Le elezioni olandesi ci consegnano dei moniti da raccogliere nella sinistra italiana. Il Partito del Lavoro (PvdA) della famiglia del PSE, si è pasokizzato con rapidità inaudita, benché i sondaggi olandesi abbiano seguito l’inesorabile discesa dal 24,8% del 2012 (già uno dei risultati peggiori del partito) fino all’attuale 5,7%. Il PASOK greco in verità si è difeso meglio e da forze molto maggiori: per scendere così in basso, ci vollero due cicli elettorali (nel 2012 e nel 2015) e a spingerlo nelle braccia dell’austerity e della grande coalizione c’erano una crisi del debito gravissima e un’Europa di falchi irremovibili dalla Germania alla Finlandia di Katainen, passando proprio per i Paesi Bassi.
Il governo di grande coalizione dei liberali di centrodestra e dei laburisti (VVD-PvdA), nella persona del Ministro dell’Economia (laburista) Dijsselbloem, ha infatti preteso dal resto d’Europa lo stesso grado di rigore che applicava al suo Paese. Fra i tagli al welfare state (nell’unico Paese dell’Europa settentrionale dove la Sanità è interamente privata e fondata sulle assicurazioni sanitarie) e la politica di compressione dei salari, non si sono salvate neanche le borse di studio universitarie.

I laburisti olandesi sono una forza politica storica dei Paesi Bassi, e condividono questa posizione con i liberali, progressisti e conservatori, e i cristiano-democratici, protestanti e cattolici, e questa storia nel Paese della “colonnizzazione” (verzuiling) della società in base alle sue frazioni politico-sociali e confessionali, significa ereditare una presenza organizzata nella società e nelle istituzioni olandesi, ivi compresi anche nel network televisivo pubblico olandese (Nederlandse Publieke Omroep) dove assieme ai tre principali canali si uniscono numerose emittenti provinciali. Neanche queste posizioni di forza nella società e nei media hanno però protetto il PvdA dal collasso elettorale.


Nella foto: La tabella dei risultati delle elezioni in Olanda (da http://www.ad.nl/)

Nonostante i toni molto accesi su un pericolo estremista di destra, i guadagni del PVV di Geert Wilders si sono fermati al 3% e 5 seggi, un aumento dignitoso ma decisamente al di sotto del clamore mediatico che ha scatenato all’estero. La spiegazione di questo contenimento dell’estrema destra risiede, oltre che nel sistema proporzionale puro, anche nella capacità dei vari partiti di riassorbire i voti persi dal PvdA (e in parte dal VVD, che pur mantenendo la sua prima posizione e la probabile guida del prossimo governo cede comunque il 5% dei voti e 8 seggi).

Infatti la pasokizzazione dei laburisti ha beneficiato prevalentemente i Verdi, ma senza riuscire a farli divenire primo partito della sinistra olandese, e non ha aiutato quasi per niente la sinistra radicale del Partito Socialista (PS) del GUE/NGL. Benché
si possa pensare che l’elettorato del PS e quello del PvdA non siano comunicanti, osservando i flussi elettorali si nota come in verità i socialisti radicali abbiano avuto uno swing del 50% dei voti: hanno perso cioè voti nelle circoscrizioni urbane, a
favore di Verdi e altre sigle minori della sinistra, e guadagnati nelle circoscrizioni rurali e di provincia meno abitativamente dense, riuscendo a fatica a mantenere la stessa quota elettorale del 2012 e ottenendo, in retromarcia la posizione di primo
partito della sinistra.

Questa dinamica così diversa fra centro e periferia mi pare una chiave di lettura fondamentale per comprendere la situazione olandese. Nelle aree urbane, i partiti liberali di centrodestra e centrosinistra (D66VVD) tengono bene e i Verdi, espressione di una sinistra di estrazione urbana, riescono ad ereditare i voti dei laburisti, mentre forze come il PS, i cristiano democratici di CDA e gli stessi estremisti di destra del PVV sono fortemente limitati.

Nelle province invece la dinamica è opposta. In queste il CDA, il PS e il PVV si contendono i voti dei lavoratori traditi dai laburisti e persino il partito dei pensionati (50+) partecipa di questa triste spartizione. È da notare come il CDA riesca a
proporsi come un partito che rappresenta i lavoratori più religiosi, mentre il PS riesce qui a recuperare i voti persi nelle città, cosa che gli ha permesso di divenire primo partito della sinistra e di fermare, assieme al centrodestra moderato del CDA,
l’avanzata del PVV fra i lavoratori nelle periferie.

Spendiamo, infine, qualche parola sugli altri partiti d’opinione e di testimonianza olandesi. Partiti di testimonianza come il partito degli animalisti (PvdD), DENK e il Forum per la Democrazia (FvD) aumentano i loro consensi. Un esempio su tutti per illustrare la forza dei partiti di testimonianza nel sistema olandese: ad Amsterdam, i socialdemocratici turchi di DENK (sì, è un partito di immigrati turchi che si sono scissi dal PvdA; “Denk” significa “pensa” in olandese e “uguaglianza” in turco) e il partito socialdemocratico-multiculturalista Artikel  (una scissione di DENK) ottengono, sommati, il 9,4%, mentre al livello nazionale sono fermi al 2,3%.

In conclusione, nei Paesi Bassi sono sovrapposti due fenomeni distinti. Da un lato il collasso dei laburisti, orfani sia del mondo del lavoro che del ceto medio urbano e dall’altro un movimento centrifugo che nelle città premia i movimenti di opinione e nelle periferie i partiti in grado di rappresentare e tutelare (ognuno con la sua ricetta diversa) la condizione dei lavoratori e dei ceti più svantaggiati. Il tutto, unito al proporzionale puro, favorisce anche curiosi partiti di testimonianza, alcuni recenti come il partito animalista (PvdD), altri storici come i partiti fondamentalisti calvinisti (SGP e CU), ma nel complesso tiene l’estremismo ai margini del sistema politico nazionale, nonostante l’austerity, le difficoltà economiche e la forte immigrazione.

Nella foto di copertina: Mark Rutte, il leader dei liberali di destra vincitori delle elezioni in Olanda, in secondo piano Geert Wilders, il leader sconfitto dei populisti islamofobi e anti Ue.

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