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Un nuovo (e antico) modo di fare politica

In questo fine settimana (ha cominciato il Molise), Articolo Uno organizza 20 assemblee regionali per discutere della fase politica e delle prospettive di costruzione di un percorso unitario a sinistra.

Al di là di cosa uscirà da queste assemblee regionali, una cosa va rilevata a priori: ha un buon sapore, questo modo di fare politica.

Da circa un quarto di secolo, in Italia e nel mondo la crisi dei partiti (ovvero, della “democrazia che si organizza” cfr. Palmiro Togliatti, e crf. anche l’articolo 49 della nostra Costituzione) ha coinciso con una smodata passione postmoderna per l’evento.

L’incontro disintermediato (ma di solito assai eterodiretto), la kermesse, la “leopolda“, tutte diverse declinazione (in salse e con posizionamenti diversi, a volte contrapposti) ha occupato, nell’immaginario e nella pratica, una posizione centrale nei processi di costruzione dei soggetti politici e nella determinazione delle linee politiche.

Il risultato è stato una spettacolarizzazione della politica parallela al farsi opachi dei reali processi decisionali.

Nella storia repubblicana italiana lo zenith della chiusura oligarchica lo si è raggiunto proprio nel tempo in cui tutti parlano di società civile, di partecipazione e di apertura. Non è un problema di tecnica o di leggi elettorali, ma di cultura e di volontà politica – con qualsiasi legge elettorale si possono costruire reali processi di partecipazione.

Articolo Uno, in questa estate così importante e così densa di appuntamenti a sinistra, sta provando a mettere in campo un’idea del modo di fare politica realmente nuova.

Nuova, e al tempo stesso antica.

Certamente, le prossime assemblee regionali saranno solo un’approssimazione assai imperfetta di quel metodo di lavoro che va costruito, passo dopo passo, centimetro dopo centimetro.

Ma già lo stesso fatto di aver convocato 20 momenti di discussione in tutta Italia, 20 luoghi in cui discutere seriamente, fuori dalla logica dell’evento, è un passo importante nella direzione giusta.

La migliore linea politica dev’essere radicata socialmente e territorialmente, altrimenti, fatalmente, presto o tardi si pervertirà in qualcosa di inutile o di dannoso.

E il radicamento non si può costruire, se non si chiamano sul serio i militanti a discutere (seriamente) di politica.

Bisogna augurarsi e lavorare affinché queste assemblee regionali non siano solo un luogo di “sfogo”, ma anche un passaggio concreto per delineare elementi di analisi e soprattutto di sintesi politica.

Ma in ogni caso, il semplice fatto di procedere in questo modo nella discussione, qualifica già Articolo Uno per il tentativo, ancora fragile e insufficiente ma molto importante, di mettere in campo un’idea concreta e di reale partecipazione – di cui si sente davvero l’urgente bisogno

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