Rossi Napoli

Sostiene Rossi … dal 2011

Ossessionati da Renzi. Irrilevanti. Identitari. Colpevoli di aprire la strada ai populisti. Gente alla ricerca di poltrone. E’ dal 12 febbraio 2017, data della penultima Assemblea Nazionale, che queste accuse, e molte altre, hanno come destinatari coloro che hanno deciso di abbandonare il PD. Vengono contestate e negate le ragioni politiche (profonde) che hanno determinato la rottura. Nessuna dignità politica riconosciuta ma la semplice e poco nobile voglia di protagonismo. Queste sono in definitiva, per alcuni, le ragioni che hanno portato alla nascita di Art. 1-Movimento Democratico e Progressista. Eppure……

Eppure, sostiene Rossi, che è giunto il momento di liberarsi “da ogni subalternità culturale al neoliberismo”. Aggiunge che “un gruppo dirigente si identifica con un progetto per il Paese, non nasce da una generica esigenza di ringiovanimento”. Insiste sul fatto che la sinistra dagli anni ’90 in poi ha avuto sicuramente molti meriti, primo tra tutti quello di aver portato l’Italia in Europa, però è stata sospinta “da una modernizzazione a tratti tecnocratica verso un riformismo debole senza popolo”, affascinata “dal cosiddetto blairismo che isolava il conflitto sociale assumendo il capitalismo finanziario come il migliore dei mondi possibili. Ora ci accorgiamo che non è vero”. Di conseguenza, c’è bisogno di una “analisi della società e di un progetto per l’Italia e dell’Europa attorno a cui costruire un sistema di alleanze innanzitutto sociali. Si spinge addirittura ad affermare che “un mercato senza regole consente a speculazione e rendita di mettere in discussione la sovranità degli Stati nazionali”. Ma l’ossessione per le politiche del Governo Renzi non trova argini e lo spinge ad andare oltre, e in un impeto vetero comunista si lascia andare ad affermazioni tipo “oggi viviamo una grande ingiustizia: il lavoro dipendente ha solo il 40% della ricchezza nazionale ma paga l’80% delle tasse. Il debito pubblico va abbattuto, perché altrimenti ci mangiano tutto gli interessi. Ma c’è anche un problema di ridistribuzione della ricchezza. Se non si sana questa ferita non ci sarà né sviluppo né tenuta sociale”. E’ poi chiaro che oltre all’ossessione per Renzi, è quella per il Jobs Act che lo induce ad affermare che occorre stare “nel conflitto sociale, che quando le persone chiedono più diritti, reclamano più equità, si sta al loro fianco senza andarci troppo per il sottile”.

In effetti, sarebbe difficile confutare che questa mole di dichiarazioni non sia stata determinata da astio nei confronti del gruppo dirigente del PD. Gioco facile avrebbe chiunque affermasse che è il tentativo di dare una giustificazione e un impianto politico-culturale ad un movimento la cui preoccupazione sarebbe non la redistribuzione del reddito, ma delle poltrone. Facile, se non ci fosse un però.


Nella foto: Un ritaglio dell’intervista ad Enrico Rossi, a cui si fa riferimento nell’articolo, rilasciata a L’unità il 14 settembre 2011

Le affermazioni testualmente riportate sono sì di Enrico Rossi ma non sono uno sfogo per il recente epilogo di vicende interne al PD: sono datate 14 settembre 2011, un’intervista a L’Unità (tema: il rinnovamento del PD) di quasi sei anni fa! Renzi era solo sindaco di Firenze e con Pippo Civati, alla prima Leopolda, si caratterizzava come uomo più a sinistra di Ernesto “Che” Guevara. Il segretario era Pierluigi Bersani e Jobs Act, Buona scuola, l’esaltazione di Marchionne che crea posti di lavoro e la demonizzazione dei sindacati parassiti, l’Italicum, non si scorgevano nemmeno con un telescopio in uso al CERN. C’era, e c’è, la preoccupazione dello stato di salute del centrosinistra, la cui gravità non colpiva solo la sua classe dirigente ma tutti quei milioni di cittadini che (si presumeva) voleva rappresentare. La preoccupazione sugli effetti nefasti che neoliberismo e capitalismo finanziario avrebbero ancora prodotto. Il tentativo di mettere a disposizione di una comunità politica analisi e proposte, per dare alla più grande forza europea di centrosinistra un programma, un’idea di società e di democrazia.

Questo tentativo è continuato per sei lunghi anni, sino a quel fatidico 12 febbraio scorso, quando è stato evidente che non c’era alcuna voglia di confrontarsi su questi temi. Si è avvertito, quasi fisicamente, il fastidio per chi contestava sulla base di fatti una falsa narrazione della realtà. Era, quindi, semplicemente inutile continuare lì, si è deciso di continuare altrove. Un nuovo inizio il cui esito non è affatto scontato, lo sappiamo bene. Però una base programmatica da cui partire l’abbiamo. Occorrerà arricchirla e renderla visibile a tutti coloro ai quali vogliamo rivolgerci. Ma non ci si venga più a dire che il nostro problema è Renzi. Come si dice dalle mie parti, quando hai cominciato a rubare, io ero già in galera. Ecco, appunto, che si impari a fare Politica, ché noi siamo già un pezzo avanti.

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