Bonino Rossi Galli a Fondamenta

Rossi traccia le Fondamenta dell’Europa socialista

È senz’altro vero che il debito pubblico rappresenta un ostacolo alla ripresa e alla crescita del nostro paese, ma mi sia consentito di dire che anche le politiche di austerità, di tagli agli investimenti e di tagli allo stato sociale hanno, alla fine, prodotto ulteriore recessione, ulteriori aumenti del debito pubblico, oltre che prodotto nel paese un forte risentimento, un rancore, una avversione anche nei confronti dell’Europa. Credo che la sinistra debba spezzare questo circolo, che non è virtuoso, anzi l’opposto. Più si tagliano gli investimenti, meno si fanno politiche sociali, più noi rischiamo di vedere ridursi la ricchezza e, in questo modo, aumentare il rapporto del debito.

A me pare che, su questo, con l’Europa occorre un chiarimento. E’ un chiarimento che Renzi non ha fatto, perché è altrettanto evidente che quella flessibilità che l’Europa ha concesso al nostro Governo negli ultimi anni, è stata – usiamo una parola gentile – spesa in bonus e in mance e non ha dato quei risultati di crescita e di occupazione che doveva dare.

Il mondo socialista, la sinistra europea devono avviare una riflessione seria sulla la destra della Merkel, e consentitemi, anche sulle larghe intese: insieme ad altri fattori, le larghe intese sono all’origine della crisi di consenso dell’Europa. E’ vero, anche nel nostro paese, in modo particolare, dove le politiche di Berlusconi e più di recente quelle di Renzi hanno ulteriormente aggravato la situazione e prodotto una realtà in cui un paese fortemente europeista vede al proprio interno situazioni di smarrimento, di sbandamento, prender piede anche sentimenti anti-europeisti, nazionalisti, ritorno di xenofobia, razzismo. Ecco, credo che ci sia un punto su cui possiamo ragionare e negoziare con l’Europa, quello degli investimenti. Da presidente di Regione posso dire con chiarezza che gli investimenti sono diminuiti proprio quando, al contrario, dovevano aumentare. Il settennato europeo dei fondi strutturali che stiamo spendendo è inferiore al settennato precedente. Era l’1,2 del PIL europeo, adesso è solo lo 0,9. Quando proprio avevamo bisogno di interventi pubblici, di investimenti, di politiche sociali per il lavoro e per l’occupazione, l’Europa ha scelto di tagliare.

Nella foto: Enrico Rossi, Sara Nocentini, Carmine Dipietrangelo ed Arturo Scotto oltre che ai lavori di Fondamenta a Milano hanno partecipato anche alla manifestazione in favore dell’accoglienza dei migranti.

Questa è la realtà. Questo è il punto politico. In Toscana sono diminuiti 250 milioni per spesa sociale e per spesa per fondi strutturali e ancora di più è accaduto nel nostro paese. Di questo si deve discutere con l’Europa: è stato fatto un errore madornale perdere quel poco che resta della nostra credibilità con le scelte politiche degli ultimi governi, spendere quei soldi non per la ripresa e non per lo sviluppo.

Sugli investimenti noi dovremmo chiedere all’Europa di essere altrettanto rigorosa, come lo è sul fiscal compact. Si chiama trovare un accordo sulle politiche sociali. Ad esempio, Europa 2020 è senz’altro un quadro interessante che delinea un’Europa sociale, un’Europa dove si riducono le diseguaglianze. Ma mentre i parametri del fiscal compact sono legge cogente, gli obiettivi 2020 sono soltanto, diciamo la verità, raccomandazioni. Per cui, se i paesi le attuano e raggiungono questi obiettivi bene, altrimenti non importa. Si può avere, semmai, qualche richiamo. Penso che l’Europa si basava e deve basarsi su due grandi pilastri che stanno in equilibrio: da un lato il mercato e la concorrenza e dall’altro le politiche sociali e le politiche della coesione sociale e dei diritti. La cosa assurda che è accaduta è che quando il secondo pilastro doveva essere rafforzato, quello delle politiche sociali, delle politiche di coesione, questo pilastro è stato tagliato se non segato e il primo pilastro ha finito per dominare su tutto.

Credo che è la destra, sono queste politiche a mettere in discussione la prospettiva europea, il consenso verso l’idea dell’Europa di larghi strati popolari, senza cui non si costruisce un’Europa unita. Sono convinto che in Francia sia stata fermata l’onda nera Lepenista, è un bene che abbia vinto Macron, il quale ha scelto con nettezza di sposare la causa europeista, ma sono un male le politiche che Macron propone, collocandosi, come lui dice, oltre la destra e la sinistra, a partire dalla nomina di un presidente del consiglio che comincia dicendo “io sono di destra”. Dopo le elezioni si sono rivelate veramente le intenzioni profonde di Macron che continua su quella scelta: tagli ai diritti sociali, tagli alla spesa pubblica, finanziamenti e tagli alle tasse per acconsentire al mercato così com’è e senza condizioni.  Credo che un errore della destra, ma anche un po’ nostro, su cui dobbiamo riflettere, è l’illusione che tagliando gli investimenti e la spesa sociale possa venire solo dai profitti, senza condizionamenti, una ripresa e uno sviluppo dell’Europa, del paese e anche dell’occupazione. Questo non avviene e su questo noi dobbiamo dare battaglia politica.

Nella foto: Il pubblico di Fondamenta

Sono d’accordo con Emma Bonino quando dice che l’Europa è la dimensione della nostra lotta politica e del nostro impegno, ci sono ragioni storiche profonde, il ‘900 con i suoi drammi, le guerre, la necessità di mantenere la pace. Io, ad esempio, ho avvertito la Brexit e poi la chiusura delle frontiere, i muri, come se questa costruzione fosse più fragile di quanto pensassi. Abbiamo avuto tutti l’impressione che la possibile reversibilità di tanta fatica e di tanti processi non era una cosa campata in aria, l’abbiamo sentita, abbiamo visto anche sbandamenti in Europa.

Viviamo in un mondo in cui ci si organizza con grandi potenze continentali: la Russia, la Cina, gli Stati Uniti. Se vogliamo contare, se vogliamo influire sulla contrattazione dentro questo mondo, dobbiamo costruire un’Europa più unita, che abbia una politica estera, una difesa, una politica economica. Sono d’accordo anche con il fatto che non si può uscire dall’Europa perché abbiamo il debito pubblico che abbiamo. Significherebbe per una generazione intera mettere in conto riduzione di ricchezza, per le famiglie, per le imprese e, quindi, tutto ciò che ne consegue, sarebbe sicuramente una mossa sbagliatissima.

E poi, ancora noi dobbiamo essere come italiani più presenti. Non abbiamo dato il buon esempio. La mia esperienza dice che l’Europa la puoi condizionare con una presenza costante, continua, dicendo la tua in tutte le occasioni. Oggi si sta già discutendo il prossimo settennato e l’Italia, vi do una notizia, non ha ancora preparato e disposto la sua opinione sul prossimo settennato, come sempre, è in ritardo. Ma se si arriva tardi si conta meno. Questa è l’Italia che dobbiamo cambiare per contare di più in Europa. Invece, questa Italia non è ancora cambiata in nessun modo.

Certo, c’è la forza della Germania, della Francia, dei paesi Scandinavi, della stessa Inghilterra, ma io ho in mente questo: la cartina dei corridoi dell’Europa. Se ve la potessi far vedere, capireste qual è il rapporto fra il nord e il sud europeo, a cosa guarda l’Europa anche per una capacità nostra di influenzare con decisioni appropriate e con una presenza costante da parte dei nostri governi, nei momenti in cui si è deciso dove investire, dove costruire quei corridoi. Sulla cartina vedreste una fascia incredibile, un groviglio di corridoi nei paesi scandinavi, nell’Europa del nord. E per il sud? Man mano che si va verso il sud l’ultimo corridoio ben segnato è quello della pianura padana, Lione, Barcellona, e niente che riguardi il rapporto nord-sud dell’Europa.

Penso che questi siano i temi per la classe dirigente che dobbiamo formare, che deve essere soprattutto una classe dirigente che si forma in Europa, che ha una visione europeista. Anche la questione immigrazione dobbiamo collocarla con una battaglia politica, dicendo che un continente di 500 milioni di di abitanti si fa mettere in crisi da pochi milioni di immigrati di una crisi umanitaria di profughi?

Non siamo soli, in Europa c’è una sinistra, ci sono forze, sindacati, c’è un dibattito anche all’inBerlinguerterno dello stesso Partito Socialista. Insieme alla questione sociale c’è anche una questione democratica, enorme, che se non risolta, sono convinto che anche il progetto europeo farà pochi passi avanti. Quest’Europa è sempre più l’Europa dei governi, delle tecnocrazie che contano, che tolgono potere al Parlamento, che conta sempre meno. È chiaro che i governi sono portati a determinare le proprie scelte sulla base degli interessi del proprio paese, ma l’Europa va costruita anche sulla base degli interessi dell’Europa. C’era già questo dibattito, ad esempio lo proponeva Spinelli, lui e Berlinguer dicevano insieme: “I governi fanno troppi compromessi, si mettono d’accordo tra loro. Bisogna spostare il potere e la discussione dell’Europa verso un’assemblea democratica”.

Penso che sia un tema attualissimo, non può e non basta, come dice qualcuno, la nomina del presidente della Commissione Europea con l’elezione diretta. Non basta nemmeno, a mio parere, la nomina di un presidente degli Stati Uniti d’Europa. Abbiamo bisogno che in Europa si costruisca effettivamente una democrazia rappresentativa che determini anche le scelte dei singoli governi, altrimenti credo che l’Europa procederà sempre più lentamente con il rischio di sfaldarsi e di frammentarsi di fronte a ogni crisi esterna che la minaccia.

Penso, infine, che l’allargamento dell’Europa è avvenuto molto sulla base della concorrenza, sul costo del lavoro e questo ha provocato tante reazioni anche all’interno di un mondo diffuso che l’ISTAT chiama di classe operaia e di ceti medi. Sono andato a rileggere cosa è scritto nel “Manifesto di Ventotene”: mette al primo punto l’Europa unita, come condizione, anzi, addirittura, aggiunge, che questo è un discrimine fra destra e sinistra e poi, in fondo, metà del “Manifesto“, non so se l’hanno letto i capi di stato quando sono andati a deporre un fiore sulle tombe di Rossi, Spinelli e Colorni, dice che l’Europa per essere Europa dev’essere socialista. E venire incontro ai problemi di emancipazione della classe operaia e creare per i lavoratori migliori condizioni di vita. A mio parere solo una sinistra convinta di queste idee può davvero dare un contributo a salvare l’Europa unita e può anche rilanciare e far rinascere se stessa.

Di seguito una sintesi dell’intervento di Enrico Rossi, presidente della Toscana e cofondatore di Articolo UNO – Mdp, nella tavola rotonda “Europa, Frontiere, Identità” con Emma Bonino e Carlo Galli a “Fondamenta”, assemblea programmatica del movimento.

 


Nella foto di copertina: Emma Bonino, il moderatore Gianluigi Paragone, Enrico Rossi e Carlo Galli a Fondamenta

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