rative 2017

Quel trend … chiamato desiderio

Una certezza: chi è uscito perdente da questo primo turno di amministrative (parziali ma significative per quantità), cercherà, ovviamente, di minimizzare la sconfitta adducendo la presunta scarsa attendibilità della consultazione in chiave politica. Una speranza: dopo le chiacchiere sui risultati, sarebbe opportuno iniziare a riflettere seriamente sul loro significato.

Nel nostro piccolo, proviamoci sin da subito e proveremo ad evitare di nascondere la polvere sotto il tappeto. Pur nella parzialità della tornata elettorale vi è una tale omogeneità di risultati ottenuti dai presunti vincitori o dai presunti sconfitti, che il trend non può essere eluso in virtù dei desideri di questo o quel presunto leader. Queste elezioni ci dicono molto, e poco di cui oggettivamente rallegrarsi.

Deve, innanzitutto, preoccupare l’ennesimo calo di affluenza alle urne. Una democrazia in cui decidono pochi, è una democrazia malata. Chi oggi e dopo i ballottaggi gioirà, si caratterizzerà come uomo di potere non come uomo di governo. E le due figure non necessariamente coincidono. Anche in questo caso è un trend che si conferma in maniera progressiva ed inesorabile. L’eccezione del referendum costituzionale conferma le nostre riflessioni, e cioè che quell’affluenza e quella alta percentuale di consensi al NO, non era sinonimo di sensibilità per la materia quanto piuttosto il sintomo di un rifiuto per la politica e le sue scelte. Porsi il problema di come recuperare alla politica fasce sempre più crescenti di popolazione, è il primo compito irrinunciabile della sinistra. Di tutta la sinistra.

Il secondo dato tanto clamoroso quanto evidente, è la rovinosa debaclè del Movimento 5 stelle. Si ascoltano al riguardo e in queste ore tesi e giudizi quantomeno stravaganti relativamente alle cause. Classe politica inadeguata per competenze e metodi di selezione; populismo velleitario; ambiguità dei comportamenti e delle scelte. Ma, di grazia, c’è stato mai un momento nella pur breve vita di questo soggetto politico in cui quelle caratteristiche non sono emerse? La Raggi e l’Appendino, giusto per citarne due, sono state cooptate nel gruppo dirigente dopo un adeguato periodo di formazione alle Frattocchie? I comportamenti e le scelte del movimento, prima ancora della vicenda sulla legge elettorale (la cui sceneggiatura sull’esito finale è stata chiaramente ed evidentemente scritta a quattro mani con il Pd), sono sempre stati improntati all’assoluta trasparenza e alla massima condivisione? E su quanto siano state sempre velleitarie e confuse le (poche) idee in materia di politica economica, volgiamo stendere cristianamente un velo pietoso?

La ragione della pesante sconfitta è un’altra: l’assoluta assenza di una strategia che rendesse credibile, pur con tutte le contraddizioni di cui erano e sono permeati, quella genuina richiesta di radicale cambiamento che il loro elettorato richiedeva. Diciamocela tutta, la stragrande parte di quell’elettorato sperava che i grillini fossero in grado di realizzare ciò a cui la sinistra in Italia (prima di Renzi) aveva, per noti limiti ed errori, abdicato: rappresentare coloro che erano stato colpiti duramente e marginalizzati socialmente dalla durissima crisi economica di questi anni. E le speranze, inevitabilemente, sono state disattese, deluse.

Ma questo primo turno di elezioni, ci consegna un altro gravissimo malato: il PD e, complessivamente, il centrosinistra. I democratici raggiungono la più bassa percentuale di consensi dalla loro nascita. Una media del 20/22%, e in alcune zone del sud si attestano addirittura sull’8/10. Non fanno eccezione Comuni tradizionalmente e saldamente governati dalla sinistra.
La speranza, oltre che l’impegno, è che i sindaci di centrosinistra risultino vincenti nei ballottaggi. Non è, però, da escludere, viste alcune particolarità locali, una riedizione dell’effetto Parma del 2012. Questi risultati, comunque, ci indicano oggettivamente due cose.

La prima: l’erosione di consensi del PD, passata l’ubriacatura delle primarie, è la conseguenza della natura ambigua e non chiaramente definita di quel partito. Un partito che vorrebbe emulare Macron ma, complice un elettorato il cui zoccolo duro è genuinamente di sinistra, rimane in mezzo al guado annacquando sia le pulsioni (legittimamente) centriste sia quei valori di sinistra che ancora sopravvivono. Insomma, il meno tasse per tutti, il milione di posti di lavoro e il partito dei diritti (non si capisce ancora bene quali, ma fa “sinistra” dirlo) insieme non si tengono. Questa ambiguità, quindi, ha creato un vuoto che si è manifestato con una altissima astensione che ha colpito duramente anche il PD.

Ma questo vuoto parla anche a noi, e sarebbe utile a salutare prestargli ascolto. Art. Uno – MDP, è nato da troppo poco tempo e sconta oggettivi ritardi di radicamento nei territori. Eppure diversi nostri dirigenti si sono spesi generosamente nel sostenere candidati di centrosinistra, ma evidentemente questo sforzo non è bastato a contenere il vistoso calo. Credo, allora, che una sola è la conclusione da trarre: non c’è solo Prodi accampato all’esterno del centrosinistra attento a coglierne gli sviluppi, c’è un intero popolo. E’ un popolo che vuole sapere e capire se la nostra offerta politica è in grado di andare incontro ai loro bisogni, alle loro aspettative. Se non saremo in grado di costruire qualcosa di credibile, capace di indicare un orizzonte concreto, consegneremo il nostro Paese al ritorno catastrofico delle destre. L’esito di queste elezioni deve indurre a riflettere sulla realtà, non su desideri e velleità.

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