E’ accaduto ciò che era oramai ovvio accadesse, PD e sinistra (MDP, Sinistra Italiana, Possibile) andranno separati al voto. Ovvio per diversi motivi, su cui abbiamo già ampiamente scritto e che cerchiamo di riassumere con il titolo di un celeberrimo film di Mario Monicelli: “Parenti serpenti”.
Si narra, con la solita cinica e travolgente ironia propria del regista toscano, di un gruppo familiare riunito per le festività natalizie. Dopo i convenevoli di rito, emergono le profonde e insanabili divergenze che li dividono pressoché su tutto, coperte fino a quel momento da uno spesso velo di ipocrisia. Quando si tratterà di provare a trovare una soluzione condivisa su chi tra fratelli, sorelle e affini, dovrà prendersi cura degli anziani genitori ecco che l’unica scelta che li accumunerà sarà quella di simulare un incidente domestico che risolverà alla radice il problema. Festeggeranno San Silvestro separatamente mentre una terribile esplosione, causata da una stufa a gas “difettosa”, distruggerà la casa paterna e destinerà a miglior vita entrambi i genitori.

Per rimanere all’interno della metafora, da oggi e sino alle prossime elezioni la disputa verterà sui presunti responsabili dell’esplosione che ha mandato in frantumi la sinistra.
E’ un esercizio che nemmeno tanto sotto traccia è iniziato già da tempo e i “traditori” sono stati immediatamente individuati e additati al pubblico ludibrio.
Di conseguenza, quando “padri nobili” e meno nobili, singhiozzando e con gli occhi velati di lacrime, lamentano che non ci si può dividere per questioni personali, dicono una cosa indubbiamente vera, dimenticando, però, quanta sostanza politica c’è alla base delle contrapposizioni personali. Insomma, non è una questione di suscettibilità. La distanza non può essere misurata in base al grado, che una presunzione assoluta ritiene altissimo, di permalosità di Bersani o di D’Alema. La distanza deve misurarsi sulle questioni politiche che quelle ed altre persone pongono.
Sostenere, come fanno Fassino ed altri, che “il passato è passato” e che bisogna attrezzarsi per costruire il futuro, è senz’altro condivisibile se non fosse per il fatto che un intervento di lobotomia politica dovrebbe riguardare solo noi e non il PD. In pratica, dovremmo sorvolare, se non dimenticare, la limitazione dei diritti dei lavoratori, accettando l’ipotesi che il Jobs act non solo non può essere messo in discussione ma è addirittura possibile riproporlo. Sulla sanità vedremo, dicono, la disponibilità di risorse finanziarie che risulterebbero già insufficienti per ipotizzare l’abolizione del super ticket. Sull’alternanza scuola – lavoro, così come concepita dalla “Buona scuola”, ha torto chi vede una forma di ignobile sfruttamento a danno degli studenti, quando è noto che la preparazione di un panino “Big Mac” affina le competenze e spalanca le porte del mercato del lavoro. Sulla scelta di investire nella tutela idrogeologica e ambientale del territorio anziché sulle mega opere così come previsto dallo Sblocca Italia, non se ne parla nemmeno. Circa le pensioni, viste le infallibili analisi macroeconomiche dei bocconiani di turno, si potrà lavorare sino a quando non sarà esalato l’ultimo respiro. Del resto, ci spiegano, sono politiche squisitamente di sinistra, ispirate alla migliore tradizione delle socialdemocrazie nordiche. Non si dice, a proposito di quei modelli, che lo Stato accompagna i cittadini “dalla culla alla tomba”? Appunto. Su tutto il resto, però, si può trattare.

Questo modo di procedere e ragionare mi fa venire in mente me stesso ogni qualvolta la mia compagna mi propone di recarci all’Ikea. Se si eviteranno le polpette di cervo, la libreria Billy, i divani in faggio svedese, gli utensili per la cucina e il bagno e siamo comunque fuori massimo in un’ora, perché all’Inter in TV non posso proprio rinunciare, allora acconsentirei ad accompagnarla. Aggiungere che la mia compagna si reca all’Ikea per conto suo, rientra nel novero delle ovvietà.

Capisco che trovare un accordo con Alternativa Popolare di Angiolino Alfano è molto più semplice. La Lorenzin per allearsi ha chiesto solo che sia (ri)previsto nella Legge di Bilancio il “bonus bebè”. Ovviamente per le famiglie eterosessuali. Questo con buona pace della senatrice Monica Cirinnà, la madre della norma sulle unioni civili castrata dal Governo sul tema della stepchild adoption, secondo cui Pierluigi Bersani si sarebbe bevuto il cervello. Tralasciando l’elegante modo di valutare le scelte dell’ex segretario PD, è evidente che il Rosatellum costringe, pena la non ricandidatura e agognata rielezione, ad accreditarsi come più realisti del re. E’ l’evoluzione, in definitiva, del cosidetto “metodo Serracchiani”. La componente della segreteria nazionale del PD, nonché ex deputata e attualmente Presidente della regione Friuli Venezia Giulia, fu catapultata ai vertici del suo partito e della politica nazionale attraverso una singolare forma di selezione della classe dirigente: l’insulto pubblico al proprio leader. Fu così che conquistò sia Walter Veltroni (all’epoca segretario), che un seggio in parlamento. Oggi si insulta il leader avversario.

E a proposito del Rosatellum, quale reale e sincera spinta ad allearsi ha mosso chi ha posto otto voti di fiducia per non accogliere nessuna delle proposte di modifica avanzate da Art. 1? La previsione del voto disgiunto, ad esempio, avrebbe dato senso anche da un punto di vista tecnico ad una ipotetica alleanza. Così com’è, in realtà, quella legge non permette alleanze ma desistenze nei collegi e notte dei lunghi coltelli nella composizione dei listini proporzionali. Vi è inoltre una singolare previsione normativa (Art. 1 – comma 7, punto 3.), secondo la quale i partiti o i gruppi politici organizzati, contestualmente al deposito del proprio contrassegno e del programma elettorale, indicano “il nome e cognome della persona da loro indicata come capo della forza politica”. Fatte salve, si affrettano ad aggiungere nell’ultimo capoverso, le prerogative attribuite dall’art. 92 della Costituzione al Presidente della Repubblica. L’unico vero “capo” riconosciuto dal nostro ordinamento: di Stato. Sinceramente non capisco. O meglio, capisco la previsione relativa al Presidente senza la quale la Corte Costituzionale avrebbe cassato la legge prima ancora che venisse pubblicata. Ma l’indicazione del capo a che serve e, soprattutto, in caso di coalizione nella quota proporzionale, chi è il capo? E come viene individuato?

Non è, ovviamente, una questione di lana caprina, non è tecnicismo buono per animare un dibattito tra costituzionalisti. E’ questione squisitamente politica, è una previsione messa lì per mettere preventivamente al riparo le aspirazioni di qualcuno.
Insomma, ma sulla base di cosa si poteva onestamente ipotizzare che certe differenze potessero davvero superarsi sulla base di colloqui fuori tempo massimo? Non prendiamoci in giro, c’è chi è enormemente soddisfatto dell’annunciato epilogo. Ma non cercatelo in via Zanardelli n. 34, Roma.

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