L’intervento pubblico su MPS è fatto, la banca è nazionalizzata, gli obbligazionisti subordinati risarciti al 100% , se “retail”, o al 75% se investitori professionali. E’ una operazione equa? Ci saranno sorprese? Si rispettano il “bail-in” e il “burden sharing”? Vediamo di capirne di più.

Il Ministero dell’economia (MEF), in caso di transazione tra MPS e gli azionisti divenuti tali convertendo le subordinate, acquisterà le azioni, al ricorrere delle seguenti condizioni:

a) la transazione evita controversie sull’emissione venduta ai 40 mila risparmiatori “retail”;

b) MPS acquisterà per conto del MEF tali azioni, dando in cambio obbligazioni “normali” con scadenza analoga alle subordinate e rendimento di mercato (più basso).

Sembra semplice, ma innanzitutto l’operazione deve essere approvata dalla Commissione europea.
Gli obbligazionisti, secondo le regole europee, possono essere rimborsati solo se hanno acquistato senza la dovuta informativa sul grado di rischio dell’investimento. Il Ministro Pier Carlo Padoan, ha dichiarato: “Ci aspettiamo sia attivato il meccanismo che consentirà agli obbligazionisti retail di azionare il meccanismo di scambio semplice che inizia con la cessione di obbligazioni subordinate in azioni e si conclude con azioni assorbite dall’intervento pubblico”. Non avendo parlato di acquisti senza le necessarie informazioni, non è certo se potranno beneficiare del rimborso tutti i piccoli obbligazionisti o chi dimostrerà di essere stato “raggirato”. Gli obbligazionisti retail potranno vendere le proprie azioni al Tesoro ma non è chiaro quale sarà il prezzo di riferimento delle azioni per convertirle.

Può essere che la Commissione Ue accetti di proteggere le 40 mila famiglie cui la banca ha venduto i 2,1 miliardi di «subordinate» e che vengano rimborsate generosamente in barba ai vincoli sugli aiuti di Stato alle banche. Ma è corretto che tale generosità sia a carico dei contribuenti?
Sarebbe un aggiramento delle regole già alla prima applicazione in quanto queste si rivelano politicamente ingestibili. Le norme sul “burden sharing” prevedono infatti che, prima dell’aiuto pubblico, ci sia un contributo di investitori e clienti per l’8% delle passività, colpendo prima gli azionisti e gli obbligazionisti subordinati e, se serve, le obbligazioni ordinarie e i depositi sopra i 100 mila euro.

Nel caso di MPS, si trattava di 13 miliardi. Probabilmente le aperture di Bruxelles nascono dalla volontà di non rafforzare i partiti “no euro”. Già in estate scorsa la Commissione Ue aveva indicato che l’Italia poteva attivare la clausola della direttiva che consente ricapitalizzazioni preliminari senza “bail in” e senza tagliare quei 2,1 miliardi di subordinate “retail”. Come nota Nicolas Véron , economista dei think tank Bruegel e del Peterson Institute, queste operazioni in conflitto d’interessi sono proibite in molti Paesi: in Italia invece erano tollerate se non incentivate.

MPS dovrebbe riconoscere in sostanza di aver venduto al “retail” dei titoli con la frode. Se ci sarà l’autorizzazione della Commissione, questa varrà per tutti i paesi, segnando il fallimento sul nascere della direttiva sul «bail in». Una direttiva con due gravi anomalie. La prima, voler far passare dalla “risoluzione” ogni banca cui serva l’aiuto pubblico. La seconda, imporre retroattivamente maggiori rischi ai bond comprati e ai depositi aperti prima del 2015, seminando sfiducia sui risparmiatori europei. Un tale cambiamento di indirizzo creerebbe disagio in altri paesi e nelle altre situazioni nelle quali gli obbligazionisti hanno pagato un prezzo alle crisi, radicando la convinzione di un’Italia refrattaria alle norme che indebolisce il progetto europeo.

Così strutturato il salvataggio di MPS costerà ben più dei 5 miliardi dell’aumento di capitale. Equita SIM, ipotizzando il piano di ristrutturazione di Mps senza coinvolgimento di Atlante, parla di 6.6 miliardi. “Di questi, 2.5 miliardi verrebbero garantiti dalla conversione di subordinati istituzionali, mentre la ricapitalizzazione pubblica ammonterebbe a 4 miliardi”. Il Governo avrebbe il 62% del “nuovo MPS”, gli investitori istituzionali il 38%.
Se invece, come ritengo, le sofferenze saranno svalutate del 75% (come Unicredit) invece del 67% del piano industriale, serviranno altri 2 miliardi.

Il nuovo assetto azionario dovrebbe cambiare la governance della banca senese. Invece, alla guida di MPS si sono riproposti il Presidente Alessandro Falciai e l’AD imposto da Jp Morgan, Marco Morelli. Una situazione senza discontinuità, a meno che l’UE e la BCE non impongano un deciso cambiamento del piano industriale e quello di Morelli è stato bocciato dal mercato. Insomma, il rischio è che non cambi nulla salvo i costi del salvataggio sui contribuenti.
I risparmiatori retail avranno obbligazioni meno rischiose, mentre gli obbligazionisti delle 4 banche “risolte” lo scorso anno, finora hanno avuto poco o nulla.
Da Bruxelles arrivano segnali positivi per il governo, ma solo nelle prossime settimane si capirà se il decreto passerà l’esame europeo. L’ingresso pubblico nel capitale di MPS è temporaneo ed entro 18 mesi il MEF dovrà uscire dal capitale, il che non è semplice, viste le difficoltà incontrate nella cessione delle 4 banche. Se bastasse cedere le sofferenze per rendere appetibile la banca l’operazione di mercato sarebbe già andata in porto. La sensazione è che il Governo abbia comprato tempo nella speranza che nei prossimi 18 mesi accada qualcosa che faccia sistemare le cose.

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