Ambasciatore Usa Italia

Riflessioni sul debito pubblico. Ovvero, perché gli altri paesi temono l’esito del referendum

Iniziamo con un dato di cui nessuno parla: l’Italia, che per tanti anni era quarta nel mondo per ammontare del debito pubblico, da qualche tempo è salita sul podio dei paesi più indebitati. Con 2.250 miliardi circa il nostro è ora il terzo debito più alto del pianeta, dopo gli Stati Uniti e il Giappone. Il debito pubblico tedesco, infatti, è diminuito nel 2015 di altri 24 miliardi rispetto all’anno prima e ora quota 2.153 miliardi. Avete letto bene “è diminuito in cifra assoluta” e ancor più nel rapporto col Pil. Lo ha comunicato mesi fa la Bundesbank, sottolineando la discesa del rapporto debito/Pil, di 3,5 punti percentuali al 71,2% (da 74,7% di fine 2014).

La Bundesbank dice pure che gli stanziamenti per le banche tedesche in crisi, a fine 2015 gravavano sul bilancio pubblico per ben 225 miliardi (il 10,5 del debito e il 7,4% del Pil) . La prima economia europea ha cioè un bilancio in attivo dal 2014 e sta utilizzando gli avanzi per ridurre il suo debito al fine di riportarlo al il 60% del Pil, come previsto dalla clausola meno rispettata del trattato di Maastricht, entro il 2020.
Questo non solo la Germania, ma anche i paesi nordici (la Svezia in particolare), l’Irlanda e la stessa Inghilterra in questi anni hanno ridotto il loro debito e nonostante ciò (o più probabilmente in conseguenza di ciò) la loro economia è cresciuta. La resilienza della economia britannica post Brexit è soprattutto dovuta alla situazione dei conti pubblici, migliorati negli anni di amministrazione dei Tories, oltre che alle ampie liberalizzazioni attuate in quel Paese.

In buona sostanza, la Germania e gli altri Paesi “virtuosi” hanno saputo utilizzare in questi anni i risparmi vistosi nel costo del debito sovrano rivenienti dalla politica della BCE (in tutti i paesi europei, Grecia esclusa, oggi i tassi sui titoli di Stato sono negativi: fino a tre anni per l’Italia, fino a 10 anni per la Germania). L’Italia ha certamente ridotto il proprio deficit (durante il governo Renzi rimasto sempre al di sotto del 3% ed in lenta ulteriore riduzione) ma questa riduzione è molto inferiore ai risparmi conseguiti dalla minore spesa per interessi, poiché questi risparmi sono stati utilizzati, per una certa parte, al finanziamento di nuova spesa.

Quindi, parafrasando vecchie frasi dell’ex ministro Giulio Tremonti: “Se hai il terzo debito del mondo e non sei la terza economia del mondo hai certamente un grosso problema”. Stando in questa situazione, mentre altri migliorano i propri conti pubblici, è evidente che i creditori dell’Italia (la BCE, gli altri paesi i cui cittadini detengono titoli di Stato italiani, i mercati, le banche e la stessa Banca d’Italia che per l’80% si è assunta il rischio sui titoli oggetto del quantitative easing) hanno tutto il diritto di essere preoccupati della situazione economica, delle scelte politiche e anche delle prospettive del governo italiano.

Per questo stupiscono lo stupore dei media italiani e le reazioni isteriche attorno alle parole, forse controproducenti, che l’ambasciatore Usa, John Phillips, ha pronunciato, in un convegno del Centro studi americani – avente per oggetto la Brexit – sulle conseguenze negative sulla capacità di attrarre gli investimenti stranieri in Italia di una vittoria del No nel referendum costituzionale. Ulteriore “scandalo” è stato riservato alle analisi dell’agenzia di rating Fitch, che parla di uno shock per l’Italia in caso di affermazione del No.

Prima del referendum sulla Brexit non sono mancate dichiarazioni a sostegno del “remain”. Le ha fatte il Presidente degli Stati Uniti nella sua una visita a Londra; i premier europei lo hanno seguito, senza causare particolari reazioni dalla Gran Bretagna; oggi non si contano le dichiarazioni e gli endorsement sulle prossime elezioni presidenziali.
La verità, espressa dalle principali testate economiche mondiali, ben nota a tutti, è che il percorso riformatore e quello del rientro dall’eccesso di debito che, con tutte le flessibilità ottenute, l’Italia sta faticosamente realizzando (secondo le regole del Fiscal compact), avrebbe uno stop dopo una bocciatura nel referendum costituzionale. Tutto ciò, con un Governo indebolito o nuovo, è considerato molto più grave della Brexit per la tenuta della costruzione europea.

Ciò premesso, questi interventi, in un momento così teso della battaglia politica italiana, rischiano di essere un sostegno non voluto alla coalizione del No.
La sovranità appartiene al popolo, come ha ricordato anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che deve esercitarla in modo informato, ma l’esperienza recente della consultazione greca e di quella britannica insegnano che spesso gli “aiutini” in arrivo dall’estero si rivelino addirittura controproducenti.

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