza globale spiegano che la ricchezza nel mondo si è ulteriormente concentrata. Infatti, all’inizio del millennio l’1% più ricco della popolazione deteneva il 45,5% della ricchezza totale delle famiglie, ma oggi questa quota è salita al 50,1%. Ma non diminuiscono i poveri: il numero degli adulti che possiedono meno di 10.000 dollari di ricchezza è diminuito nel decennio meno del 4%.

Dunque, la finanza sistemica a livello globale è ancora parte del problema e niente sembra cambiare. Tranne una cosa, ma importante.
A dieci anni dalla crisi la realtà della finanza etica, nel mondo e in Europa, si è consolidata rappresentando una reale e consistente alternativa a quella mainstream. Ne abbiamo dato conto nel primo Rapporto sulla finanza etica e sostenibile in Europa, presentato in questi giorni alla Camera dei Deputati. Dalla prima banca etica europea, la tedesca GLS Bank fondata nel 1984, fino alla ungherese Magnet Bank del 2010, passando per Banca Etica fondata nel 1999, oggi la finanza etica non è più un settore di nicchia, ma vale il 5% del PIL europeo (750 miliardi) e soprattutto rappresenta una risposta concreta ed efficace al bisogno, anzi al diritto, di credito di cooperative sociali, piccole imprese, associazioni, individui, soprattutto soggetti che le banche tradizionali considerano non bancabili, ma che alla luce dei fatti risultano ben più affidabili di altri soggetti, visto che le sofferenze di Banca Etica sono circa un quarto di quelle medie italiane. Una finanza che funziona; meglio di quella tradizionale. Abbiamo confrontato i fondamentali di 21 banche etiche europee con le top 15 banche sistemiche – quelle “too big to fail” – del continente.

E i numeri parlano a favore delle prime. Mi limito a due dati particolarmente significativi. In primo luogo, i depositi: nel decennio 2006-2016 le banche etiche segnano un +13,06% mentre le sistemiche appena un 3,74%, segno di una fiducia che i risparmiatori assegnano in misura maggiore alle banche etiche e una condivisione crescente nei valori che esse esprimono. Infatti, le banche etiche raccolgono risorse (da prestare o da investire) per l’80,9% dai depositi dei clienti, mentre le banche sistemiche appena per il 42,1% perché raccolgono le risorse soprattutto da canali come l’emissione di titoli o i depositi da parte di altre banche. Ma è il dato degli impieghi, dei crediti concessi, che è più impressionante: nel 2016 (ma il trend è costante dal 2008) le banche etiche impiegavano, concedevano crediti all’economia reale, il 73,4% degli attivi, mentre le banche tradizionali appena il 38,5%. Queste 21 banche etiche europee hanno concesso crediti nel 2016 per 29,2 miliardi di euro.

Ma allora la domanda (retorica) è: chi è che fa davvero banca? Perché per questo nascono e a questo dovrebbero servire le banche: utilizzare le proprie risorse per alimentare l’economia reale, non per speculare in borsa e rischiare i risparmi dei clienti con il miraggio di alti ritorni. La finanza etica risponde a questa missione istituzionale e lo fa garantendo maggiormente i risparmi dei cittadini. Perché? Perché, con i criteri di trasparenza degli utilizzi e partecipazione dei soci, attraverso criteri di esclusione (non possiamo finanziare i settori delle armi, del gioco d’azzardo, del petrolio e carbone, del tabacco, ecc.) e con una valutazione dell’impatto sociale e ambientale dei soggetti cui concediamo credito, la finanza etica dialoga con i risparmiatori e li rende consapevoli e partecipi di dove impieghiamo i loro risparmi. Cresce il numero dei cittadini che vogliono sapere che fine fanno i loro risparmi quando li depositano in banca e desiderano che questi sostengano un’economia socialmente e ambientalmente sostenibile. Sempre più cittadini cercano di dare un senso, una utilità sociale, un significato ai propri soldi. Questa consapevolezza deve essere propria anche dello Stato. Noi, ad esempio, ci sorprendiamo ogni volta che, nella nostra attività di azionariato critico con uno pacchetto azionario dello 0,00005% poniamo questioni serie nell’assemblea degli azionisti relative alle politiche energetiche di ENEL o di ENI a nostro avviso insufficienti o contraddittorie rispetto alla necessità urgente di uscire dal carbone per contribuire a contrastare i cambiamenti climatici, e lo Stato azionista di riferimento (con share intorno al 30%) tace rinunciando a svolgere la sua funzione di indirizzo sulle politiche energetiche. O, peggio, ci sorprendiamo quando il Ministero dell’economia (azionista di riferimento con il 30%) di Leonardo Finmeccanica tace in Assemblea generale degli azionisti quando noi, con il nostro zero-virgola, chiediamo una maggiore diversificazione e riconversione industriale dal militare al civile. E ci sorprendiamo perché quel Ministero fa parte di un Governo che dovrebbe coerentemente applicare la Legge 185 sulla limitazione e il controllo del commercio di armi, mentre con i soldi pubblici, di noi tutti, partecipa ad una azienda che produce ed esporta armi.

Occorre consapevolezza e coerenza nell’impiego dei soldi, pubblici o privati, con i valori o gli obiettivi di sostenibilità ed eticità che vengono sempre più spesso proclamati: senza di ciò, rischiamo di scivolare nel marketing o nel greenwashing. Oggi una legge italiana, l’unica in Europa, definisce quali debbano essere le caratteristiche degli operatori di finanza etica: a distanza di un anno dall’approvazione attendiamo ancora i decreti attuativi, ma la legge è comunque importante.
La finanza etica è oggi una solida realtà e dimostra che è possibile, si può costruire un’alternativa alla cosa apparentemente più inarrivabile, complessa e immodificabile: la finanza. Se questo è stato possibile è perché tante organizzazioni della società civile e tanti cittadini non si sono arresi alla logica TINA (There Is No Alternative) e hanno creduto, cercato e costruito una ALTERNATIVA.

Ecco, forse questo è un messaggio generale per la sinistra, per tutti noi qui riuniti: non possiamo accettare l’immutabilità delle cose, l’impossibilità di cercare altre strade rispetto a quelle note. Altrimenti la sinistra diventa inutile, evapora e trascolora in una indistinta offerta politica che fa della gestione del potere un fine in sé. Dobbiamo ricostruire un senso e un bisogno di sinistra che, per me, sta nella definizione che Enrico Berlinguer dava della sinistra: “Noi siamo convinti che il mondo, anche questo terribile, intricato mondo di oggi può essere conosciuto, interpretato, trasformato, e messo al servizio dell’uomo, del suo benessere, della sua felicità. La lotta per questo obiettivo è una prova che può riempire degnamente una vita”.

Foto di copertina: Simone Siliani, Direttore Fondazione Finanza Etica, nel suo intervento all’assemblea di Articolo Uno-MDP, Sinistra Italiana, Possibile che ha dato vita a Liberi e Uguali, alla cui guida è stato acclamato Piero Grasso

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