Referendum Costituzionale

Perché Sì (alla Prodi, alla Rossi)

Non voglio morire renziano. Ma questo con il referendum non c’entra proprio nulla. Domenica si vota unicamente per stabilire se la riforma costituzionale approvata dal Parlamento dovrà essere anche approvata dagli elettori. Sì o No, tertium non datur. Ribadisco, voterò sì e ora ho anche un argomento in più. Me lo ha dato la mamma di Romano Prodi: “ Meglio succhiare un osso che un bastone”. Significa che per Prodi, Rossi e moltissimi altri questa non è, parafrasando il Candido di Voltaire, la migliore delle riforme possibili. Del resto non lo fu per molti “Padri Costituenti” nemmeno quella del 1948, quella che, solo per la seconda parte, ci accingiamo (forse) a riformare. Allora furono, infatti, diversi gli articoli, votati a maggioranza e che videro forti contrapposizioni all’interno dell’Assemblea stessa, basti per tutti il voto sull’art. 7 che regola i rapporti tra Stato e Chiesa. Sicuramente questo Governo e questo Parlamento potevano fare meglio. Magari il Premier poteva, in una materia delicata come questa, lasciare per un attimo la sua ansia decisionista e confrontarsi un po’ di più con quanti, minoranza interna e intellettuali, in tempi non sospetti, ritenevano che alcuni passaggi della proposta di riforma dovevano essere meglio chiariti. Nessuno l’avrebbe accusato di essere “portatore di una straripante nostalgia postcomunista”, il cui copyright rivendichiamo gelosamente, ma, al contrario, avrebbe dimostrato lungimiranza e senso di responsabilità. Quella lungimiranza politica, onestà intellettuale e senso dello Stato che, ribadisco, da Prodi a Rossi, da Cuperlo a Boccia stanno mostrando rispetto all’appuntamento referendario.

Proviamo a capovolgerlo, il quesito referendario. Proviamo ad immaginare se sulla scheda fosse scritto: “Volete Voi mantenere due camere legislative, 951 parlamentari e relative indennità, un organismo (il CNEL) oggettivamente inutile e che nella sua settantennale storia non ha mai prodotto nulla di significativo?”. Personalmente, ad esempio, provo un’autentica allergia verso parole d’ordine populiste e, queste sì, potenzialmente pericolose per la democrazia, quali quelle sulla riduzione dei “costi della politica”. La politica, purtroppo, costa e stabilire se i relativi oneri debbano essere ripartiti tra tutti i cittadini o far ricorso a quei pochi che li hanno e che possono poi condizionare le scelte degli eletti, non mi sembra un aspetto secondario. Chiedete a Sanders quanto le lobby riescano a condizionare le scelte economiche e sociali negli Stati Uniti. Ma avere qualche parlamentare in meno e tagliare un po’ di indennità ai consiglieri regionali (la Regione Toscana ha fatto, in questo caso, come fece per la pena di morte: anticipato tutti, Renzi compreso), ci permetterebbe di avere qualche decina di milioni di euro in più che, per esempio, potrebbero essere destinati all’aumento dei posti letto dell’oncologia pediatrica di Taranto. Per dire.

Come ha giustamente detto Giorgio Napolitano, questa riforma non contiene nulla di miracolistico ma è un primo, anche se non decisivo, passo avanti nel funzionamento delle Istituzioni. Con questa riforma, rispetto al pantano in cui è bloccata la macchina Stato, almeno un paio di ruote le portiamo fuori dal fango. Il resto dell’auto uscirà definitivamente se la politica riuscirà a recuperare per intero il suo nobile scopo. E sarà allora, e solo allora, che riprenderemo a confrontarci sui limiti del renzismo, sui limiti della sinistra italiana, europea e mondiale e sulle sue prospettive. Solo allora, praticamente il giorno dopo il referendum, discuteremo se il PD dovrà ispirarsi “ad un nuovo socialismo, un partito organizzato e fatto di lavoratori, ceto medio, giovani precari, emarginati e poveri, alleato con gli imprenditori che investono e creano occupazione” (lo straripante postcomunista Enrico Rossi, n.d.r.).
Deve essere chiaro sin da oggi che il Sì serve, ma non basta. Noi siamo convintamente in campo perché la riforma sia approvata e che a nessuno, in caso di auspicata vittoria, venga in mente che non si fanno prigionieri. Poi, però, occorre la Politica. La maiuscola non è un refuso.

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