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Oltre l’economia della cultura

Nel corso degli anni è andata crescendo un’attenzione particolare sui temi del rapporto tra economia e patrimonio culturale. Economisti ed esperti di marketing hanno studiato la gestione dei beni culturali con criteri aziendali per produrre il massimo del profitto ed il massimo della soddisfazione dei clienti, affinchè si facessero promotori di nuovi visitatori. Progressivamente questo aspetto, legittimamente trattato e affrontato, senza però mai mettere in pratica quelle riforme che sarebbero stati indispensabile per migliorare le performance nella gestione del nostro patrimonio, senza investire in modo adeguato, hanno condotto alle politiche di questi ultimi anni e alla sempre più ferma convinzione che scopo precipuo del patrimonio culturale fosse quello di far crescere il PIL, associandolo ora con il turismo, ora con l’industria creativa, ora con la moda e il design. Altri hanno sostenuto la tesi dell’autosostentamento dei musei attraverso i propri incassi, una favola che trascura il particolare che praticamente non esiste un museo con il bilancio in pareggio grazie alle sole proprie entrate. Così il patrimonio culturale è diventato sempre più un elemento di una catena di consumo fatta di turismo, produzioni locali, made in italy.

Il museo, in particolare, è andato perdendo la sua specificità, quelle che sono contenute nella definizione dell’ICOM. Il Museo è un’istituzione permanente senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo, aperta al pubblico, che effettua ricerche sulle testimonianze materiali e immateriali dell’uomo e del suo ambiente, le acquisisce, le conserva, le comunica e specificamente le espone per scopi di studio, istruzione e diletto”.

Il termine valorizzazione è stato usato per rimarcare l’opportunità di dare un valore economico al museo, di farne un soggetto capace di produrre, direttamente o indirettamente, punti di PIL o risorse per il suo autosostentamento. Sarebbe stato più utile trattare il museo come un corpo vivo, quasi un individuo, e ricordarsi che “valorizzare una persona” significa “metterla in condizioni di esprimere ed estrinsecare tutte le proprie capacità e qualità, affidandole un ruolo e compiti adeguati”.
Così, mentre gli studi sull’economia della cultura, l’economia della bellezza, il rapporto tra turismo e cultura, tra cultura creativa e industria hanno avuto uno sviluppo costrante con decine di ricerche, pochi si sono interessati a cosa volesse dire valorizzare la “persona-museo” e, soprattutto, di analizzare i vantaggi qualitativi e quantitativi che ne possono derivare. Si badi bene: non si vuole negare i benefici indubbi che il patrimonio culturale, i musei e le aree archeologiche specificatamente, producono per i turismo, che in Italia il turismo delle città d’arte muova quasi il 50% dei flussi turistici, che dai 103 milioni di visitatori dei musei e delle aree archeologiche le comunità locali traggano un beneficio economico. Quello che qui si vuole proporre è una chiave di lettura diversa, dimostrando che c’è un valore immateriale dei musei e delle altre istituzioni culturali (biblioteche e archivi), frutto del patrimonio che conservano. E questo è un valore anche misurabili in termini economici.

In Italia non esistono praticamente studi con questo approccio, cosa che invece accade in altri paesi europei e negli Stati Uniti, ma anche in paesi emergenti. Così, ad esempio, un studio dettagliato promosso dal governo scozzese nel 2011 ha dimostrato che frequentare luoghi ed eventi culturali ha un effetto positivo sulla salute e sulla soddisfazione individuale.
Altri studi hanno dimostrato che l’uso dell’arte, se erogato in modo efficace, ha il potere di facilitare l’interazione sociale e sostenere il volontariato. Vi sono prove crescenti che bambini e giovani che svolgano attività in campo artistico e culturale, anche mediante l’accesso al patrimonio culturale ricevano uno stimolo ad una più ampia partecipazione sociale e civica. Analisi sistematiche effettuate tramite il programma CASE (CASE, 2010b) e il Cultural Learning Alliance (2011) hanno dimostrato che fra gli studenti delle scuole superiori americane chi si impegna nelle arti a scuola ha il doppio delle probabilità di fare volontariato rispetto a quelli che non si impegnano nelle arti.
Tutto muove da analisi condotte sui visitatori che anche in Italia sono state fatte, ma sempre e solo in una logica di marketing e non preoccupandosi di cosa cambia e quali vantaggi ci sono in un cittadino/visitatore dopo la visita a un museo

In Museums and Happiness. The value of partecipating in museums and the arts (Musei e felicità. Il valore della partecipazione al museo e alle arti) uno studio realizzato utilizzando l’indagine Taking Part, un sondaggio faccia a faccia ininterrotto su adulti di 16 anni e oltre e bambini di età compresa tra 5 e 15 anni in Inghilterra, gli autori si pongono inaniera molto attenta il problema della relazione che esiste tra benessere e musei. Il tema è affrontato in modo scientifico,utilizzando modelli matematici e statistici che portano a misurare esattamente questa relazione. Non solo, ma gli autori si spingono oltre chiedendosi se sia possibile dare valore a questi benefici. Nell’analisi condotta nel 2013, Daniel Fujiwara, economista della London School of Economics and Political Science, utilizza gli effetti sul reddito per assegnare un valore monetario alla partecipazione alle arti e alla cultura e quindi stabilire una misura del suo impatto economico indiretto. Lo studio porta a delle conclusioni molto interessanti.

Visitare i musei ha un impatto positivo:
sulla felicità e sulla salute dichiarata;
gli effetti positivi sulla felicità è maggiore nel pubblico delle arti;
l’impatto sulle arti e della stessa entità dell’effetto della partecipazione allo sport;
la mancanza di tempo è la principale barriera ai musei;
il fatto di non essere stati portati ai musei dai genitori da bambino è la più grande barriera per le persone che visitano i musei quando ne osserviamo il comportamentodi visita.

Analoghi studi sono stati condotti sulle biblioteche (Bolton Library, 2005; British Library, 2011). In particolare la British ha dimostrato che ogni sterlina ricevuta annualmente da fondi pubblici genere £4.40 per l’economia del Regno Unito. Sono studi che dovrebbero far pensare il nostro governo e fargli comprendere che la cultura produce molto al di là del turismo.

E’ possibile trarre delle indicazioni da tutto questo per andare in una nuova direzione.
– La prima è che bisogna recuperare un’idea del valore del museo (ma anche di biblioteche) in sé e non in funzione del vantaggio economico che produce in termini di PIL (cosa che è ampiamente scontata). Questo comporta che anche biblioteche e archivi debbano avere i necessari sostegni per svolgere le proprie funzioni sociali ed educative.
– La seconda è che il museo produce benessere nel cittadino, oltre a sostenere l’identità cuturale di una comunità territoriale e nazionale e che questo elemento deve sempre essere tenuto presente. Quesro beneficio è tanto più crescente se la fruizione del museo avviene in condizioni ottimali. Le prime domeniche gratuite hanno favorito l’avvicinarsi del pubblico ai musei, ma le condizioni di queste visite sembrano più simili, per la calca, a quelle di un outlet sotto le feste di Natale. Non si tratta, come ha detto Franceschini, di volere il museo per pochi, ma di volerlo fruibile nel migliore dei modi. Le domeniche non sono sufficienti e servirebbero altre opportunità, soprattutto per i cittadini residenti.
– La terza è che nel museo vanno sviluppate le funzioni di studio, istruzione come premessa per far crescere il valore della conoscenza individuale e collettiva. Sostenere la frequentazione dei musei mediante l’introduzione della gratuità di accesso, ad esempio, solo apparentemente non aiuta la crescita. Come ho già spiegato in un altro intervento, gli incassi dei musei statali si concentrano su 30 (i cosiddetti top30). Gli altri 400 potrebbero essere completamente gratuiti con una spesa di circa 25 milioni di euro. Con un adeguato investimento in attività di servizio in quei 400 musei si potrebbe produrre occupazione qualificata per la didattica e la formazione degli insegnanti. L’introduzione della gratuità in tutti i musei per gli over sessanta che accompagnano bambini al museo favorirebbe l’avvicinamento dei più giovani al nostro patrimonio. Tante altre proposte deriverebbero da una nuova visione dei musei da parte della classe politica.
Sono solo alcune proposte, ma rovesciando la logica di questi anni e recuperando la vera natura e funzione del museo, delle biblioteche e degli archivi, altre se ne potrebbero trarre, soprattutto a favore dei ceti più deboli.

Condizione perchè si possano realizzare questi obiettive è un aumento consistente delle risorse per i musei che potrebbero essere reperite con l’eliminazione del bonus ai diciottenni e con la soppressione del bonus docenti, due provvedimenti fatti nella logica del consumo individuale e non del benessere collettivo
L’altro elemento è riportare alle necessità reali il personale delle soprintendenze, dei musei e delle biblioteche che è stato ridotto negli anni in maniera indecente. Non si dica che i soldi non si trovano. L’allocaggio delle risorse disponibili, anche quando sono poche, è conseguenza di scelte economiche e sociali. Basta ricordarsene e scegliere da che parte stare.

Nella foto di copertina: Firenze, code agli Uffizi

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