Al Bagdadi

Un’ipotesi su Al Baghdadi e l’Isis

L’esperimento di Stanford del 1971 è uno degli esperimenti più conosciuti nell’ambito della psicologia sociale per i risultati drammatici che ne obbligarono l’interruzione dopo soli 6 giorni. Alcuni ragazzi, senza passato di devianza, vennero divisi in due gruppi per simulare le attività di una prigione, in pochissimo tempo le guardie divennero sadiche e maltrattanti e i prigionieri mostrarono evidenti segnali di stress e depressione. L’esperimento si è svolto in un carcere adibito all’occasione nei sotterranei dell’università ed è stato influenzato dall’elevato livello di brutalità e depersonalizzazione tacitamente accettate dai supervisori.

Nel 2003 l’esperimento di Stanford divenne di attualità quando nel carcere di Abu Ghraib a Baghdad furono inflitti a diversi detenuti numerosi abusi sadici e criminali da parte dell’esercito USA. Le violenze e torture sistematiche sui detenuti sono state perpetrate da diversi membri della forza di polizia militare (la 372/a Compagnia di Polizia Militari, 320/o Battaglione, 800/a Brigata) nella sezione A-1 del carcere di Abu Ghraib. Il carcere in Iraq, gestito in quel periodo dall’esercito statunitense, divenne tristemente noto in tutto il mondo per le foto di una soldatessa americana che portava un detenuto nudo al guinzaglio, di detenuti accatastati nudi gli uni sugli altri, di un detenuto incappucciato con i fili elettrici alle mani.

Queste foto di uomini spogliati nudi, a volte in pose forzate umilianti e sessualmente esplicite erano estremamente simili a quelle del 1971 realizzate all’Università di Stanford. Viene quindi da pensare che anche in Iraq, come a Stanford, ci sia stata una tacita autorizzazione dai vertici militari ma soprattutto che la conseguenza sui detenuti possa essere stata la medesima con la comparsa di forme di psicosi e depressione o di conclamata patologia psichiatrica.

Da tempo si sa che Al Baghdadi, terrorista iracheno e califfo dell’autoproclamato Stato Islamico, era stato incarcerato dagli americani durante l’occupazione dell’Iraq, ma fino ad oggi si credeva che fosse stato rinchiuso a Camp Bucca, nel sud del paese. Secondo alcune fonti militari degli Stati Uniti queste informazioni non sono esatte o sono state appositamente diffuse per coprire la realtà dei fatti. “The Intercept”, il sito online diretto da Glenn Greenwald, il giornalista che pubblicò le rivelazioni di Snowden, scrive che il ‘califfo’ dell’ISIS, Abu Bakr al Baghdadi con matricola US9IZ-157911C fu detenuto dalle forze Usa nel centro di detenzione iracheno. I documenti non citano mai direttamente Abu Ghraib. Tuttavia, Troy Rolan, portavoce dell’esercito americano, specifica: “i numeri di serie della prigionia dell’ex detenuto al Baghdadi iniziano con 157“, i numeri che venivano assegnati al carcere di Abu Ghraib.

Gli errori e le visioni scarsamente lungimiranti degli Stati Uniti nell’ambito delle guerre del Golfo e dell’Afghanistan e gli improbabili alleati mediorientali hanno avuto un peso rilevante sull’escalation dell’intolleranza e della guerra nel bacino mediterraneo ed europeo. C’è però anche da domandarsi se il delirante programma di al Baghdadi per la conquista del mondo, di cui annuncia la vittoria entro il 2022, sia frutto anche di una devianza psichiatrica conseguenza delle torture subite nel carcere iracheno durante la gestione americana.

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