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Non si può uccidere un’idea: l’eredità di Che Guevara

Traduzione dell’articolo di Peter Kornbluh pubblicato sul The Nation con il titolo “The Death of Che Guevara Declassified” (10 ottobre 2017).

Circa 10 anni fa, mi recai a Miami con i produttori del film hollywoodiano su Che Guevara – con protagonista Benicio del Toro e diretto Steven Soderbergh – per raccogliere informazioni sulle circostanze dell’esecuzione del Che. In un ristorante a Little Havana, la roccaforte negli Stati Uniti della comunità anti-castrista in esilio, incontrammo Gustavo Villoldo, agente segreto cubano-americano assegnato alla Bolivia nel 1967 per aiutare a rintracciare e catturare l’iconico rivoluzionario.

Villoldo si presentò con uno grosso rilegatore bianco, pieno di cimeli dell’esecuzione del Che del 9 ottobre 1967 – fotografie originali, telex segreti, servizi del telegiornale e anche le impronte digitali prese dalle mani senza vita del Che. Il rilegatore raccontava i risultati storici dell’impegno della CIA nell’addestrare e assistere sotto copertura le forze speciali boliviane al fine di eliminare il Che e il suo piccolo gruppo di guerriglieri.

Con dettagli macabri, l’agente segreto in pensione ci descrisse le sue discussioni con gli ufficiali dell’esercito boliviano quando, via elicottero, il corpo del Che arrivò dal pueblo di La Higuera, dove questi era stato catturato e ucciso, alla città boliviana di Villegrande. I boliviani volevano tagliare la testa del Che, ci raccontò, e conservarla come prova che Guevara era morto e sepolto. Ma Villoldo li convinse a creare, piuttosto, una “maschera mortuaria” di malta: tagliare e conservare le mani del Che sarebbe stata una prova sufficiente della sua morte.

Villoldo ci spiegò, inoltre, come organizzò la sepoltura segreta del corpo in un posto introvabile. Per 30 anni i resti del Che risultarono “scomparsi”, finché le sue ossa non furono ritrovate – senza le mani – in una tomba improvvisata lungo una pista di atterraggio nella periferia di Villegrande.

A un certo punto, durante la conversazione, Villoldo aprì il raccoglitore e tirò fuori una busta bianca. Dentro c’era un ciuffo di capelli marroni. Il souvenir definitivo di questa vittoria nella Guerra Fredda. Villoldo ci disse, orgoglioso, che aveva tagliato ciocche di capelli del Che prima di disfarsi del corpo. «L’ho preso perché il simbolo della rivoluzione era questo tizio barbuto e dai capelli lunghi che scendeva dalle montagne. Per me era come tagliare il vero e proprio simbolo della rivoluzione cubana».

Cinquant’anni fa, gli agenti statunitensi condividevano questo sentimento. Consideravano la cattura e l’esecuzione di Che Guevara come la più importante vittoria degli Stati Uniti sulla sinistra militante cubana e dell’America Latina durante l’epoca degli interventi statunitensi e la controguerriglia degli anni ’60. I vertici della CIA e i funzionari della Casa Bianca scrissero numerosi documenti segreti analizzando l’importanza della fine del Che – per Fidel Castro e Cuba, e per gli interessi degli Stati Uniti nel bloccare i processi rivoluzionari in America Latina.

Nella foto: Il Memorandum per il Presidente Usa Lyndon Johnson

Questo memorandum […] fu preparato per il presidente Lyndon Johnson cinque giorni dopo la morte del Che. […] La morte di Guevara, si legge, «rappresenta un serio colpo a Castro» […]. La CIA aveva intercettato dei messaggi clandestini da L’Avana alla Bolivia che rivelavano come Fidel volesse che l’insurrezione boliviana servisse «[…] a dare vita a un movimento su “scala continentale”». Castro, sempre secondo questi messaggi intercettati, aveva anche chiamato a raccolta, a L’Avana, membri di alto rango del Partito Comunista boliviano per consigliare loro di non presentare la rivolta come un movimento nazionalista. Piuttosto, Castro vi ne parlava come di un «movimento internazionalista».

In un altro memo per Johnson, Walt Rostow, consulente della Casa Bianca, sottolineò ulteriormente questo punto. «La morte di Guevara ha queste implicazioni fondamentali: […] 1) Segna la morte di un altro di quei rivoluzionari aggressivi e romantici come Sukarno, Nkrumah, Ben Bella – e rinforza questa tendenza; 2) Nel contesto latinoamericano, avrà un grande impatto nello scoraggiare i movimenti di guerriglia; 3) Dimostra la solidità della nostra “medicina preventiva” somministrata ai paesi che affrontano un’incipiente insurrezione – è stato il secondo battaglione boliviano, addestrato dai nostri Berretti Verdi dal giugno al settembre di quest’anno, a mettere [Guevara] con le spalle al muro e a catturarlo».

Come avrebbe reagito Fidel? I funzionari statunitensi temevano che «potesse cercare di recuperare il suo prestigio perduto» compiendo azioni drammatiche contro gli Stati Uniti – «come bombardare una delle nostre ambasciate o sequestrare personale diplomatico». Il Dipartimento di Stato mandò un avviso di sicurezza preventivo agli ambasciatori statunitensi nella regione.

La rivoluzione cubana, tuttavia, non era nota per fare ricorso al terrorismo internazionale; nessuna bomba fu fatta scoppiare nelle ambasciate statunitensi e nessun diplomatico fu preso di mira. Fidel reagì facendo un discorso impetuoso, solenne e toccante durante la manifestazione in ricordo di Guevara che si tenne il 18 ottobre, affrontando direttamente alcuni dei punti contenuti nei report confidenziali che circolavano ai livelli più alti del governo statunitense.

La morte del Che, dichiarò Fidel, fu un «duro colpo, un colpo tremendo per il movimento rivoluzionario». Ma, aggiunse, «quelli che la festeggiano come una vittoria si sbagliano di grosso. Si sbagliano di grosso quando pensano che la sua morte sia la fine delle sue idee, la fine delle sue strategie, la fine della sua idea di guerriglia, la fine della sua teoria».

Le insurrezioni continuarono e così le operazioni di controinsurrezione guidate dagli Stati Uniti, in particolare in paesi dell’America centrale come il Guatemala, El Salvador e il Nicaragua. Con il supporto logistico e l’addestramento cubano, a un decennio dall’esecuzione del Che, il Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale diventò un movimento formidabile che alla fine depose la dinastia dei Somoza. I funzionari di Washington sbagliavano a credere che le idee di Guevara, i suoi concetti e l’impegno per la resistenza sarebbero stati sepolti con il suo corpo. Le sue tattiche fallite di guerriglia potranno non essere state fonte d’ispirazione, ma il suo martirio per mano della CIA sì.

A Cuba, la commemorazione del 50° anniversario della morte del Che ha evidenziato un tentativo, che continua ancora oggi, di dare forza alla rivoluzione e alla resistenza agli Stati Uniti. Alla manifestazione di Santa Clara, dove Guevara è sepolto, il vicepresidente cubano Miguel Díaz-Canel ha citato il monito del rivoluzionario, secondo cui «non ci si può mai fidare dell’imperialismo, nemmeno un po’, mai». In risposta alla retorica da bullo di Donald Trump e alle sue politiche punitive contro Cuba, Díaz-Canel ha ripetuto che «Cuba non farà mai concessioni sulla propria sovranità e indipendenza, né scenderà a patti sui propri principi».

Anche il destino delle reliquie di Gustavo Villoldo spiega bene l’eredità iconica e idealizzata di Guevara. Villoldo alla fine decise di mettere all’asta il suo raccoglitore sull’esecuzione del Che. L’asta si tenne il 25 ottobre del 2017, alle Heritage Auction Galleries di Dallas.

Inizialmente, l’offerta minima era di 50.000 dollari. Ma dopo che l’azienda di vendita all’asta ricevette una richiesta d’interesse da parte governo venezuelano del defunto Hugo Chávez – probabilmente Chávez aveva intenzione di comprare i capelli e restituirli alla famiglia del Che – l’offerta minima fu raddoppiata. Quando il rilegatore andò all’asta, tuttavia, c’era solo un offerente – un librario texano di nome Bill Butler, che accettò di pagare 100.000 dollari più 19.500 dollari di commissioni sulle vendite.

Butler dichiarò che voleva esporre il raccoglitore nella sua libreria di Houston e che aveva fatto questa spesa costosissima perché – come disse ai giornalisti – Che Guevara è stato «uno dei più grandi rivoluzionari del XX secolo».

Nella foto di copertina: Ernesto Che Guevara (di Elliott Erwitt)

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