Bandiere Pd

Un congresso vero e un nuovo programma per salvare il Pd

Grande è la confusione sotto il cielo, la situazione è eccellente, diceva Mao ai tempi della rivoluzione cinese. Ma a differenza della massima di Mao Tze-tung, per il Pd si può dire che grande è la confusione e la situazione è pessima e per niente eccellente. Molta confusione e soprattutto un clima di tutti contro tutti. Manca la capacità di ascolto e di sintesi perché il Pd è privo ormai di una visione comune e, ad ogni livello, anche di un minimo di direzione condivisa.
Il confronto interno appare ai più come fatto di tatticismi, di mosse e contro mosse che sanno tanto di vecchia politica, e come tale non appassiona nessuno. La stessa maggioranza formatasi a suo tempo attorno al governo Renzi sembra ormai in uno stato di disagio e di contrapposizione latente. In questa discussione questioni dirimenti sul ruolo del Pd, sull’Italia e il suo futuro, che anche esponenti della maggioranza tentano di affrontare, trovano difficoltà ad essere valutate come contributo ad una riflessione comune e sono considerate solo come mosse per posizionamenti futuri. La questione sociale italiana che nessun racconto o favola ha potuto rimuovere sta tornando invece prepotentemente a farsi sentire. La sinistra e il Pd devono essere lì con convinzione e determinazione, altrimenti ci penserà la destra.

La crescita asfittica, la dimensione della disoccupazione, soprattutto quella giovanile, la precarietà, le diseguaglianze crescenti, l’impoverimento dei ceti medi, richiedono politiche economiche impegnative ed hanno bisogno di un governo stabile che lavori senza avere sul collo la mannaia di elezioni anticipate come quelle che disperatamente sta richiedendo il segretario dello stesso partito del Presidente del Consiglio. Prima di tutto l’Italia e poi le elezioni a scadenza naturale dopo aver definito una legge elettorale condivisa ed omogenea tra Camera e Senato. Una tale considerazione mi sembra di sano buon senso e potrebbe contribuire a far ritrovare anche all’interno dello stesso Pd un minimo di serenità e di unità, condizione questa per evitare forzature, ritorsioni, rivalse ed evitare le tanto paventate scissioni. Il Pd ha bisogno di avviare una riflessione sull’Italia, su quanto è cambiato a seguito della rivoluzione tecnologica, sui mutamenti internazionali, sulla globalizzazione, sulla diseguaglianza, sulla crisi della democrazia rappresentativa, sul valore dei beni comuni.

Una riflessione di questa natura richiede una discussione organizzata e inclusiva. Insomma un congresso di rifondazione del Pd in grado di definire il suo programma fondamentale e un programma per l’Italia, capace di parlare all’Italia. E questo programma non può essere Renzi, come invece sembra essere l’unica proposta che il segretario del Pd è in grado di avanzare. Proporre se stesso all’Italia ci ha già provato con il referendum e non ha avuto successo, anzi gli italiani lo hanno sonoramente battuto. Si è chiuso un ciclo e non solo in Italia. Ci vuole un congresso vero, sia per fare i conti con le sconfitte di questi anni e sia per definire la funzione che si vuole dare al Pd, per proporre una nuova idea di governo, di sistema politico ed elettorale, per unirsi e non per contarsi o per riproporre un altro referendum pro o contro Renzi, magari nei gazebo.

Quella sinistra di cui mi sento parte e che ha contribuito, assieme ai cattolici democratici, ai socialisti e laici liberali, a fondare il Pd, o recupera la consapevolezza che la sua ragione d’essere deriva dall’impegno e dal coinvolgimento della porzione militante del suo elettorato e da essa trae la sua legittimazione e la sua forza, altrimenti è solo ceto politico distante, indistinto, avventuriero e, come tale, in ogni occasione, da umiliare e da combattere in quanto considerato “casta“. Il Pd ha bisogno di rieducarsi e rieducare a discutere, a confrontarsi e a rispettarsi. I gruppi dirigenti si formano così e non per convenienza di appartenenze. Il Pd ha bisogno di un pensiero politico di respiro, di una chiave comune di lettura della società italiana. Condizione, questa, anche per tornare a coinvolgere nella vita pubblica quegli ampi strati popolari impoveriti dalla crisi e che, in una parte consistente, già faticavano a votare da prima dell’avvento dello stesso Renzi e che nel referendum sono ritornati a votare ed hanno fatto sentire il loro disagio e la loro voce. Non capisco, pertanto, le reazioni di chi valuta queste considerazioni di buon senso come disgregatrici o, addirittura, alcune di esse prodromiche di scissioni. Le scissioni ci potranno essere solo se non si avvierà un convinto coinvolgimento e una serena discussione interna ma aperta alla società, ai giovani, alle espressioni progressiste e di sinistra. Non va sottovalutato che molti elettori e vecchi iscritti hanno già da tempo abbandonato il Pd ed hanno contribuito a quella che è stata definita “la scissione silenziosa“.

Insomma più che “un congresso subito” un congresso vero e fondativo per un nuovo centro sinistra e per un partito consapevole di essere di parte, ma capace di dialogare con tutti. In Europa non vince più il centro ma la polarizzazione. Il blairismo della terza via e’ sul sentiero del tramonto. Per la sinistra è un ritorno ai valori delle origini: solidarietà, uguaglianza, abiura delle riforme neoliberiste dettate dai mercati e dai grandi capitali e da eurotecnocrati senza responsabilità. E il Pd non può rimanere fuori da tutto questo. A rappresentare un partito così non sarà mai sufficiente e adeguato nessun uomo solo al comando che si chiami Renzi o Emiliano. Prima il programma e la visione e poi gli uomini a rappresentarli e a battersi per realizzarli. I congressi servono proprio a questo.

Carmine Dipietrangelo
Presidente Leftbrindisi

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