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Si fa presto a dire “politica”. La nascita della Terza Repubblica tra vecchi dogmi e nuovi (?) orizzonti

La storia repubblicana italiana è di solito suddivisa in Prima e Seconda Repubblica. Si tratta di definizioni usate prevalentemente nel lessico giornalistico, per descrivere le trasformazioni interne al sistema partitico e ai meccanismi di democrazia rappresentativa, senza far riferimento ad un cambiamento di regime come ad esempio nel caso dei reich tedeschi o delle Repubbliche francesi.

La Prima Repubblica indica il periodo compreso tra l’entrata in vigore della Costituzione e Tangentopoli. Questa fase storica è stata caratterizzata da un sistema consociativo, una legge elettorale proporzionale, la conventio ad excludendum del Pci, che ha creato una democrazia bloccata, spostando l’assetto delle maggioranze parlamentari verso il centro.
Gli scandali di “Mani pulite” hanno inaugurato una nuova stagione. La Seconda Repubblica, infatti, ha visto lo stravolgimento del precedente assetto partitico. Alcune forze politiche, come la Democrazia Cristiana e il Partito Socialista, si sono disciolte; altre, come il Movimento Sociale e il Partito Comunista sono confluite rispettivamente in Alleanza Nazionale e nel Partito Democratico della Sinistra, aprendo un progressivo percorso di convergenza verso il centro da parte dei partiti che storicamente si erano collocati all’opposizione. La Seconda Repubblica, dunque, è nata principalmente come reazione alla vecchia partitocrazia e ha aperto la strada ad un processo di personalizzazione della politica italiana che si è manifestato su più fronti. In primo luogo, con la cosiddetta “Primavera dei sindaci”, vale a dire con l’introduzione dell’elezione diretta dei primi cittadini, a cui ha fatto seguito anche quella dei presidenti di regione. Una seconda novità è stata la nuova legge elettorale, il Mattarellum, per il 75% maggioritario e per il 25% proporzionale, che ha prodotto un sistema di tipo bipolare e un meccanismo di investitura “quasi diretta” del governo. Il terzo aspetto è interno ai partiti. La nascita di Forza Italia ha costituito il primo esempio di partito personale e il suo ciclo vitale si è legato indissolubilmente con quello del suo fondatore, Silvio Berlusconi. La presenza di forti leadership ha poi avuto una conseguenza sul potere esecutivo, dove la figura del Presidente del Consiglio si è progressivamente trasformata da primus inter pares a primus super pares (1).

Le ripercussioni politiche sono state evidenti. Anzitutto, occorre sottolineare come la presenza di leader carismatici ed il crescente condizionamento dei mass media abbiano trasformato radicalmente le strutture partitiche, assegnando maggiore importanza alla comunicazione. Da qui la necessità di “de-ideologizzarsi” per conquistare i voti dei moderati e del centro.
È possibile parlare ora di Terza Repubblica? La turbolenta estate scorsa, conclusasi con la nascita di un governo sostenuto dal M5S e dalle forze del centro-sinistra, ha certificato la caduta dei capisaldi sui quali si sono basate le istituzioni negli ultimi 30 anni. A dire il vero, i punti di rottura si erano già manifestati molto tempo prima, con la nascita del governo Monti e la fine del bipolarismo, con le elezioni del 2013 che hanno visto il M5S approdare per la prima volta nelle istituzioni e non hanno consentito la formazione di una solida maggioranza in entrambi i rami del parlamento, ed infine con il referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, che ha rigettato la proposta di superamento del bicameralismo perfetto ed il nuovo impianto di ispirazione maggioritaria. Inoltre, le elezioni politiche del 4 marzo 2018 hanno evidenziato come i partiti di sinistra abbiano ottenuto maggiori consensi nelle città piuttosto che nelle periferie, perdendo le loro storiche roccaforti a vantaggio delle forze antisistema, e che il centro non è necessariamente moderato oppure sinonimo di “establishment”, ma può radicalizzarsi.

La fase storica attuale presenta tratti di comunanza e discontinuità con quelle precedenti. La legislatura in corso ha ribadito la necessità di formare accordi parlamentari dopo le elezioni tra forze politiche che si erano presentate antagoniste, come avviene nelle democrazie consociative. È venuto meno anche il dogma del “vincitore certo la sera delle elezioni”, cosa che peraltro può essere garantita solo dai sistemi presidenziali. Il ritorno ad un “principio consensuale” ha dimostrato la capacità di riequilibrio delle istituzioni, seppure per inerzia, e l’efficacia degli anticorpi previsti dai Padri costituenti, in un contesto però differente.

Come affermato dal politologo Gianfranco Pasquino (2) , ai sostenitori del maggioritario (Prodi, Veltroni, Salvini, ma anche Renzi) bisogna ricordare che questo meccanismo è cosa ben distinta dal proporzionale corretto con premi di maggioranza (come ad esempio il Porcellum o l’Italicum). D’altra parte, anche in Gran Bretagna la presenza di un maggioritario ad un unico turno non ha escluso la formazione di coalizioni post-elettorali. In presenza di partiti solidamente strutturati, il sistema della Prima Repubblica ha mostrato una maggiore compattezza delle forze politiche, sebbene si basasse su una legge proporzionale. A partire dal 1994, invece, la ricerca di un altro dogma, quello della governabilità, e del principio maggioritario, ha paradossalmente favorito l’atomizzazione del parlamento. Dopo il successo di Forza Italia, si è assistiti alla nascita continua di formazioni personali, contenitori liquidi con contenuti generici. Basti pensare ai nomi dei partiti, che spesso si sono presentati sotto forma di movimenti. Sono cambiate anche le modalità di appartenenza dell’elettorato, che è diventato maggiormente volatile. Se prima ci si definiva comunisti, socialisti, democristiani, liberali, repubblicani, oggi ci si identifica come grillini, renziani, salviniani, berlusconiani.

La scelta di chiamare “democratico” il principale partito della sinistra italiana è maturata nel rispetto di questi dogmi e del pensiero mainstream. La mancanza di identità del Pd, dovuta alla fusione a freddo di classi dirigenti di diversa estrazione e dall’esigenza di tagliare ogni riferimento con le radici ed i valori storici, è emersa già nel nome stesso. La “scorciatoia plebiscitaria” percorsa da Veltroni e Renzi ha aggravato questo problema, piuttosto che porvi rimedio.

Un altro tabù crollato quest’estate è proprio quello del politico carismatico e abile comunicatore. Inebriato dal successo delle europee, Salvini ha commesso l’errore clamoroso di rivendicare a sé il potere di scioglimento delle Camere, a dimostrazione del fatto che l’abilità politica debba andare ben oltre i sondaggi. Dopo una prima fase ascendente, che culmina nel successo elettorale, la parabola delle leadership carismatiche incontra un calo repentino, il quale non preclude future possibilità di rinascita. Si è imposta, invece, la figura di Conte. Entrato nella scena politica italiana come primus sub pares piuttosto che primus super pares, la sua anomalia è stata quella di aver guidato due governi sostenuti da maggioranze parlamentari opposte, senza farsi promotore di un progetto politico e senza chiarire le ragioni di un cambiamento di prospettiva, ma dimostrandosi semplicemente capace di governare il vuoto.
Una novità, a dire il vero più europea che italiana, potrebbe essere rappresentata dai Verdi. Tuttavia, è necessario che la tematica ecologista si leghi con le tradizioni socialiste e laburiste, evitando di cavalcare l’ennesimo dogma, ossia la fine delle ideologie.

Quali allora gli orizzonti della Terza Repubblica? Se le fratture sociali dei secoli scorsi hanno prodotto i partiti socialisti, popolari, conservatori, liberali, che si sono comunque evoluti negli anni, quali sarebbero i risultati delle fratture post-materialiste? In un quadro politico sempre più paragonabile ad un mercato, peraltro di scarsa qualità, nascerebbero single issue parties, vale a dire partiti che si identificano in singole tematiche: gli ecologisti, gli europeisti, i giustizialisti, gli animalisti. Si tratterebbe di vetrine di facciata, che indicano lo scollamento tra i due volti della politica, quello tecnico-amministrativo e quello del pensiero, della guida dei processi storici, sociali e culturali.

Il superamento dei dogmi, dunque, non ha significato la vittoria della politica. Dopo Tangentopoli, ogni nuovo ciclo delle istituzioni repubblicane si è aperto nel segno della demagogia e dell’antipolitica. Pertanto sarebbe un grave errore battezzare la Terza Repubblica con la riforma costituzionale del taglio dei parlamentari, che determinerebbe una pesante distorsione della rappresentanza delle minoranze partitiche e di quelle territoriali, soprattutto se associata ad una legge maggioritaria oppure alla presenza di liste bloccate. Gli effetti sarebbero ancora più gravi con l’introduzione del vincolo di mandato.

Tra i contrappesi da adottare non bisogna dimenticarsi di menzionare anche il ripristino di un meccanismo di contribuzione pubblica ai partiti. L’attività politica resterebbe altrimenti nelle mani di chi dispone dei mezzi di comunicazione e di un numero limitato di gruppi di potere, privi di valori, di cultura e di formazione politica. Assisteremo ogni giorno al debutto sul mercato elettorale di presunti leader carismatici, autoproclamatosi tali, pronti a lanciare un nuovo brand e a riconvertirsi continuamente. D’altra parte, perché lamentarsi della mancanza dei politici e degli statisti di un tempo? Non può esserci offerta in assenza di domanda.
La paura dell’“uomo forte” è riduttiva. Dovremmo preoccuparci dei pochi uomini soli al comando.


Note:
(1) Sul punto si veda M. CALISE, Il partito personale, Roma-Bari, ed. Laterza, 2000; F. MUSELLA, Il premier diviso. Italia tra presidenzialismo e parlamentarismo, Milano, Università Bocconi Editore, 2012.
(2) G. PASQUINO, Che bello il ritorno alle leggi elettorali…, in “www.gianfrancopasquino.com”, 24 settembre 2019.

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