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Uno spettro s’aggira per l’Europa (ma ancora più in Italia)

L’uscita dei dati ISTAT sull’occupazione e la disoccupazione dà vita da sempre a coloriti dibattiti sull’andamento del mercato del lavoro: i dati sono talmente tanti che è facile trovarne alcuni che dimostrano come vi sia un evidente miglioramento, così come è altrettanto facile smentire quella lettura sulla base di altri dati che mostrano esattamente il contrario.
Intanto sono opportune alcune considerazioni metodologiche, forse un po’ noiose, ma necessarie.

La prima è che i dati ISTAT provengono da indagini campionarie che, come tali, hanno un margine d’errore (peraltro esplicitamente indicato da ISTAT), quindi non ha senso soffermarsi a commentare piccole differenze percentuali.

La seconda riguarda la definizione di occupato e soprattutto disoccupato: dovendola sintetizzare, diremmo che è occupato chi ha lavorato (anche poco) nel periodo di riferimento, mentre è disoccupato chi cercava un lavoro ma non lo ha trovato. Si comprende subito che mentre lo stato di occupazione è oggettivo, quello di disoccupazione è soggettivo dal momento che, se una persona non cerca lavoro, in quanto ad es. scoraggiato nella possibilità di trovarlo, non è considerato disoccupato. Si spiegano così alcuni paradossi; ad esempio, quando il ciclo migliora è possibile che aumenti l’occupazione ma anche la disoccupazione, dal momento che alcune persone escono dal letargo e cominciano a cercare lavoro avendo maggiori speranze di trovarlo.

Tuttavia, al di là delle oscillazioni mensili o anche trimestrali – non sempre facilmente commentabili, dati gli errori di stima – il mercato del lavoro del paese mostra comunque alcune chiare evidenze che accentuano – spesso in negativo – le tendenze europee:

• Il tasso di occupazione è tornato ad aumentare ma, mentre in Europa è ormai tornato ai livelli pre-crisi, in Italia siamo ancora sotto di 1,4 punti rispetto al valore del 2007;

• il tasso di disoccupazione è tornato a ridursi; in Europa, dopo aver superato nella fase più acuta della recessione quota 12%, nel quarto trimestre del 2016 si attestava al 9,9%; in Italia resta su livelli ampiamente superiori (11,8%);

• L’incidenza della disoccupazione di lungo periodo – in leggera flessione negli ultimi mesi – è in Italia con il 58,8 di quasi dieci punti sopra la media europea;

• l’orario di lavoro – dal 2015 di nuovo in crescita- è ancora sotto i livelli pre crisi. La quota di occupati a tempo ridotto è passata fra il 2007 ed il 2015 in Europa dal 4,3% al 6,2%, e in Italia dal 5,8 al 13,1%;

• In termini reali, in Europa il salario orario ha continuato a crescere anche se a ritmi via via più lenti, mentre in Italia è rimasto praticamente fermo dal 2010 (essendo diminuito l’orario medio le retribuzioni procapite si sono quindi ridotte);

• I costi della crisi si sono scaricati prevalentemente sui più giovani ed in particolare su quelli con più bassi livelli di istruzione;

• Le differenze tra nord e sud del paese sono ancora enormi; si passa da un tasso di occupazione di oltre il 68% dell’Emilia Romagna ad un tasso del 39% della Calabria; da un tasso di disoccupazione inferiore al 7% in buona parte delle regioni del Nord ad un tasso che supera il 20% nelle isole, in Campania e Calabria;

• Ancora più grave il divario territoriale nel tasso di occupazione giovanile: tra i 18 ed i 29 anni si passa da valori del 17% nel nord-est a valori che superano il 44% nel sud.

Quindi, al di là di quanto accade mese mese, con oscillazioni spesso dovute a fenomeni sporadici o comunque a rilevazioni soggette di per sé ad errore statistico, ci pare si possa sintetizzare in questo modo l’andamento del mercato del lavoro:

• dopo la lunga fase di crisi vi sono sul fronte quantitativo segnali di miglioramento anche se di portata molto leggera, tanto che il livello di occupazione oggi raggiunto è ancora inferiore a quello pre-crisi;

• il numero di disoccupati è raddoppiato dall’inizio della crisi e, dopo avere subito un lieve riduzione nel corso del 2015, è tornato ad aumentare stabilizzandosi attorno ai 3 milioni.

La percezione che si ha è che l’Europa punti ad un recupero della propria competitività rispetto ai paesi emergenti più che attraverso un rilancio sostenuto degli investimenti, attraverso la compressione del costo del lavoro; questa tendenza ad un maggiore sfruttamento del lavoro risulta ancora più evidente nel nostro paese. Questo ci invita a leggere i dati sull’andamento del mercato del lavoro sotto questa ottica, per capire oltre alla evoluzione delle quantità, anche quella della qualità, ovvero delle condizioni di lavoro e della sua remunerazione.

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