Rosa Fioravante

Rosa Fioravante: per battere la pesantezza della sinistra

È di ieri la pubblicazione da parte del Fatto Quotidiano delle quattro interviste gemelle ad alcuni esponenti politici di sinistra: Roberto Speranza per MDP, Pippo Civati per Possibile, Nicola Fratoianni per Sinistra Italiana, Tomaso Montanari per i civici. Dalla loro comparazione si evincono alcuni punti di contatto (un aumento degli investimenti, la convinzione della permanenza nell’Euro, la voglia di adeguare in senso più favorevole ai lavoratori la legislazione ecc.). Tutto bene si direbbe, ma allora perché la sinistra continua a dare questa impressione di litigiosità?

Una legislatura sprecata

La sinistra politica litiga perché in questo momento, così conciata, è fuori dalla storia. Dopo quattro anni di governi di indirizzo regressivo, in una legislatura cominciata male e che sta per finire peggio, preceduta dal commissariamento de facto delle istituzioni democratiche da parte di Bruxelles, si sono formati enne soggetti che chiedono discontinuità con le politiche sin qui portate avanti da esecutivi a sostegno PD, nessuno dei quali viene rilevato dai sondaggi (che valgono quello che valgono) come elettoralmente sostenibile autonomamente, tutti attraversati da dibattiti vivaci sui temi più disparati, tutti egualmente quasi indistinguibili per coloro che vivono fuori dalla militanza o dalla fortissima politicizzazione.

Solo per rimanere a quelli citati, Sinistra Italiana e Possibile nonostante abbiano per anni fatto opposizione possono contare su un contenuto seguito popolare; il popolo del Brancaccio (in larga parte sovrapponibile ai primi due) e i civici, forti della campagna del NO, sono alla giusta ricerca di una configurazione non castrante ma si muovono su un crinale assai pericoloso; Articolo UNO è un cantiere aperto, è aperto a Campo Progressista con il quale si articola, essendo nato da poco muove i suoi primi passi nel mondo esterno al partito tradizionale di provenienza. Le proposte che si leggono nelle interviste sono per lo più ascrivibili al fallito programma di Italia Bene Comune del 2013, progetto politico naufragato in prima battuta a causa della mancata comprensione del fatto che l’elettorato di centrosinistra fosse giustamente amareggiato per il sostegno al governo Monti, un governo anti-popolare che ha sensibilmente peggiorato le condizioni di vita della classe media. In seconda battuta naufragato perché sanzionato per la propria subalternità cultuale alla destra (ricordiamo tutti “l’agenda Monti con qualcosa in più”), al neoliberismo (“la lettera della BCE deve essere il programma del PD”) e ai grillini (abolizione delle province, retorica sui “privilegi”, umiliazione dei segretari di partito).

Ci sono, tuttavia, nell’aria dei timidi avanzamenti: Sinistra Italiana chiede la riduzione dell’orario di lavoro, Articolo Uno in Parlamento annuncia la propria perplessità sul CETA, rompendo così la tradizionale subalternità del centrosinistra italiano alle logiche del vantaggio delle multinazionali e dei grandi capitali a scapito degli Stati e dei cittadini – una rottura epocale della quale non potremo mai essere sufficientemente grati al neonato soggetto –, Possibile insiste su un piano ingente di riconversione ecologica, l’assemblea per la democrazia e l’uguaglianza del Brancaccio chiedeva un proporzionale.

Ma di tutto questo a quel 50% di astenuti al voto cosa arriva? Ai lavoratori, a coloro che dovrebbero giovarsi delle cose che si dicono di voler fare, delle interviste dei “leader” (parola sconveniente e abusata: sarebbe bene tornare a chiamarli per quello che sono: segretari di partito, e se non lo sono ci si chieda come mai, una buona volta) del loro rimpallarsi il cerino, interessa? In un mondo complesso e in una società dilaniata, analfabeta politicamente, caotica, nei quali le persone cercano semplicità ed immediatezza, seguire le vicende della sinistra in Italia è un’impresa titanica, difficile persino per gli addetti ai lavori.

Questo non significa in nessun modo aver la tentazione di ridurre la complessità: scuole di formazione, organizzazione di dibattiti che durino ore e non interventi di cinque minuti, radicamento sociale nella carne viva del paese, questi sono i modi e i luoghi dove insistere sulla complessità, ma sulla riconoscibilità del profilo e della proposta non si può contare sulla buona volontà di un “popolo” che starebbe alla finestra ad aspettare le mosse degli uni o degli altri. Questo “popolo” non esiste più, da prima del 2013. Bisogna riformarlo quasi da capo, bisogna ricreare identità, senso di comunità e di appartenenza ma questo si può fare solo con un processo partecipato e parole nette: non titoli bensì ricette. Non servono slogan, serve un “foglio del come” e, ovviamente, per avercelo bisogna già sapere cosa si vuol fare. Innanzitutto bisognerebbe focalizzare il problema: il fatto che Renzi voglia fare un governo con Berlusconi è un problema della sinistra del PD e del nuovo fronte di opposizione interna, non nostro. Essi potranno conseguentemente scegliere il da farsi. Il governo con Berlusconi è già stato fatto e non c’è nulla di male nello stringere accordi se essi portano ad una sana mediazione di interessi.

Il problema è per fare che cosa si vogliono fare le larghe intese con Berlusconi o il centrosinistra con il PD, sia esso di Matteo Renzi o no. Il senso di responsabilità, parola importante e nobile che fa parte della cultura degli statisti e non solo degli uomini di parte, ha condotto a festeggiare la notizia che la legislatura potesse volgere al suo termine: questo tuttavia ha un prezzo ed è il sostegno ad un governo che per lo più non fa gli interessi dei cittadini, e la vicenda del regalo delle banche venete a Banca Intesa socializzando le perdite e privatizzando i profitti ne è esempio preclaro. Del tempo recuperato non può andare sprecato un solo minuto.

Nella foto: Le interviste di Roberto Speranza, Pippo Civati, Nicola Fratoianni e Tomaso Montanari pubblicati da il Fatto Quotidiano

Il convitato di pietra europeo

Nelle quattro interviste, in fondo, non è stata posta l’unica domanda della quale può interessare qualcosa ai cittadini: nel momento in cui l’Europa (cioè la Germania con il rinnovato amico francese Emmanuel Macron, paladino dei liberal liberisti d’Italia ai quali ha sbattuto la porta delle frontiere in faccia) dirà che gli investimenti pubblici che Civati, Fratoianni, Speranza e Montanari invocano non si possono fare, cosa si farà?

Per fare una sinistra di governo ci vuole innanzitutto un’idea di Governo e, quindi, un’idea di come governare i conflitti. Il conflitto sociale in primis: come pensano i quattro di tamponare la rabbia giusta di coloro che vedono l’età della pensione slittare sempre più in là e con sempre più esigue somme destinate? Come pensano di organizzare un fronte di lavoratori atipici e lavoratori sindacalizzati più tradizionali per farli solidarizzare contro le logiche della globalizzazione? Come pensano di creare un’alleanza fra tutti i ceti produttivi contro i miliardari improduttivi che vivono di speculazione finanziaria? E poi il conflitto di interessi: in quali settori industriali strategici pensano di investire per far ripartire occupazione e sviluppo? Pensiamo di continuare a lamentarci per la difficile gestione dei flussi migratori ma allo stesso tempo continuare a fare affari con le petrolmonarchie e con l’Arabia Saudita? Come intendono riformare il sistema dell’informazione e della scuola pubblica affinché tutti davvero abbiano accesso ad una corretta informazione e ad un’educazione e istruzione che formi dei cittadini e delle menti libere e non delle macchine da lavoro dequalificato?

Infine, il governo inteso come espressione della volontà dei cittadini, anch’essa conflittuale con quella di coloro che sperano di accentrare sempre di più potere e ricchezze: cosa intendono fare i nostri in Europa se gli Stati membri continuano a non accettare di farsi carico della propria parte dei flussi migratori? Come intendono fermare l’aberrazione dell’esercito comune senza che vi sia una politica comune? E ancora: va bene non propugnare l’uscita dall’euro, ma almeno problematizzare un po’ la permanenza in relazione alla revisione del sistema di funzionamento della BCE? Un tale ad una direzione PD una volta citò Stiglitz, il quale sostiene che le istituzioni europee vadano rivoluzionate perché anche la moneta unica non è irreversibile. A tal proposito: con chi, con quali Stati, quali altri partiti, si intende portare avanti questa serie di rivendicazioni? Con la parte “corbyniana” del PSE? Con la Sinistra Europea? Coi Verdi Europei?

Io non voglio un soggetto politico che dia necessariamente le risposte che ritengo a queste domande, ma ne pretendo uno che se le ponga e che le discuta democraticamente con i suoi iscritti, simpatizzanti, con le associazioni, con i corpi intermedi. Un soggetto che sia identificato dalle persone in difficoltà o desiderose di cambiare le cose come il luogo dove dire la propria perché si viene ascoltati e si ha potere decisionale. Non è un’esigenza gentista: la sensazione diffusa è che il ceto politico, pur denso di enorme esperienza e di personalità di assoluto rilievo, non si renda conto di star giocando con il fuoco. Ciò che si evince da questo eccesso di politicismo e rincorrersi fra interviste e convention (eccesso: perché una quota parte è necessaria) è che questa classe dirigente non abbia sufficientemente paura cioè confida per una sua parte che in qualche modo la sinistra radicale passerà lo sbarramento e chi viene da quella riformista ritroverà il suo popolo strada facendo, richiamato dalle sirene dei dirigenti diessini e dall’antirenzismo. Per questo si comporta in modo del tutto irrazionale: nomina e snomina candidati premier anche se siamo in un proporzionale, dice mezze parole su ogni tema per non chiudersi le porte né dell’accordo con chi sta alla propria sinistra né alla propria destra, arzigogola sul concetto di centrosinistra, alcuni spostano tende.

Siccome la sinistra nel suo complesso palesemente non sa che fare e sembra intenzionata a rispondersi solo sulla base della legge elettorale e non su quella di una lettura del mondo, fa come fanno tutte le persone accorte e di cultura nel momento del bisogno: si rifugia nei classici, che, in questo caso, vanno sotto il nome di “patrimoniale”. Nulla in contrario a far pagare chi ha grandi capitali improduttivi per carità, ma siamo sicuri che questa sia la madre di tutte le battaglie mentre le multinazionali evadono cifre paragonabili a quelle del bilancio di stati sovrani? Siamo sicuri che sia saggio dare l’ennesima mazzata alla classe media con una tassa sulla prima casa senza prima fare la riforma del catasto finendo per tassare chi ha fatto una vita di sacrifici per comprarsi casa e non aggredendo i ricchi veri che per lo più evadono o nascondono i patrimoni nei paradisi fiscali (cioè chi di case ne ha molte e ha ingenti capitali investiti in speculazione)? In fondo, se l’Europa politica e unita servisse a qualcosa dovrebbe servire innanzitutto per vietare il dumping salariale e fiscale al proprio interno. È il minimo che la nuova formazione di sinistra/centrosinistra possa chiedere. Ma di queste cose non si discute a mezzo stampa e tweet, né agli happening che, come è giusto che sia, hanno scalette precise e personalità illustri da far ascoltare.

Fare la cosa giusta

Sia come sia, e comunque la pensi il lettore o la lettrice sui temi che – a titolo meramente esemplificativo – ho qui proposto, quello che manca ad oggi è l’orizzonte di una battaglia che valga la pena combattere. Vale la pena dimorare nei propri soggetti di appartenenza per vivificare la nostra malconcia democrazia, per tentare in modo inesausto di portare avanti un punto di vista e in Articolo UNO ci sono tutti i germi di uno sviluppo importante della sua parabola politica, ma è necessario uno scarto di qualità. Non contro Renzi, Grillo, Salvini ma una battaglia per qualcosa. Manca l’idea di una campagna che, come ebbe a dire Corbyn della sua, ma si potrebbe dire di quelle di Sanders, Podemos, Mélenchon, ecc., cambi la politica in meglio comunque vada. Una classe dirigente degna di questo nome dovrebbe oggi mettersi una mano sul cuore – se non fare appello al proprio istinto di sopravvivenza – e dare all’Italia un soggetto unico credibile per fare questo dibattito. Per questo è di vitale importanza che la cultura di partito, rivitalizzata da Articolo UNO nelle forme della passione civile di tanti militanti che affollano le nuove sezioni, non venga accantonata inseguendo chimere meramente elettoralistiche né gli sghiribizzi di Repubblica, per quanto sia il risultato elettorale che la visibilità mediatica siano essenziali. È proprio questo il punto: né l’uno né l’altra si possono ottenere se non c’è un progetto solido, duraturo, discontinuo da costruire insieme e da proporre.

Per questo è così importante che ci siano tutti: “non dirmi da dove vieni ma dove vai”; questa formula non è un lasciapassare a chi ha commesso errori nella storia, ma la presa di coscienza del fatto che senza poderose sollevazioni sociali (e qualche arguto e qualificato personaggio che sappia di lotta di classe e socialismo abbastanza da indirizzarle politicamente per la palingenesi del sistema socio-economico in senso egualitario) di tutta questa dirigenza c’è bisogno. Anzi di più, c’è oggi bisogno che questa classe dirigente tiri fuori il meglio delle proprie storie e delle proprie capacità lasciando da parte il peggio, non continuando a commettere gli errori del passato, per consegnare ai cittadini uno spazio di dibattito che abbia qualche coordinata valoriale e ideologica ferma (eviterei di rifare un grande calderone dai turbo neoliberisti ai socialdemocratici come era il PD, perché non è un caso che quell’esperienza sia finita con Matteo Renzi), una saldissima cultura democratica e organizzativa e la capacità di sviluppare un discorso strategico sulla crescita di una nuova classe dirigente e di un orizzonte di emancipazione per le classi medie e popolari italiane – con l’auspicio che lo ius soli arrivi presto – e internazionali.

È uno sforzo enorme: non solo di superamento di storiche inimicizie (alcune recentissime) ma anche di uscita dai frame del discorso dominante e di innovazione politica che ne imponga di propri. Richiede visione strategica e capacità tattica. Soprattutto, richiede la presa di coscienza che fare la cosa giusta significhi oggi anche fare la cosa più utile per la propria parte. Sperando che la pausa estiva porti consiglio, non ci resta che invadere tutti una qualche sezione (dove ancora esistono) di partito e chiedere che, una volta finita la soap opera, si inizi a discutere di come (almeno) riformare il capitalismo globale. Perché noi vogliamo farlo, vero?

Nella foto di copertina : Rosa Fioravante

Commenti