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Si, no, no astensione

Giugno 2011: il caldo inizia a farsi sentire e, con il caldo, la sete crescente. In tv una meteorologa annuncia giornate assolate, sempre più calde, sicché il suo invito è di non perdere l’occasione di questo primo weekend estivo: “tutti in gita!”. Quel fine settimana la domenica cadeva il 12 e quel giorno si votava per i quattro referendum abrogativi.
Della sua capacità e spudoratezza nell’uso dei suoi mezzi d’informazione, Berlusconi non ha mai fatto mistero: il suo quarto Governo prendeva così una ferma posizione, astensionismo.
Eventi come questo erano all’ordine del giorno nell’era berlusconiana, ma le proteste non mancavano mai. Le opposizioni compatte, PD in testa, si contrapponevano al Governo, nel metodo e nel merito. Il mantra di Rete Quattro, abusiva e del conflitto di interessi, ci ha accompagnati per vent’anni (alla fine ha vinto lui) e l’autoritarismo e la beffa delle Istituzioni e dei loro diritti e doveri lasciava sempre inibiti. Le posizioni del PD sono state sicuramente facilitate dall’essere all’opposizione (da sempre la posizione più comoda), ma quel che era importante era non cedere davanti ai principi, agli irrinunciabili valori che un centrosinistra, alfiere e difensore della Repubblica, difendeva e faceva suoi.
Dopo Berlusconi, di Governi ne sono passati tre: Monti, Letta e Renzi. Il primo tecnico, il secondo claudicante, il terzo piglia tutto, con il suo Segretario-Premier. Ma qualcosa è rimasto lo stesso: quei principi per i quali ci si batteva un tempo sono rimasti lì, fermi, a dispetto dell’instabilità governativa.
L’Articolo 75 della Costituzione ci ricorda che i referendum possono essere indetti in due modi: quando lo richiedono cinquecentomila elettori (a breve, con la nuova riforma, saranno ottocentomila) oppure cinque consigli regionali. Non viene fatta distinzione tra una modalità più o meno legittima dell’altra, ambedue hanno lo stesso obbiettivo: far esprimere i cittadini sull’abrogazione totale o parziale di una legge.

Il cosiddetto “referendum sulle trivelle” che si terrà il 17 aprile  è stato reso possibile grazie alla volontà dei consigli regionali, per la precisione: Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise. Nove regioni.
Costituzione alla mano, i numeri ci sono e pure qualcuno in più. Cosa rimaneva per decretare la legittimità del quesito? La Consulta (organo preposto a farlo) si è espressa a favore. L’iter è concluso. E allora perché, non possiamo che chiederci la ragione, il Governo attuale (o meglio il Partito di maggioranza che lo sostiene ma, come detto, la linea si è fatta un po’ opaca) aggiunge un’ultima parola al processo, “astensione“?
Il Governo sceglie l’ignavia (il peccato peggiore, secondo Dante) e decide di non decidere. O, meglio, decide e lo fa trasalendo i suoi compiti: cerca di invalidare il lungo e costituzionalmente legittimo processo che ha preceduto l’individuazione della data della consultazione. Si vuole vanificare la volontà dei comitati e dei consigli regionali e l’espressione di legittimità della Corte Costituzionale. Lo fa come non accadeva dal 2011: con arroganza. Perché quello che viene chiesto è attenersi al quesito ed esporsi nel merito: si o no, in rispetto di chi questa battaglia l’ha combattuta e pure vinta (almeno fino ad ora). Invece sembra di riprovare quel caldo, quella sete che avanzava in quel giugno 2011. La signorina del meteo probabilmente questa volta non si esporrà in consigli per il weekend, ma possiamo sempre sperare che le vacanze che si avvicinano e il mare all’orizzonte, stimolino i cittadini come la sete che in quella quasi estate del 2011 li spinse a prendere tutti una univoca posizione (tra gli altri) sull’acqua pubblica: votare e fare votare.

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