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Proposta: 100.000 giovani preparati all’anno per cambiare la PA

Secondo un sondaggio di questi giorni, tra i giovani tra 18 e i 24 anni che intendono andare a votare, dopo il M5S, che raccoglie il massimo consenso con il 43%, il secondo partito è Liberi e Uguali al 14%, seguito dalla Lega al 13, Forza Italia al 12 e il PD con solo il 10%.
Un risultato lusinghiero per una forza politica appena nata, che dovrebbe consolidarsi con il programma presentato dal Presidente Pietro Grasso nell’Assemblea nazionale del 7 gennaio, che pone al centro i giovani, il lavoro e la formazione universitaria.
La proposta di rendere gratuito il costo dell’università (a chi la frequenta con un rendimento soddisfacente) risponde a un disegno più generale, volto ad aumentare il capitale sociale italiano, in un’epoca in cui si assiste al calo delle immatricolazioni universitarie e dei laureati; il che pone l’Italia in fondo alla classifica europea specifica. Frutto della crisi e frutto della difficoltà di far valere il titolo di studio in un mercato del lavoro, nel quale l’accesso avviene più per conoscenze o nepotismo che per merito. Quello italiano è un trend inverso a quello di altri paesi, dove invece il sapere è la chiave di tutto.

Secondo i dati Istat, la disoccupazione giovanile italiana (15 – 24 anni) era del 32,7% a novembre 2017, circa mentre quella della fascia successiva (25 – 34 anni) è del 16,6%. Molto alta anche la percentuale di lavoratori precari e/o impiegati in attività non correlate agli studi. Il che – se si tratta di lavoro sotto qualificato – è molto frustrante e può spingere ad emigrare o a smettere di studiare. Nel sottoutilizzo del capitale umano, quello femminile è più drammatico sia in termini di mansioni che di stipendio.
Ancora bassi rispetto agli altri paesi gli investimenti esteri. Ciò che manca per trattenere i cervelli in fuga e valorizzare gli studi è proprio un flusso di imprese straniere innovative ad alta tecnologia, che cercano giovani qualificati. Un fisco migliore, una giustizia più veloce, una ricerca ben finanziata e ancor più una burocrazia efficiente sarebbero di grande aiuto a portare gli ingressi di imprese straniere ad un livello prossimo a quello medio europeo.

In Italia, secondo le stime, sono circa 3.200.000 i dipendenti pubblici. Molto alta, attorno ai 50 anni, l’età media, effetto del lungo blocco del turn over, attuato per frenare la spesa ma contro producente in termini di innovazione della macchina pubblica.
Sulla base delle previsioni della Legge di Stabilità, nel 2018 saranno circa 80mila i dipendenti pubblici neo pensionati. Per la loro sostituzione ci sono oltre 150mila idonei in vecchi concorsi, per i quali sono state prorogate le graduatorie. Il ricambio è inevitabile, poiché nei prossimi cinque anni andranno in pensione circa 400 mila impiegati pubblici. Cambieranno le regole per i concorsi dopo la riforma della Pubblica Amministrazione e si spera in selezioni mirate e meno frammentarie.
Meno dell’1% del personale è sotto i 25 anni, contro il 5% di Francia e Regno Unito. Il 7% sta nella fascia tra 25 e 34 anni (oltre il 20% negli altri paesi), la maggioranza è di over 50. Un settore che invecchia anche per i minori pensionamenti dopo la riforma Fornero e la cui obsolescenza rappresenta il principale freno alla modernizzazione della macchina pubblica. Oggi lavorano nel settore pubblico il 15% circa degli occupati totali, contro il 20% della Francia, il 25% della Gran Bretagna e il 35% nei paesi del Nord Europa.

Della contrazione, risentono di più i Comuni, specie quelli piccoli e medi; vittime principali della austerità sono i giovani, delle cui sorti ci si angoscia a parole, ma che, di fatto, sono stati messi ai margini ancor più di quanto imponesse la crisi.
La nostra P.A. va portata al passo dei tempi ed occorre rinnovarla. Meno giuristi e più economisti, matematici ed ingegneri, in grado di padroneggiare l’informatica. L’informatica che, assieme all’inglese, rappresenta il modo migliore di esprimersi degli specialisti e che consente di lavorare in rete. Non basta solo accrescere la funzionalità e l’efficacia della P.A.; è anche necessario superare l’approccio prevalente, burocratico e verticale.
Va ripristinato, quindi, un adeguato e mirato turn over, riaprendo i concorsi per l’assunzione nel settore pubblico per almeno il 3% annuo della compagine.
Centomila assunzioni all’anno di qualità per ringiovanire e modernizzare la burocrazia italiana, sarebbe un altro tassello importante per il programma di Liberi e Uguali. Lavoro vero, pagato il giusto e non assistenzialismo come nelle proposte assurde di altre forze politiche, M5S in testa.
Il costo non sarebbe neanche eccessivo: un nuovo assunto di buon livello, nel settore privato, costa 31 mila euro, comprese imposte e contributi. Per il settore pubblico le imposte sul reddito e quelle indirette generate dagli stipendi rappresentano, in buona sostanza, una partita di giro. Pertanto una stima di ventimila euro l’anno di costo netto per ogni nuovo assunto può essere considerata abbastanza corretta. Due miliardi all’anno per almeno 5 anni (quindi 10 miliardi a regime) per dare una prospettiva a giovani preparati, sono un costo sopportabile e che si auto finanzia, considerati i ritorni economici (lotta all’evasione, migliore funzionamento della giustizia, controllo dei costi, ecc.); fondi che, investiti, per prendere i migliori prodotti della scuola italiana, possono rappresentare un investimento ad alto rendimento anche in termini di PIL.

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