Mariano_Paolozzi

Quando la sinistra scompare, è il momento in cui ce n’è più bisogno. Ricominciamo

“Quando il mondo che volevi migliore, ti sorrise col suo ghigno peggiore … Noi, gente che spera”. Il riassunto delle elezioni del 4 marzo 2018 e il da farsi da ora in avanti, per la sinistra, è tutto qui. Non è certo alle parole di una famosa canzone degli Articolo31 che possiamo affidare la lunga, complicata e drammatica ricostruzione della cultura etico-politica della sinistra, è ovvio. Ma forse un pò si.

Non è il momento di scappare. Né di sconfortarsi. Né di mischiarsi con altro, anzi.

Nel 1925, solo per fare un esempio, socialisti, liberali o repubblicani contavano nel Parlamento italiano 0 parlamentari. Solo pochi anni dopo ci hanno regalato, tutti insieme, la Repubblica e la Costituzione. Durante la Brexit il Labour Party, il partito dei socialisti inglesi, era marginale nel dibattito sull’uscita della Gran Bretagna dall’Ue e, in generale, era molto giù nei sondaggi. In poche parole, sembravano destinati ad un estinzione imminente. Pochi mesi dopo, inaspettatamente, Jeremy Corbyn, con un programma profondamente di sinistra ma aperto, socialista e liberale allo stesso tempo, ha portato quello stesso partito al 40%. Non ha vinto, ma ha creato quella che un tempo si sarebbe detta “egemonia culturale”. Ha dato forse vita ad una nuova interpretazione della società. Fermiamoci a questi due esempi, molto diversi fra loro, ma significativi.

Tutto questo, per dire che la sinistra non è morta? Per rincuorarci? Forse, ma non solo. La sinistra può retrocedere nell’organizzazione, può sbagliare visione, strategia e tattica. Ma sopravviverà la sua idea. Continuerà ad esistere come concetto. O meglio, le idee di libertà e giustizia sopravvivono sempre. E quando sembrano scomparire numericamente nelle percentuali, di solito è il momento in cui ce n’è più bisogno.

Tanti militanti ed elettori del vastissimo mondo della sinistra, in assoluta buona fede sostengono che non sia il momento di trattati filosofici. Non è vero. Ora è il momento di mettersi a pensare, a immaginare. E’ il momento di rompere gli indugi, afferrare il toro del fascismo senza stivaloni e delle diseguaglianze per le corna. Come altre volte è stato fatto, come sta accadendo in più parti del mondo.

L’affermazione della destra a trazione leghista e del Movimento 5 Stelle può avere una sua utilità, una sua positività: l’iniezione di dialettica politica nella società. Gli elettori che hanno affidato le loro speranze e la loro fiducia a questi due blocchi vanno innanzitutto rispettati. Hanno ragione:

Essere disperati perché si guadagnano 400 euro al mese a 12 ore di lavoro e senza tutele non è antisistema. Essere frustrati perché si tente per 10 volte l’esame d’avvocatura senza passarlo perché è un terno al lotto per poi gettarsi in una professione complicatissima non è antisistema.

E’ semplicemente umano. Così come credere che il neoliberismo abbia fallito non è antisistema. Credere che la democrazia della maggioranza non è antisistema. Credere che la sanità pubblica deve essere gratuita non è antisistema. Volere protezioni e tutele non è antisistema. Rispondere al grido e alla fame del Sud non è antisistema. Tutte queste cose, sono di sinistra. Punto. Che roba Contessa, vero? Per fortuna, nelle percentuali di Lega, 5Stelle ed altri partiti non di sinistra, c’è un grosso e carsico voto potenziale di sinistra nell’accezione più pura del termine.

Alle forze politiche di sinistra è invece mancato il coraggio. Da un lato ha vinto la paura di essere tacciati di estremismo. Una grossa colpa, forse recuperabile. Dall’altro lato, nel Pd, hanno prevalso, almeno nel gruppo dirigente, la tracotanza di credere che la sinistra non esista più e, quindi, meglio inseguire il linguaggio populista, legittimandolo, e l’impostazione neoliberista delle tecno-burocrazie europee. Il risultato è la più grossa sconfitta dal dopoguerra ad oggi. Meritatissimo.

Ma uno spazio c’è: per occuparlo bisogna passare da una porticina striminzita e angusta. Abbiamo definito antisistema la sofferenza. Abbiamo definito antisistema la voglia di libertà, uguaglianza, equità e giustizia. L’abbiamo definita addirittura populista. Il risultato, giusto, è su tutti i giornali e nei dati elettorali. Il timore è che Lega e 5Stelle non siano la risposta a quel gran grido di dolore, rabbia e voglia di giustizia che l’elettorato, almeno in parte, ha lanciato. Anzi, più probabilmente sono un pericoloso specchietto luciferino per le allodole.

Il secondo timore, risiede nella possibile assenza dei presupposti e delle persone in grado di ricostruire dalle fondamenta un grande movimento progressista, da sprigionare innanzitutto nella società e poi nelle istituzioni. Per questa ragione corre l’obbligo etico-politico di ricominciare. Partendo da due grandi temi: il lavoro e la questione democratica.

Il lavoro deve essere la pietra angolare su cui costruire una nuova grande narrazione storica. Un lavoro diversamente inteso attorno a cui costruire la società. Robotizzazione e globalizzazione hanno cambiato tutto. Non è il luogo questo per dibattiti lunghi sui fenomeni, basta solo accennarli. Il tema della fine del lavoro, del “lavorare meno lavorare tutti” deve essere il centro dell’azione di una nuova sinistra. Non stiamo parlando solo di battaglie sindacali, ma del lavoro inteso come dignità, come metro di giudizio, il lavoro inteso come libertà del singolo. Come presente e futuro delle persone. La questione democratica, parallelamente, deve occupare parte dello sforzo, del travaglio. Ripensare e rifondare i corpi intermedi tutti, dai partiti ai sindacati alle associazioni, è la conditio sine qua non per far sopravvivere o meno la nostra democrazia. Democrazia che non si limiti al volere, diciamo alla dittatura delle maggioranze.

Ci vuole coraggio. Ci vuole tensione morale. Ci vogliono gli interpreti. Ci vuole grande fantasia. Ci vuole una visione nuova. Ci vuole fatica. Ci vuole tempo, tanto tempo. Ci vuole speranza. Ci vuole la politica. Ci vuole l’eterna lotta per la libertà.

In poche parole, proprio ora che sembra scomparsa, ci vuole la Sinistra. Perché se il mondo ci sorride col suo ghigno peggiore, ci vogliamo “Noi, gente che spera” e che un po’ prova ad immaginare.

Foto in evidenza: Mariano Paolozzi ad un banchetto elettorale di Liberi e Uguali

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