Terremoto1

Tra terremoti e migrazione: una difficile identità

I Le catastrofi, l ’Europa e le culture.
La recente catastrofe del terremoto nel Centro Italia conferma che formulare i caratteri di una identità di sinistra ed europea è un compito centrale ma difficile: pone il problema dei limiti di una politica di divisione e polverizzazione , che come ha separato, ieri, “rottamati” e “giovani”, occupati e disoccupati, oggi scinde il terremotato dal migrante, ed enfatizza la libera scelta del velo delle suore, in vacanza in riva al mare, contro la soffocante, insopportabile schiavitù di altre donne, anche esse al mare, velate secondo la tradizione del burkini – una tradizione, per la verità, simile e nemmeno troppo lontana, nel tempo, da quella delle donne al mare nell’Europa ottocentesca o da quella delle donne meridionali nell’Italia di Cristo si è fermato ad Eboli e di Fontamara, incontrate, peraltro, ancora da Pasolini negli anni del boom economico. Sorta sulle rovine della storia del “movimento operaio”, questa politica è apparsa nello spettacolare vertice di Ventotene come l’icona di una dialettica dimidiata.

In effetti , aldilà della cronaca, stiamo tutti attraversando un mare, siamo tutti un po’ “terremotati” e “migranti”, alla ricerca della tradizione e nello stesso tempo di un passaggio, di un “investimento” che conservi, superato, il vecchio nel nuovo. Tutti dobbiamo ripensarci in relazione e nelle vesti di una inedita , strana “forza-lavoro”, di fatto stabilmente precaria, flessibile; “giovane”, nelle università italiane, ancora a quarant’anni; oppure “clandestina” e senza cittadinanza, come quella che regge in Italia le attività produttive del centro di Roma, Firenze, Milano o della tragica Napoli; o che si rompe la schiena, sottomessa al caporalato nelle campagne del Meridione; oppure che fa funzionare, in tutta l’Italia, il settore dei “servizi”.

Propongo, per comprenderne la composizione e non per esaurirla, di mettere dalla parte di questa “forza-lavoro” acquisita, in viaggio, che non “cresce”, anche i pensionati che non possono andare in pensione, i soggetti delle “unioni civili”, delle assunzioni a tempo indeterminato, i lavoratori dei call centers, i giovani disoccupati e quelli che non cercano più lavoro. Tutti insieme costituiscono quello “zoccolo duro” che nella vita di ogni giorno, produce contrastanti tensioni, rifiuti, dinieghi , silenzi, fino al serpeggiare e propagarsi della degradazione dei costumi popolari e di una malcelata paura xenofoba. Turba una stessa incerta, sospetta, altra, identità: più che “nuova”, “eretica”, da “”caccia alle streghe”.

Durante le vacanze di metà agosto mi sono trovato a viaggiare insieme ad una giovane donna araba carica di due pesanti borse. Eravamo soli nel vagone di un regionale veloce. Consapevole della propria responsabilità , la ragazza, esile e determinata, ogni volta che si muoveva, si rivolgeva a me con tono rassicurante e fermo, spiegandomi cosa intendesse fare. Viene da dire che essere “se stessi” non può non coincidere , oggi, con l’esercizio di una libertà problematica. Lo scrittore Tahar Ben Jelloun lo ha documentato in un suo recente romanzo (Il Matrimonio di piacere, /Milano, La nave di Teseo 2016), descrivendo quanto può diventare difficile nella cultura araba reggere la propria identità nel rispetto della tradizione. Nel suo insieme l’identità riguarda, oggi, l’accostarsi e l’incontro di più “culture”: sia del Mediterraneo sia del Nord Europa, sia quella “occidentale” sia quella “araba”, come quella “turca”, tutte alle prese trasversalmente e al loro interno con i sentimenti, gli impulsi, le passioni delle ”persone” e della la loro volontà di realizzarsi. L’identità riassume i tratti individuali , fortuiti, inediti di ognuno di noi. E’ quella stranezza che abbiamo nella testa , raccontata dal premio nobel Orhan Pamuk , che diventa il segno con cui il singolo si rappresenta ed è rappresentato, si governa ed è governato (V. O. Pamuk, La stranezza che ho nella testa, Torino Einaudi 2015).

II Filosofia ed esilio.
Anche la prossima consultazione in Austria, il referendum in Ungheria e quello italiano di fine anno sembrano ridurre ulteriormente, dopo la Brexit, la prospettiva di una possibile contemporanea identità europea di sinistra. In Italia, il rompicapo tra il “si” e il “no” impersonati nello scontro D’Alema/Gentiloni è la cifra di tale prospettiva. In concreto, aldilà del renzismo “malattia infantile del dalemismo” (Sergio Staino) sembrano cambiate le condizioni della sintesi identitaria, “nazionale” e “cosmopolita” che un secolo fa doveva scaturire da una “grande riforma intellettuale e morale”, allora “rappresentata –in Italia- dal diffondersi della filosofia della praxis”. Con la migrazione ci troviamo di fronte ad un esilio di massa, che si spiega senza ricorrere a “marxismi immaginari” (Raymond Aron) o alla propaganda della “comunicazione”. Quando con l’avvinghiarsi precipitoso degli eventi, le condizione per raggiungere la propria soggettività di persona diventano incerte, fortuite, dettate dal terremoto dell’internazionalizzarsi di razze e popoli, e dalla migrazione di giganteschi sistemi di potere, l’ identiità, non può non diventare il problema che travolge e determina patologicamente il raccordo tra “l’uomo” e il “cittadino”. Una indagine focalizzata intorno agli accadimenti che documentano on the road, nella pratica, questa condizione “etico-politica”, resta sicuramente una buona base di partenza per contrastare la propaganda e non restare imprigionati nella retorica di una “cronaca” modesta. L‘accelerazione modernizzante è un dato di fatto riconosciuto anche dai “compagni incazzati” (Staino). Lo “spirito del mondo” non è più solo “occidentale” ma sempre più “spirito” di un mondo globalizzato, che va globalizzando le determinazioni della novecentesca questione sociale. Ineludibilmente un medesimo orizzonte avvolge la vita di masse da amministrare in sistemi di potere omogenei.

In Italia manca una “filosofia” delle scienze amministrative che spieghi la miseria di istituzioni chiuse tra i muri dell’identità nazionale e la rassegnazione ad una “rivoluzione passiva”. Nella tradizione socialista si possono cogliere nozioni, concetti, idee, per pensare storicamente questa “filosofia”? Variamente, la civilizzazione del corpo della donna, i diritti sociali e i diritti civili, la trasformazione del lavoro, fanno da spia alle alleanze, alle prospettive di un nuovo blocco storico. Osservare e ragionare queste “spie”, anche “dal basso”, da “vicino”, specie in un tempo nel quale la sinistra non riesce a fare proposte efficaci, non è del tutto inutile—come è stato ricordato a più riprese da Enrico Rossi. L’ ineffettualità culturale prima che politica, fa il gioco delle forze reazionarie e oscura nel processo di modernizzazione, la realtà della differenza tra destra e sinistra.

III Dio, Famiglia e società.
Nella dinamica autobiografica drammaticamente svelata dal dialogo culturale e interreligioso, dal confronto quotidiano degli “stili di vita”, dalle lotte sindacali, dalle iniziative delle organizzazioni non statali, dalle attività del volontariato, dalle sentenze riguardanti i diritti della genitorialità e la stabilizzazione di un moderno sistema di parentela, l’affermarsi dell’ l’ identità di una globale forza-lavoro muta la dialettica “occidentale” di famiglia e società, una volta propria della “vecchia Europa”. L’iniziativa del” fertility day” potrebbe essere considerata una prova anche se in chiave farsesca. Il passaggio dai vincoli originari di “sangue”, dell’ “uomo”, a quelli della “terra” , del “cittadino”, della cittadinanza, acquisita o da acquisire, avviene in un “civile” e uno “stato” “terremotati”, contrastanti e complessi. Peculiarmente, per i nativi e per i migranti, l’identità e la differenza tra la cultura di origine e quella acquisita, ha reso contiguo al processo educativo il ricorso terapeutico, affidato all’osservazione del disagio e all’intervento psichiatrico e psicoanalitico . L’identità dell’adulto, una volta riservata solo all’ “uomo” è raggiunta nel divenire delle generazioni (non solo la prima e la seconda, belghe e francesi) con una dura conquista, conseguita invece che con l’ ”informazione” di un orologio biologico tramite un gigantesco processo di disciplinamento; nell’ adeguamento faticoso ad un mondo tecnico- scientifico, virtuale, immateriale, da interiorizzare senza melanconia.

In larga parte del nostro paese e dei paesi europei, non solo dell’est, questo processo richiede di essere “mediato” in una storia. La “governamentalità” dei conflitti generazionali, di “classe”, di genere, di razze, di famiglie intorno alla UE non può riuscire se non si prendono in carico i “viventi” e non si comunicano i problemi senza propaganda. Trasversalmente ai “reati”, e ai “peccati”, ai “normali” e ai “mostri”, uomini, donne – le donne che non fanno figli -, bambini – i bambini orfani “salvati” in mare – lottano per essere riconosciuti nelle loro differenze e nella loro reciprocità. In prima linea, per tale riconoscimento, l’invocazione di papa Bergoglio al Dio della misericordia, così caro agli eretici italiani del ‘500, è indice storico (nella storia della cultura da riprendere in una rinnovata e spregiudicata politica socialista), di una ideale uguaglianza umana, di una ricerca non solo fantastica ma paziente, generosa, non violenta, tollerante, di se stessi. Suppone che l’identità si raggiunga con un solenne completamento attraverso gli altri –migranti compresi, storicamente (Cfr M. Sanfilippo Una città d’immigranti: dalla fine della cattività avignonese alla guerra dei Trent’anni, in Early Modern Rome 1341-1667, a cura di Portia Prebys, Rome, The Association of American College and University Programs in Italy, 2011). Nell’edizione italiana di un testo di Erasmo (Erasmo da Rotterdam, La misericordia di Dio, a cura di P. Terracciano, Pisa Edizioni della Normale 2016) si può trovare una traccia di questo Dio: una traccia che potrebbe dar voce ad una “controinformazione” capace di solidarizzare col “sospiro” delle creature oppresse e organizzare il valore storico e/o di sinistra, di una identità europea.

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