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Robin Piazzo: Renzi e le fake-news. Spunti di riflessione per tutta la sinistra

Può apparire un po’ puerile Renzi che dichiara una lotta senza quartiere contro le fake news. L’ottava Leopolda ha partorito un topolino: “Un rapporto ogni 15 giorni sulle bufale online“, titolano le maggiori testate nazionali.
Le parole del leader indiscusso del centro-sinistra italiano su quella che viene definita come la priorità politica dell’agenda PD sul digitale tendono a sbiadire qualora si osservi che vengono pronunciate proprio nei giorni successivi al primo – storico – sciopero della storia dell’e-economy. Fa bene chi a sinistra insiste su questo stridente contrasto sui recenti fatti concernenti la sfera del digitale, tra eventi di portata storica e diatribe da politica-politicante sulle bufale online; ben venga che il discorso del segretario del PD sia utilizzato in chiave critica, per richiamare ad un ordine di priorità più serio. Ma non solo di puerilità e di mancanza di prospettiva si tratta; se si legge tra le righe della dichiarazione di guerra alle bufale, guardando al non-detto che fa da presupposto alla nuova caccia alle streghe della comunicazione online, si possono disvelare alcune questioni interessanti, che dovrebbero a mio avviso fornire spunti di riflessione per tutta la sinistra.

Veniamo ad una sintetica analisi del discorso del segretario PD. Secondo Renzi, il problema principale della rete in questo momento sono le fake-news, ovvero – traducendo – il fatto che troppe persone si informino – e, di conseguenza, votino – attraverso piattaforme online che diffondono notizie false. Ancora più grave, queste piattaforme di disinformazione sarebbero messe in piedi a partire da una regia politica unificata, quella dei partiti “populisti”, Lega e M5S. Quindi, la problematicità delle fake-news, secondo Renzi, si riduce ad una dinamica strettamente elettorale: le fake-news spostano voti in favore dei partiti “populisti”. La cosa potrebbe, ancora una volta, sembrare puerile politica-politicante: è davvero di per sé così interessante discutere di dove e perché si spostano i voti rispetto al PD?

Dopotutto, se posto in questi termini, il problema dovrebbe essere tale solo per il PD che perde consensi a favore dei partiti “populisti”. Quale interesse pubblico c’è, per il popolo italiano – o per una parte rilevante dello stesso -, nella diminuzione di voti al PD? È su questo punto che il discorso di Renzi prende una piega interessante: il problema sta nel fatto che dietro ai partiti “populisti” c’è la regia di Putin, dietro le fake-news non soltanto una dinamica elettorale ma un piano coerente di destabilizzazione della democrazia italiana – ed europea – ad opera dell’autocrate d’Oriente. Attraverso le fake-news arrivano i Barbari; è qui che si può notare in piena evidenza l’omologia strutturale tra il discorso renziano sul voto utile che ha affollato le ultime settimane e quello sulle bufale online, mostrandoli come elementi – solo apparentemente sconnessi tra loro – di un medesimo impianto argomentativo. Impianto argomentativo fondato sul principio della solidarietà elettorale pro-PD in una fase definita a partire da una grave emergenza democratica.

Il discorso pubblico sulle fake-news, che nasce certamente prima del discorso renziano sulle fake-news, si struttura normalmente a partire dall’opposizione tra bufale da un lato e giornalismo professionale e sapere scientifico dall’altro – a fini d’esempio, si legga il blog di Paolo Attivissimo. L’opposizione è tra bufale e forme di sapere riconosciute a partire da alcuni parametri di professionalità e scientificità, i quali stabiliscono la “rispettabilità” di tali forme di sapere; dunque, fake-news vs. saperi rispettabili. Mutatis mutandis, incrociando il discorso generale con quello specifico renziano, si delineano due famiglie di concetti all’interno di una relazione oppositiva: da un lato le bufale associate ai “barbari” populisti, dall’altro le forme del sapere rispettabile che il segretario Pd afferma di voler difendere.

La politica, si sa, è il regno delle contrapposizioni; da quando l’uomo si riunisce in società complesse, non può esistere discorso politico che non implichi la definizione di avversari e alleati e che, di conseguenza, comporti la costruzione di un campo di battaglia, reale o discorsivo. La costruzione del campo di confronto attraverso la definizione di alleanze e opposizioni all’interno dei discorsi politici è interessante nella misura in cui ci si chiede quali fini specifici sottendono a ciascun discorso politico. In particolare occorre chiedersi: quali interessi e quali identità sono rappresentati nel campo di contesa pubblica costruito a partire dalle parole dei politici, quali ne rimangono fuori? E di conseguenza: quando il politico pone una posizione ed uno schieramento come antitetici a sé, sta davvero lanciando una sfida politica a tale posizione e schieramento? Non è piuttosto possibile che talvolta si tratti semplicemente di un gioco delle parti, all’interno del quale due schieramenti apparentemente avversi in realtà si ritrovano a cooperare nell’indossare i panni di poli oppositivi che istituiscono il terreno di confronto in una maniera tale da tutelare e proteggere i medesimi interessi ed identità?

È sicuramente questo il caso del discorso di Renzi e più in generale del gioco delle parti a tre tra PD, Lega e M5S sul campo dei saperi e dell’informazione on-line. Quali sono i termini di questa apparente contrapposizione che è in realtà una cooperazione? Quale vantaggio trae ciascuna delle forze in gioco nel porsi volontariamente – si leggano le reazioni di Di Maio e Salvini alle affermazioni di Renzi – ai poli opposti della medesima opposizione discorsiva?
Per il PD, si tratta di ridefinire in positivo il concetto di establishment; non più un establishment come insieme di poteri, ma un establishment definito a partire dalla rispettabilità cognitiva dei saperi. Per le forze “populiste”, in questo caso su posizioni sostanzialmente sovrapponibili tra Lega e M5S, si tratta della possibilità di assumere su di sé i vessilli dell’opposizione all’establishment senza sobbarcarsi i costi intellettuali che una vera critica del sistema richiederebbe, potendosi accontentare di una forma di critica low-cost nella misura in cui l’avversione nei confronti dell’establishment è traslata sulla critica ai saperi rispettabili prodotti dall’establishment-cognitivo; se l’opposizione è questa, chiunque faccia informazione dal basso e sforni notizie un po’ complottiste e apparentemente alternative può attrarre su di sé una parte – certamente, una parte molto poco attenta e intellettualmente povera – del dissenso sociale.

Cosa rimane fuori da questo campo del confronto, su quale azione protettiva convergono le tre forze in campo? Naturalmente, quel rimane fuori dal campo è un’analisi della società che non sia impostata in termini di identità cognitive – istruiti contro ignoranti che credono nelle bufale, opinione pubblica attenta contro creduloni -, ma che al contrario guardi ai problemi strutturali e alla distribuzione del potere e del benessere. Si vede, contrariamente all’apparente novità del tema delle fake-news, l’onda lunga che ha prodotto la mutazione genetica delle sinistre europee da partiti delle classi popolari a partiti che strizzano l’occhio ai ceti urbani ad elevata istruzione – e, di conseguenza, elevato censo.
Proprio per questo, all’interno della contesa sulle fake-news, che come già detto ricalca la più generale contesa sul voto utile e la natura dei partiti anti-establishment, rimane esclusa la possibilità di un’opposizione seria e radicale agli assetti iniqui assunti da questa società; e dunque ancora una volta ben venga che la sinistra si chiami fuori dal dibattito, che ne contesti la rilevanza, che rigetti la costruzione del confronto politico a partire dai termini posti da Renzi, Salvini e Di Maio, richiamando l’attenzione sui temi delle disuguaglianze nella distribuzione di poteri e ricchezza, del lavoro e su tutte le altre questioni che hanno, proprio nel week-end della Leopolda, animato le assemblee territoriali della nuova formazione risultante dall’alleanza tra MDP, SI e Possibile.

Assieme all’entusiasmo per il vento nuovo occorre però chiudere la riflessione con un’autocritica, perché se il tema delle fake-news è relativamente nuovo al dibattito politico italiano, il mood generale che ha permesso a Renzi di produrre un discorso del genere con un relativo successo ricalca su un solco già tracciato da tempo, ad opera soprattutto dei fautori del centro-sinistra italiano degli ultimi vent’anni. Se la polemica sulle fake-news vede il PD identificarsi dalla parte dei saperi rispettabili, riuscendo ad ottenere consensi lasciando fuori dal discorso i problemi sociali profondi che martoriano la nostra società, è solo perché il discorso politico italiano è da tempo abituato ad un centro sinistra che si struttura a partire dalla parola d’ordine della rispettabilità in opposizione all’ascesa dei “barbari”. Oggi si parla di fake-news, ieri col centro-sinistra unito si parlava di berlusconismo e anti-berlusconismo, contribuendo come oggi a costruire un campo discorsivo che polarizza le identificazioni politiche sulle figure della rispettabilità e della decenza – oggi cognitive, ieri morali – in quanto opposte all’imbarbarimento delle folle e del “populismo”. Non che la decenza e la rispettabilità siano valori da denigrare, anzi; il problema è che quella sinistra, proprio come il Renzi di oggi, aveva rinunciato a dire qualcosa di più radicale sulla società, accontentandosi di identificarsi col buon senso – che, per carità, serve sempre, ma non basta per definire un’azione politica radicale -, annoiando a morte la società italiana che col passare del tempo ha persino smesso di vedere la politica come un teatrino divertente, e alimentando la sensazione, presente anche nell’alone di ridicolo che aleggia attorno all’enfasi di Renzi sulle fake-news, che questa politica “rispettabile” non sia affatto in grado di rispondere alle esigenze reali della gente comune.

Foto di copertina: Robin Piazzo (25 anni, laureato in Sociologia a Milano-Bicocca, membro della sezione di Settimo Torinese di Articolo 1, ha condotto ricerche sul campo e inchieste su Generazione Identitaria – il gruppo di destra radicale che ha gestito l’operazione anti-ong Defend Europe -, la campagna elettorale per Milano 2016, la riconciliazione serbo-bosniaca, l’educazione civica e i movimenti antimafia).

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