Piero Gobetti, dalle colonne della sua “Rivoluzione liberale” del novembre 1922, definì il fascismo come “autobiografia della nazione” specificando che esso “è un’indicazione di infanzia perché segna il trionfo della facilità, della fiducia, dell’entusiasmo“.

In fondo il Movimento 5 Stelle, avviatosi al suo cupio dissolvi dopo aver cementato un patto di sangue con la nuova Lega di Salvini, è l’autobiografia della nazione Italiana di questo secondo decennio del nuovo secolo.

Una nazione stanca ed anziana, deindustrializzata, dove si lavora male e poco (i dati ISTAT di oggi raccontano di un paese dove si recuperano posti di lavoro, ma nel quale il lavoro è scaduto a “lavoretto”, un paio d’ore qui, un altro paio d’ore lì e nella ridda dei numeri si perde di vista il fatto che dal 2008 ad oggi sono scomparsi, calcolati in ore, oltre un milione di posti di lavoro), dove quelli che hanno studiato emigrano (destrutturando l’immaginario liberalcazzone della “generazione erasmus“: i popoli migrano spinti dal bisogno, quelli che si muovono in base alla curiosità intellettuale erano, sono e saranno una piccola minoranza, fin dai tempi del Grand Tour) e pure se arrecano un danno economico drammatico al Paese è difficile dirgli male (anche se poi vorrei capire perché il figliolo andato a Londra è un “expat” mentre un povero cristo che sopravviva al Mediterraneo è un “negro di merda“). Una nazione dove chi vive dignitosamente – il più delle volte – o ha incrociato la Dea fortuna o il parente che conta (ma i politici sono tutti ladri), una nazione dove il proprio sciopero è sacrosanto e quello degli altri un disagio, una nazione dove se il falso invalido sono io è “stato sociale creativo” e se lo è il vicino di casa è un ladro da decollare in pubblica piazza.

In fondo i Di Maio, così come i suoi epigoni locali, sono la migliore autobiografia dei peggiori italiani di oggi: belli solo nei selfie, un po’ paraculi, si sono “buttati in politica” perché nella desertificazione dello spazio pubblico seguita alla caduta del secondo governo Prodi (ed alla crisi conomica globale cominciata nel 2008) hanno visto una facile opportunità, senza solide letture e con studi rabberciati, tronfi come solo i fortunati sanno essere quando gonfiano il petto pensando di aver meritato quanto solo un fausto destino ha lasciato alla loro porta.

Ma – come scriveva Machiavelli – “coloro i quali con poca fatica diventano, ma con assai si mantengono“.

E questi la fatica non sanno neanche dove risieda.

Scompariranno, male, lasciando campo e consensi all’eterna destra italiana: quella che usurpò il Risorgimento relegando alla subalternità politica ed economica i ceti popolari che avevano combattuto per l’Italia unita, che si nascose dietro la goffaggine delle pose mussoliniane per poi scaricarlo dopo la disfatta, che attraversò la Prima Repubblica proteggendosi con lo Scudo Crociato, prima dai temuti cavalli dei cosacchi di Togliatti e poi dai facili costumi dei socialisti e dei radicali, che si risvegliò prepotente nella Seconda Repubblica al seguito del berlusconismo, tanto prepotente che alla fine travolse anche Berlusconi e tanto prepotente che da seminare senso comune anche nello spazio politico che Berlusconi aveva avversato per un ventennio.

Ma se noi – eredi del pensiero democratico risorgimentale, figli della cultura socialista, cattolica democratica e della sinistra liberale, nomadi da un quarto di secolo in un deserto di passioni tristi – riusciremo a trovare buone ragioni per stare insieme nelle differenze avremo costruito un buon accampamento.

C’è tanto da lavorare.

Foto in evidenza: Luigi Di Maio, leader dei 5Stelle

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