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Salvate il soldato D’Alema

Massimo D’Alema è un uomo che anima passioni e sentimenti contrastanti. Lo si ama (politicamente) o lo si odia. La statura dell’uomo politico non è messa in discussione da nessuno ed emerge non solo in relazione al livello piuttosto basso dell’attuale classe dirigente nazionale, ma come fatto oggettivo. E’, forse, incapace di rapporti pienamente empatici con i propri interlocutori, pregio riconoscibile in altri leader come Rossi e Bersani, ma il suo spessore culturale e politico, la sua competenza, il suo intuito e le sue capacità tattiche e strategiche, sono universalmente apprezzate.
Che poi sette fondazioni europee vicine al PSE reclamino la sua testa da Presidente della FEPS (Foundation for European Progressive Studies), una Fondazione che per qualità e quantità degli studi prodotti era la 67° posto tra le fondazioni di tutto il mondo e ora, sotto la sua guida, è salita la terzo, ci conferma tre cose.

La prima: si fosse applicato il Jobs Act anche alle fondazioni, ora sarebbero già scattate le tutele crescenti previste e potrebbe vedersi garantito giudizialmente il suo posto/ruolo di presidente.

La seconda: la rottamazione dovrebbe riguardare innanzitutto alcuni sepolcri imbiancati al cui interno non vi è una sola posizione politica, economica e sociale comune.

La terza: quanto a spirito di vendetta, Renzi a D’Alema non lo vede proprio.

Personalmente non sempre ho condiviso alcune sue posizioni, l’ultima delle quali riguarda, come è noto, il referendum sulla riforma costituzionale. Ma, del resto, non ho mai contestato la sua scelta in quanto ritenuta assolutamente legittima. Come D’Alema, a differenza di compagni anche autorevoli considerati a lui vicini, non ho mai evocato ed invocato il “popolo del NO” per la semplice ragione che non esiste. O meglio, quei milioni di persone che hanno bocciato la riforma Boschi-Renzi non sono un fiore che si può facilmente cogliere, come le ultime amministrative e le difficoltà di radicamento nel territorio di MDP dimostrano.

Considero, insomma, Massimo D’Alema una insostituibile risorsa per la sinistra e per il Paese.
Non considero la possibile candidatura di Massimo D’Alema una scelta politica opportuna ma, al contrario, controproducente per MDP o per l’eventuale soggetto politico da costruire a sinistra del PD.
E’ evidente che il suo ritorno in campo ci costringerebbe a confrontarci con i nostri avversari non su programmi e scelte, quanto piuttosto su vecchie, inutili e, in molti casi, false accuse di politicidio.

Allo stesso modo, il rincorrere Prodi e attribuirgli il ruolo di presunto federatore del centrosinistra ci esporrebbe inevitabilmente all’accusa di incapacità di rinnovamento negli uomini e nelle idee (è nota la mia avversione alla ricerca spasmodica del “papa straniero”). Sia chiaro, non auspico una elegante ed indolore rottamazione di D’Alema. Tutt’altro. Ritengo, al contrario, che possa e debba dare ancora moltissimo soprattutto in due direzioni: programma e formazione di una nuova classe dirigente. Di “padri nobili”, non in senso decorativo ma quali punti di riferimento attivi, la sinistra oggi ha un bisogno vitale.

Lo stesso D’Alema ha subordinato la sua candidatura alla esplicita e condivisa richiesta dei militanti pugliesi. In verità alcuni di questi, come nel film di Steven Spielberg premiato con l’Oscar, si erano già attivati per riportare sano e salvo il Presidente in terra di Puglia. Iniziativa generosa ma, temo e lo ribadisco, probabilmente controproducente.

Diciamocelo chiaramente e senza falsa ingenuità, Renzi sarebbe disposto a sacrificare il suo amatissimo I Phone per un telefono a gettoni se una eventualità del genere dovesse realizzarsi. L’esaltazione del presunto nuovo che avanza, contro il vecchio identificato come livoroso e in cerca di rivincita, antropologicamente incapace di accettare una visione diversa dalla propria, sarebbe l’alibi perfetto per distrarre l’attenzione dal vero pericolo che rischia di minare il PD: la deriva sempre più marcatamente peronista che Renzi sta imprimendo al suo partito e alla società italiana.

Ad ogni modo non credo che siano maturi i tempi per anticipare alcuna candidatura. Maturi, piuttosto, i tempi per definire un programma snello, credibile e originale che riesca a scuotere dal torpore, dall’indifferenza, dalla diffidenza, tutto quel popolo che attende generosamente qualcuno che sappia raccontare e fare qualcosa di diverso rispetto agli ultimi vent’anni di storia politica. Anche D’Alema deve insegnarci come e cosa fare.

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