Disaffezione

Politica, Pd e cittadini, come curare la malattia della disaffezione

L’interesse verso la politica, anche qui in Toscana, sembra essersi ridotto e confinato poco oltre i gruppi dirigenti, sempre più ristretti e autoreferenziali. Mentre tra i cittadini è progressivamente evaporato. Eppure questa terra ha espresso un alto senso civico, forti passioni politiche ed elevati livelli di partecipazione. Vale la pena ricordare che nel 1970 si presentarono alle urne, per eleggere il primo consiglio regionale, il 95,9% degli elettori. Una partecipazione che per decenni si è mantenuta ai vertici della classifica nazionale. Fino a toccare percentuali altissime alle elezioni politiche del 1976, con ben il 96,9% di votanti.
In questi ultimi decenni il mondo è cambiato. E anche la Toscana non è da meno. Tuttavia qui la partecipazione è rimasta alta, sempre sopra la media nazionale. È stato così alle politiche del 2013 con il 79,2% di votanti (il 75,1% in Italia). Lo stesso alle europee del 2014 dove, pur in presenza di un calo generalizzato, in Toscana si continua votare di più (il 66,7% contro una media del 58,6). Ma alle regionali del 2015 l’andamento si inverte: per la prima volta in Toscana si vota meno che altrove. L’affluenza si ferma ad un modesto 48,2%. Il dato più basso in assoluto: le Marche sono al 49,7, in Liguria al 50,6, in Campania al 51,9, in Puglia al 51,1, in Umbria al 55,4, in Veneto al 57,1.
In questa tornata la fuga dalle urne colpisce soprattutto le cosiddette regioni “rosse”. Oltre alla Toscana e all’Umbria è bene ricordare che nel 2014 in Emilia Romagna si presentarono alle urne, per rinnovare il consiglio regionale, solo il 43% degli elettori. E lo scorso 17 aprile, per il referendum sulle trivelle, la media nazionale si è fermata al 32%. Con la Toscana ancora sotto la media: ferma al 30,8%. Così in Umbria. Mentre Emilia Romagna e Marche, pur coinvolte direttamente, non vanno oltre al 34%, appena due punti sopra la media. Un esito frutto dell’attivismo a favore del non-voto svolto dal governo, dal Pd e in prima persona dal suo leader.
Insomma nel giro di pochi anni il comportamento degli elettori si inverte: da una partecipazione medio-alta si è scesi al di sotto. Tanto che anche qui il non-voto è ormai e stabilmente il primo partito: certo il Pd continua a vincere, ma perde di brutto contro l’astensione. Nel 2015 sono oltre un milione e mezzo i toscani che hanno disertato le urne contro i 614mila che hanno scelto il partito democratico.

Dal principale partito mi sarei aspettato ricerche e seminari, studi e convegni per capire e interpretare questo fenomeno, per dare voce al non-voto e cercare rimedi a questa “malattia” che colpisce la partecipazione e la democrazia rappresentativa. Invece pochi i commenti e limitati solo alle ore successive alla chiusura dei seggi. Dal giorno dopo non se n’è più parlato. Anzi in occasione del referendum del 17 giugno si è pure trasformato il non-voto in un’espressione di consenso nei confronti del governo. Insomma questa vasta area di elettori che diserta le urne non sembra destare particolare interesse. Eppure la crescita esponenziale dell’astensionismo è, e dovrebbe essere, uno dei principali problemi della politica.

Mi spiego. L’elevata tradizione della partecipazione al voto è il frutto di una speciale “circolarità comunicativa” (così la definisce Antonio Floridia) tra cittadini, associazioni, partiti e istituzioni. In cui proprio i partiti hanno da sempre svolto un’azione costante di stimolo e sollecitazione. Una circolarità da essi considerata un’esigenza vitale per la loro attività oltre che una risorsa della democrazia, a cui si è sempre conferito un significato positivo, di impegno civile. Tanto che questo processo è stato utilizzato anche come canale di formazione e selezione dei gruppi dirigenti locali. Da qui l’idea di una politica che affida alla partecipazione dei cittadini e al protagonismo sociale una funzione vitale. Non a caso in Toscana gli elettori sono esigenti, abituati da generazioni a dire la loro e ad essere considerati e ascoltati. Questo speciale rapporto ha consentito alla politica, e quindi alle istituzioni toscane, di cogliere tempestivamente i problemi e anticipare bisogni ed esigenze dei cittadini.

Tutto ciò, a partire dagli anni ’90, è progressivamente cambiato. Quella modalità organizzativa dei partiti, Pd compreso, è venuta progressivamente meno e non è stata sostituita con altri e nuovi strumenti partecipativi. Il ridimensionamento della funzione del partito e del ruolo degli iscritti, sempre meno coinvolti e sempre più spettatori, ha finito per alimentare il disimpegno, l’astensionismo e la sfiducia. Basti pensare alla ricaduta delle primarie aperte a tutti per la scelta del segretario, ridimensionando e svilendo il ruolo degli iscritti. Ciò, in particolare nelle regioni “rosse”, ha contribuito al formarsi negli elettori di un sentimento di delusione verso un Pd sempre più leaderistico, poco presente sul territorio e meno ancorato a sinistra, per tutto ciò che propone (contenuti e modalità) o che non-propone.

C’è poi da aggiungere – ma questo vale per tutti – la crescente disaffezione verso una politica carente di etica e onestà pubblica, che di fatto annacqua ogni residuo di diversità.
Per investire questa tendenza servirebbe una reazione forte e innovativa da parte del partito che qui ha sempre ottenuto vasti consensi. Reazione che ancora non si intravede, anzi ciò che si muove va in direzione opposta. Se questa insoddisfazione verso l’attuale offerta politica, in particolare della sinistra, si prolungherà nel tempo gli elettori che hanno scelto il non-voto diventeranno del tutto indifferenti e disinteressati. Trasformando la Toscana e l’intero Paese in una democrazia zoppa.

Commenti