Rosa Fioravante

Rosa Fioravante: la legge elettorale e le scelte da fare a sinistra

Innanzitutto una confessione: sono una militante ed elettrice di sinistra, mediamente istruita, ho una laurea magistrale in filosofia politica, mi occupo di ideologie della globalizzazione. Tuttavia non riesco a capire di che cosa stia discutendo il personale politico del centrosinistra e della sinistra italiana in questo periodo. Mi si potrebbe rispondere: della legge elettorale. Certo. Ma non è già stato detto quasi tutto?

Ritengo che il modello tedesco (quello vero, non questa versione pasticciata) sia auspicabile. Allo stesso tempo riterrei saggio un proporzionale con sbarramento e le preferenze per consentire a tutte le forze politiche di gareggiare presentando un proprio programma ma senza eccessiva frammentazione del quadro (seppur di tutti i mali della nostra Repubblica questo sia uno dei più trascurabili).

Quanto alle forze politiche, sembra desumibile che ai Cinque Stelle convenga un proporzionale per non trovarsi mai a governare, non ammettendo loro alleanze e convergenze con altre forze politiche (tranne quando, come nel caso della loro opposizione alle preferenze, di mezzo ci sono iniziative che ampliano il potere dei cittadini). Al PD e a Forza Italia conviene un accordo che preluda ad un accordo anche di governo, data l’evidente consonanza programmatica; o quasi programmatica: i governi Berlusconi non hanno nemmeno lontanamente danneggiato i lavoratori come quello di Matteo Renzi. A tutti questi tre soggetti conviene, poi, di non reinserire le preferenze nella legge elettorale consentendo ai capi “partito” di scegliere i propri fedeli.

In questo scenario, assistiamo al folle disperarsi degli alfieri del centrosinistra per una cosa totalmente ovvia, cioè la convergenza di due forze di centro “moderate” come Pd e Forza Italia, rischiando di dimenticare la cosa peggiore: ora la Lega è libera dal giogo berlusconiano e può attuare in libertà una strategia pienamente lepenista. Il che significa che in Italia avremo due poli (Lega e Cinque Stelle) fintamente antisistema ma, ovviamente, anch’essi al servizio del capitale e dei più ricchi come le due forze di centro, pronti a capitalizzare tutto il consenso da malessere e protesta che arriverà loro dall’attacco frontale alle forze “di sistema“.

Il che significa che essenzialmente lo spazio per una sinistra del tutto responsabile, acriticamente europeista, che punta a fare il volto buono del sistema è politicamente e socialmente azzerato, anche ammesso che ci fosse prima di questa manovra al centro o che fosse auspicabile. Evidentemente questo non significa nemmeno che in automatico vi sia uno spazio “a la Corbyn Sanders Mélenchon, ecc“, ma che se uno spazio può esistere per la sinistra è indubitabilmente quello: la ridiscussione del sistema con un piglio radicale nella proposta e pienamente riformista nella pratica. L’opzione cugini di Hamon peggiorata da incomprese scissioni e riposizionamenti continui alle spalle rischia di non passare lo sbarramento.

Infatti, se la soglia del 5% aiuterà la sinistra a togliersi dall’imbarazzo di correre ciascuno per i fatti propri aiutando la convergenza MDP-SI-POSSIBILE-Pisapia, non toglierà però dall’imbarazzo di doversi confrontare sull’idea di Italia che si ha.

Innanzitutto: la si ha? Le fondamenta del camelloporco, come bonariamente Fausto Anderlini ha rinominato Articolo Uno, sono state un primo passo ma ora serve uno scarto di qualità, un colpo di reni, una creazione di ubi consistam. Il metodo da utilizzare è chiaro: serve una costituente plurale ampia e inclusiva, una scelta di leadership e di candidature democratica, tramite primarie a cui partecipano gli iscritti alla piattaforma programmatica. Ma se le esperienze di Corbyn, Mélenchon, Sanders, ecc ci insegnano qualcosa è che la leadership trae la sua forza dalla proposta politica: insomma è condizione necessaria ma non sufficiente e meno che meno risolutiva, mentre avere una proposta seria è già aver fatto quasi tutto il lavoro perché a quel punto serve solo un o una interprete. Se invece le sinistre pensano di accroccare un programma che ricalchi Italia bene comune, con un vago richiamo ad un po’ di lavoro un po’ di equità, con la permanenza del vincolo esterno ma una spruzzata di radical da “più migranti” e “legalizzazione della cannabis“, allora la soglia del 5% la supereranno certo, ma solo per poi inchiodarcisi diventando del tutto ineffettuali.

La rimozione quasi freudiana del passaggio del 4 Dicembre ha impedito alla politica di connettersi ad un fatto realmente accaduto nella società, facendo sì che il quadro a sinistra rimanesse essenzialmente il terreno della discussione fra ceti politici più o meno autoreferenziali. La scissione del PD rischia ormai di essere percepita come un mero ricollocamento degli “sconfitti da Renzi” che cercano di rifare il PD senza di lui.

Per evitare questo scenario bisogna chiarire subito: essa è nata o non è nata sulla rottura del referendum costituzionale e sul rifiuto di una stagione fintamente maggioritaria che ha fatto politiche solo a favore delle élites? È nata o non è nata nel tentativo di ricostruire una opzione di popolo, socialista, laburista, ambientalista? È o non è il cuore di un programma di reindustrializzazione dei settori strategici? Di messa in sicurezza del territorio? Di riconversione ecologica? Di contestazione radicale alle regole di Maastricht che impediscono la crescita economica e la piena occupazione? Si capisce o non si capisce che diritti civili e sociali camminano insieme ed è lo Stato a dover rimuovere gli ostacoli di ogni natura alla realizzazione personale di tutti i cittadini e di tutte le cittadine? Sembra quasi che a sinistra vi sia un pericoloso virus che impedisce di assumersi la responsabilità (e l’orgoglio) delle proprie idee, e che, in conseguenza di questa mancanza di coraggio, impedisce di pensare che il consenso non sia fatto da moloch definiti per sempre con risultati elettorali immodificabili ai quali bisogna solo adeguarsi aggrappandosi a uno dei moloch esistenti. Invece il consenso si può anche provare a spostarlo dai partiti di destra, centrodestra, dall’astensione e dai grillini verso una proposta politica propria.

All’estero è stato fatto: Corbyn ha fatto tornare il Labour competitivo in zone dove il blairismo aveva fatto deserto di consenso, Sanders ha raccolto i voti di un pezzo di ceto medio altrimenti incline al trumpismo piuttosto che votare Clinton e Mélenchon ha raccolto fette di elettorato potenzialmente di Le Pen; per non parlare dei giovani, anni luce lontani da opzioni di establishment in cerca solo di una piattaforma che torni ad entusiasmarli. Certo bisogna avercela una proposta, ricostruire un minimo di radicamento sociale e non arrendersi all’idea che la politica sia un inutile orpello della finanza e dei desideri di banche e multinazionali ma che sia qualcosa che effettivamente governa i processi e decide del benessere o del malessere dei cittadini. La sinistra italiana ha molti mali, la maggior parte dei quali (subalternità culturale, leaderismo, passate scelte nefaste, ecc.) sono comunque nulla a confronto del maggiore: non si vuole occupare del consenso. Renzi, Berlusconi, Grillo, persino la Lega, nel bene e nel male non hanno in mente altro. Non è una cosa positiva, ma in democrazia rappresentativa il consenso è pure qualcosa.

Alle nostre latitudini rimane una classe dirigente ex comunista convinta di poter vivere per sempre di rendita del voto ex PCI (che però, ora, si deve dividere con quello rimasto nel PD già residuale rispetto a quello andato altrove), quella della sinistra radicale che non riesce a schiodarsi dal 3% al quale risponde con vari atteggiamenti: c’è chi è in maggioranza con la convinzione in virtù di questo di essere anche maggioritario o di chi ha un 3% di “avanguardia” che usa aspettando che spontaneamente le masse si accorgano delle sue ragioni. C’è poi una folta schiera di personalità del civismo che si aggregano e riaggregano più o meno nei soliti ambienti molto colti e urbani. Fuori da tutto questo rimane proprio quel voto giovanile che altrove è andato ad esperienze fortemente di sinistra e che in Italia rimane al movimento 5 Stelle, più un’astensione dettata ancora più da disgusto che da disinteresse per un Paese governato male anzi peggio.

Il punto – in sintesi e a prescindere dalla legge elettorale – mi pare essere questo: se l’unico criterio di distinzione fra il “vecchio” centrosinistra e il “nuovo” centrosinistra è che non c’è il Giglio Magico di Lotti-Boschi e Verdini, questa operazione è destinata a sconfitta certa. Se rimane tutto uguale al passato ma senza Renzi e la sua strettissima corte, nel tentativo di riavvolgere le lancette politiche al 2011, e magari – proprio come nel 2011 – si fa pure tutta la campagna elettorale a rimorchio di altri come si fece per Monti, ma questa volta dicendo che sono “i renziani” che non sono voluti venire nel “nuovo centrosinistra” perché a detta propria invece li si voleva fortemente e pure a qualunque condizione, allora non ci si è accorti che questa operazione è già stata bocciata nel 2013. Poi se proprio si mira al capolavoro, siccome Renzi inizierà a far finta di far la “voce grossa in Europa“, magari si pensa pure di schierarsi con Frau Merkel senza se e senza ma, con argomentazioni quali “non vogliamo far fare brutta figura all’Italia” e “siamo responsabili” e altre cose che richiamano la versione aggiornata de “l’agenda Monti con qualcosa in più“; ecco, in quel caso un premio Vette Altissime 2017 lo si può raggiungere: è lo sbarramento che pare più lontano. I giornali e gli opinionisti interessati a parlare male del fronte sinistro lo faranno a qualunque condizione: non importa quanti fondamentalisti del mercato libero, estensori del “programma della BCE” e “centristi” si coinvolgono. Si può rivendicare tutto: la riforma Fornero, il pacchetto Treu, l’euro, le privatizzazioni, il Jobs Act, la buona scuola, persino il Sì al referendum, tutto. Sono cose che fanno parte delle biografie di grandi personalità che ai tempi ritenevano quelle cose giuste. Ma quello che proprio non si può fare è pensare che personalità coinvolte in quei passaggi possano mai passare per la “sinistra minoritaria e protestataria” e quindi per paura di questo non dare vita ad un progetto socialista e di radicale discontinuità.

Questo è già un centrosinistra e, come dalla fondazione del PD sempre accade, non è certo il centro a mancare. Ma questo gli elettori lo sanno benissimo e infatti quelli a cui piace il centro sceglieranno l’originale del partitone in funzione anti-Grillo e gli altri piuttosto che votare il centrino voteranno i “barbari” o staranno a casa. Non possiamo permettercelo perché sarebbe la fine dell’unico polo che rivendica giustizia sociale in Italia. Non possiamo permetterlo perché il conto dei nostri fallimenti lo pagano sempre i più deboli. Ci sono molti modi di arrivare al 5% ma bisogna sapere che non sono tutti uguali, soprattutto dal giorno dopo.

Nella foto di copertina: Rosa Fioravante

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