Antonio Gramsci

Per un regionalismo di tipo nuovo (a 79 anni dalla morte di Gramsci)

Le vicende che portano all’indipendenza della Toscana il 27 Aprile 1859 con la partenza di Leopoldo II di Lorena voluta dagli indipendentisti guidati da Bettino Ricasoli, s’inseriscono nei moti per l’indipendenza che porteranno alla nascita in tutta Europa, e anche in Italia, di vari Stati nazionali.

Capire la storia serve a capire il presente e per una Regione come la Toscana a comprender meglio la sua identità, le sue peculiarità, pur nel quadro di un presente assai travagliato.

Peculiare è stata la fase del dispotismo illuminato, del Settecento riformatore. Ben sappiamo quale impronta di sviluppo, modernità e civiltà abbia lasciato il segno più che secolare dei Lorena in Toscana. Una parte importante di ciò che oggi vediamo, di ciò che oggi è la Toscana, è dovuto al “buon governo” di Pietro Leopoldo.

Ma è evidente che quella dimensione della “Toscanina” tanto felice aveva esaurito da tempo la sua funzione propulsiva. Mentre l’idea della Nazione si affermava come idea culturale e politica in tutta Europa l’Italia mostrava tutta la sua arretratezza, la sua debolezza e le sue divisioni.

L’Italia riscopriva la sua servitù con la necessità di una lotta per la libertà, per una Nazione Patria comune. Non con l’Italietta dei 7 Stati o staterelli ostili tra loro e sorvegliati da potenze straniere. Certamente la borghesia, la sua visione, i suoi interessi spiegano questo processo. Ma non da soli.

Il Risorgimento, come bene ha mostrato lo storico Lucio Villari nel suo “Bella e perduta. L’Italia del Risorgimento” è stato innanzitutto opera dei giovani, del loro desiderio di conquistare la libertà italiana, rivendicarne l’unità e l’indipendenza politica, la fine della subalternità ai paesi stranieri e alla Chiesa del potere temporale. Del loro ideale di fare dell’Italia un paese che fosse a pieno titolo nell’Europa moderna delle Costituzioni, dei diritti dell’uomo e del cittadino, del senso della giustizia e del valore dell’eguaglianza ereditati dalla Rivoluzione francese.

Per questo diedero la vita i giovani pisani, e senesi, e toscani, insieme ai napoletani che parteciparono alla battaglia di Curtatone e Montanara contro l’Austria nel 1848. “Quei mille che lasciarono / le tosche lor contrade / e volontari corsero / all’immortal tenzone”.

E ancora, “Noi partimmo divisi in due colonne, una da Pisa e l’altra da Firenze alla volta di Modena … Oh meravigliose a vedere quelle legioni improvvisate, nelle quali il medico, l’avvocato, l’artigiano, il prete, il padrone e il servo marciavano mescolati in culto d’Italia” scriverà Giuseppe Montanelli, professore pisano ferito e fatto prigioniero.

Dopo la costruzione del governo provvisorio ci fu la breve stagione della Toscana indipendente sotto la protezione di Vittorio Emanuele II e infine nel 1860 il referendum (senza quorum!), o meglio il plebiscito, che portò 366.571 toscani a esprimersi per l’annessione al Regno di Sardegna contro 14.925 indipendentisti irriducibili.

La Toscana parteciperà poi numerosa nel maggio dello stesso anno alla spedizione di Garibaldi, aderendo a più riprese con migliaia di giovani in partenza da Livorno per dare il contributo finale alla costruzione dello Stato unitario.

LA RIVOLUZIONE MANCATA – Gramsci, di cui oggi si ricorda la morte il 27 Aprile del 1937, sottolinea come si sia trattato di una “rivoluzione mancata” per il fatto che ne restarono esclusi i ceti non borghesi, in primo luogo i ceti contadini. Mancò la volontà di acquisire il loro consenso con una riforma agraria che superasse il latifondo e creasse un ceto di contadini piccoli proprietari. Qui l’origine anche della feroce repressione da parte dello Stato unitario dei moti contadini dell’Italia Meridionale, di cui parla con parole di condanna lo stesso Gramsci.

In effetti, semplificando, è difficile immaginare il Barone Ricasoli che si propone un’alleanza rivoluzionaria con i suoi contadini, i quali, invece, insieme alla classe operaia e ai ceti borghesi intellettuali più avanzati delle città, questa rivoluzione se la sono fatta anche qui in Toscana con la Resistenza contro il nazifascismo, da cui è nata la Repubblica democratica e la nostra Costituzione.

Il processo unitario, anche per Gramsci, fu comunque un processo positivo, perché portò all’unità nazionale nonostante il suo carattere di rivoluzione mancata. Ricordare oggi quel periodo è importante per capire come la costruzione dell’identità nazionale passi nella nostra Regione attraverso irriducibili peculiarità toscane. Ma questo non ha mai significato chiusura e localismo.

Oggi sono maturi i tempi per una revisione del regionalismo che inquadri meglio le Regioni all’interno di una compagine nazionale, dove il principio degli interessi nazionali sia esercitato nel rispetto dei territori e in modo cooperativo tra istanze regionali e statali.

Sono maturi i tempi per nuove geometrie territoriali basate su elementi culturali, sociali, economici e politici che abbiano carattere d’omogeneità ma che siano sufficientemente dimensionate per giocare un ruolo nello scenario nazionale ed europeo.

GLI STATI UNITI DELL’EUROPA – E infine l’Europa. Noi vogliamo avere una regione Europa. Vogliamo un’Europa unita. Vogliamo gli Stati Uniti d’Europa perché solo così potrà essere salvata nel mondo globalizzato la nostra civiltà europea a cui questa città di Firenze e questa Regione hanno dato un contributo fondamentale.

Ecco la nostra sfida. Tenere insieme gelosamente più identità nelle quali riconoscersi: quella cittadina, quella regionale, quella nazionale ed infine quella europea. È l’eredità della nostra storia per la quale non si può non vedere, insieme a tante difficoltà, arretramenti, tragedie, un movimento che va nella direzione dell’affermazione delle idee di libertà e di eguaglianza. Noi manteniamo questa fiducia nonostante le “piccole patrie”, i muri, le chiusure egoistiche che sembrano riportare indietro tutto il Continente e fanno risorgere i fantasmi del passato.

Scriveva Benedetto Croce (nel 1932, in pieno trionfo del regime fascista e nazista), nell’epilogo della sua “Storia d’Europa nel secolo XIX”: “Per intanto, già in ogni parte d’Europa si assiste al germinare di una nuova coscienza, di una nuova nazionalità (perché, come già si è avvertito, le nazioni non sono dati naturali, ma stati di coscienza e formazioni storiche) e a quel modo che, or sono settant’anni, un napoletano dell’antico Regno o un piemontese del Regno subalpino si fecero italiani non rinnegando l’esser loro anteriore ma innalzandolo e risolvendo in quel nuovo essere, così e francesi e tedeschi e italiani e tutti gli altri s’innalzeranno a europei e i loro pensieri indirizzeranno all’Europa e i loro cuori batteranno per lei come prima per le patrie più piccole, non dimenticate già ma meglio amate”.

Così noi vogliamo essere toscani, italiani ed europei.

Enrico Rossi è il presidente della Giunta regionale della Toscana. Il testo pubblicato è l’intervento che ha tenuto nella seduta solenne del Consiglio regionale per ricordare l’Indipendenza della Toscana (il 27 aprile 1859).

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