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Mattarella, il rebus del Governo e la competenza “politica”

Il Presidente Mattarella è alle prese con la formazione del governo. Dialoga con partiti che gli ingarbugliano i fili, irretiti in quell’inesorabile “richiamo della foresta” dei tatticismi del potere, di chi ha vinto e di chi ha perso, di chi vuole “salvarsi la faccia” se non l’anima. Perché il Presidente si dilunga nel dare l’incarico di governo e guadagna tempo affidando un incarico esplorativo alla neo-presidente del Senato già fallito? Perché pensa all’ipotesi di un governo “istituzionale”, che non potrebbe che essere “geneticamente” di breve durata e di transizione verso nuove elezioni? Perché non taglia il nodo gordiano, guardando alla sostanza dei problemi che ci circondano (ultima la crisi internazionale siriana)? Dato lo stallo tra i partiti, non ha forse ragione di dare l’incarico ad una personalità “terza”, fuori dai giochi partitici, con mandato di formare un “governo dei competenti”, un governo di persone esperte nei vari campi di policy che chiedono misure di intervento? Del resto, la bandiera della competenza è molto amata.

Porre in questi termini la questione della formazione del nuovo governo post-elettorale può sembrare semplicistica o provocatoria. Ma solo fino ad un certo punto. Essa invero solleva un tema meno banale o fantasioso di quanto si possa pensare e una riflessione su un’idea di governo ben presente nelle democrazie europee, anche tra molti cittadini comuni, un modo di pensare il governo, del resto, già messo in pratica in Italia, come ci rammenta da ultimo il governo Monti del 2011.

Mesi fa, su un noto settimanale, Marco Follini, commentatore di esperienza e già leader politico, ha scritto che la nostra epoca non vede in scena figure paragonabili ai grandi “profeti della politica” del ‘900, figure a cui si affidava il compito di plasmare la modernità con la forza delle idee: oggi al politico non chiediamo più di “immaginare il futuro”, perché il nostro presente ha bisogno che la politica amministri il presente. Ragioniamo sul punto: perché, allora, Mattarella non ha già dato vita a un bel governo dei competenti?

La nostra società è percorsa da sfide difficili, anche inedite. Ciascuno può compilare un suo campionario. Ad esempio: deperimento delle risorse energetiche e uso dell’energia compatibile con la tutela ambientale, crisi della “società del lavoro”, attacchi militari e terrorismo internazionale, deficit di consenso dell’Unione Europea, asimmetrie demografiche tra le diverse aree del mondo, flussi migratori pressanti e crisi della società multiculturale, povertà e diseguaglianze in aumento, corruzione pubblica, assottigliamento dei beni pubblici, debolezza dei poteri democratici di fronte ai mercati finanziari, analfabetismo di ritorno, manipolazione tecno-genetica dell’essere umano. Affrontare tali sfide richiede “capacità di lettura” della nostra società. Ma anche idee e ideali di società, per discutere pubblicamente i “fini” da perseguire. Fare i conti con un mondo complesso e in rapido mutamento richiede competenze tecniche, ma anche saggezza e senso morale. La convinzione che solo uomini politici di rango possano possedere tali qualità è sempre stata storicamente forte. Ma cosa significa “politico di rango”?

L’uomo politico di rango è colui che fa della politica il suo “Beruf”: chi fa politica per “vocazione-professione”, ispirato dalla “causa” alla quale dedica la sua azione. Lo sosteneva, un secolo fa, un grande scienziato sociale, acuto interprete della modernità, dotato di quell’“immaginazione sociologica” che gli fece prefigurare aspetti salienti della società futura: Max Weber. Il Beruf connota la “politica presa sul serio”, quella guidata da passione ideale, senso di responsabilità e lungimiranza. Questa idea di politica ci suggerisce perché non basta la competenza “tecnica” per identificare un “buon governo”.

I modi per selezionare i politici o designare le cariche pubbliche nella storia non sono moltissimi, ma nemmeno uno solo: ereditarietà, conquista con la forza, cooptazione, estrazione a sorte (sì, proprio estrazione a sorte), competenza. Il modo tipico dei regimi liberaldemocratici è l’elezione, che nella pratica agli altri si combina. Il ricorso alla competenza, di suo, rimanda al principio aristocratico e liberale “dei migliori”. La conservazione di tale antico principio è stata un modo per mitigare il principio della volontà popolare tipico delle democrazie di massa e dei suoi correlati criteri elettorale e di maggioranza. Così, ancora oggi, per affidare cariche politiche reclamiamo competenza. Ma quale competenza?

Già nell’Antica Grecia, Platone voleva il governo della Repubblica affidato ai filosofi: uomini sapienti, portatori di conoscenze, e per ciò reputati in grado di lavorare per il bene pubblico. Ma attenzione. Per Platone, il ricorso ai governanti “competenti” era giustificato non tanto dalle loro conoscenze tecniche o scientifiche, bensì dalla saggezza e sapienza, all’epoca ritenute imprescindibili per il buon governo. Aristotele auspicava una sorta di commistione tra “virtù politiche” (fertilizzate dal principio democratico) e “competenze tecniche” (collegate a un principio aristocratico).

È passato tempo da allora. Ma ancora oggi in tema di “competenza in politica” è bene essere esigenti. Alla competenza tecnica, che può essere fornita dagli esperti, dovremmo chiedere di elaborare i “mezzi”, anche alternativi tra loro, per perseguire i “fini”, ma non di scegliere i mezzi né di decidere dei fini. La decisione sulla scelta dei mezzi e dei fini spetta alla guida politica, e dovrebbe emergere da un processo pubblico, da un confronto tra opzioni alternative presenti nell’arena democratica. L’idea che siano le expertise tecniche e scientifiche a decidere tra i diversi mezzi e a dettare i fini pubblici porterebbe la democrazia a sconfinare nella tecnocrazia: in un altro regime.
L’ideologia tecnocratica, non sfugga, pervade in maniera sottile la nostra società, tesa a ricercare sicurezza e conforto di fronte ai rischi della vita. Si pensi a cosa chiediamo al medico, al sismologo, all’economista: aspettative che spesso vanno al di là delle capacità della scienza e della tecnologia.

Ecco perché Mattarella non mette in riga quei “discoli e bisbetici politici che fanno perdere tempo”, perché non ricorre alla bacchetta magica del “governo dei competenti”. I politici “ci mettono la faccia” sulle decisioni; noi possiamo chieder conto delle loro scelte. I tecnici competenti no; sulla qualità delle loro competenze non decide il cittadino, ma un altro gioco, fatto di scienza e di potere anch’esso. Oltretutto, Mattarella sa bene che i governi sono tutti politici. Da qui la sua pazienza in vista di un governo con diretta assunzione di responsabilità da parte della politica e dei partiti.
Certo, per convincerci della legittimità e bontà dei “governanti politici” ci piacerebbe vedere in loro la capacità di coltivare un’idea di società, una progettualità che guardi anche al futuro di chi oggi non ha l’età per votare. È da cercare qui, almeno in parte, la specificità della competenza politica. Dell’avvedutezza di buoni ragionieri o dell’intraprendenza di brillanti presentatori televisivi già disponiamo. D’altra parte, un governo di profilo “istituzionale” di transizione a nuove elezioni è solo un’extrema ratio. E il Quirinale lo sa.

* In forma ridotta e con altro titolo, l’articolo è apparso sul “Trentino” del 19 aprile 2018

Foto in evidenza: Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella

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