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Verso un socialismo del XXI secolo. Intervista a Li Andersson (Alleanza di Sinistra finlandese)

Traduzione dell’intervista di Ronan Burtenshaw a Li Andersson, leader del partito finlandese Alleanza di Sinistra, pubblicato su Jacobin Magazine con il titolo “Where Next for Finland’s Welfare State?” (21 dicembre 2017).

È stato un decennio turbolento nella politica finlandese. L’erosione del tanto decantato Stato sociale e il collasso del gigante delle comunicazioni Nokia ha fornito il giusto contesto per l’emergere del partito populista di destra, i Veri Finlandesi.

Intanto, il partito socialista più grande del paese, l’Allenza di Sinistra, spinto dalla crescita dei Veri Finlandesi, nel 2011 è entrato in un governo di unità nazionale, per poi uscirne nel 2014 per protesta contro i tagli al bilancio. In seguito alle elezioni del 2015, i Veri Finlandesi sono andati al governo e, recentemente, si sono scissi, lasciando all’opposizione un partito con una linea molto più dura sull’immigrazione.

L’Alleanza di Sinistra, che affonda le sue radici nella Lega Democratica Popolare, guidata dai comunisti, una forza che deteneva circa il 25% del voto verso la metà del Ventesimo secolo, adesso ha appena il 10% nei sondaggi. Nel 2016 ha eletto come sua leader Li Andersson, una politica-attivista che allora non aveva nemmeno 30 anni.

Da quando è stata eletta presidente del partito, Li Andersson è diventata uno dei leader politici più popolari della Finlandia […]. Qui parla con il direttore di Jacobin Europa, Ronan Burtenshaw, del welfare state e del neoliberismo in Finlandia, dell’ascesa e delle cadute dell’estrema destra finlandese e del proprio punto di vista sul percorso verso un socialismo di Ventunesimo secolo.

C’è una versione cliché della Finlandia che viene presentata a livello internazionale: la società utopistica con un forte Stato sociale, bassi livelli di disuguaglianze sul reddito e importanti risultati accademici. La stampa liberale spesso la presenta come un trionfo di politiche razionali ed ethos comunitario. Ma questa visione sembra dimenticare sia le battaglie combattute per raggiungere certi risultati che la loro erosione nei decenni recenti. Quale potrebbe essere una maniera più precisa di descrivere la Finlandia contemporanea?

La Finlandia è un buon esempio di come nulla è stabile. In parte è una questione di prospettiva. Se metti la Finlandia a confronto con altri paesi, andiamo bene in termini d’istruzione e di uguaglianza di genere. Ma se la osservi dalla prospettiva finlandese, mettendola a confronto con il passato, la situazione è preoccupante. L’idea stessa dello Stato sociale è sotto attacco da parte della destra e il governo ha in programma di smantellarne elementi cruciali. Questo non è un trend specifico della Finlandia: è infatti possibile osservarlo in altri paesi nordici. […]

Un buon esempio è la spinta è riformare il sistema sociale e sanitario. Nei recenti decenni la destra svedese è riuscita a costruire un sistema più incentrato sul mercato per la sanità, l’assistenza agli anziani e i farmaci. Il tentativo è riuscito, tanto che adesso la Svezia ha uno dei sistemi farmaceutici più privatizzati al mondo. Adesso il governo finlandese vuole fare lo stesso. […]

Nel 1903 i socialdemocratici finlandesi adottarono il Forssa Program, un documento radicale che anticipava lo sviluppo dello Stato sociale come una pietra miliare per il socialismo. Gli anni successivi hanno dimostrato che questo non accade necessariamente. Come appare quella transizione oggi, più di un secolo dopo?

Abbiamo la tendenza a pensare al progresso come la continuazione di un certo processo fino alla sua fine logica. Ma non è così che funziona la società o la politica. È una continua lotta avanti e indietro. Lo Stato sociale è stato un grande passo in avanti, ma adesso dobbiamo pensare a farne altri.

Quando guardi al futuro, la redistribuzione di energia e risorse sarà importante. Ho recentemente visitato un’università dove mi hanno mostrato gli strumenti per produrre carburante e cibo dall’aria e dalla luce solare. Se questo venisse portato su larga scala, potremmo assistere alla più grande ridistribuzione da molto tempo a questa parte. Sarebbe possibile fornire risorse a chiunque ha accesso all’aria e al sole.

Un altro esempio è la cosiddetta sharing economy, che è più che altro una renting (affitto) economy. È possibile immaginare queste piattaforme gestite collettivamente in un modo che ricorda il concetto socialista tradizionale della socializzazione dei mezzi di produzione.

Dovremmo guardare anche ai data. Se, invece di venire accumulati da grandi aziende, tutti i dati che produciamo nella società fossero risorse pubbliche, questo fornirebbe una base per un’innovazione che sarebbe radicalmente diversa paragonata a un’economia con pochi attori privati che possiedono delle patenti. […]

Poi c’è la questione dell’automazione del lavoro industriale. Potremmo rispondervi tassando i robot, creando così un reddito di base universale e arrivando a una giornata lavorativa di sei ore. Questa è una visione ottimista del futuro – ma dobbiamo iniziare a pensare in questo modo se vogliamo evitare l’esito peggiore. […]

La Finlandia ha una combinazione inusuale di deindustrializzazione e quella che potrebbe essere chiamata post-deindustrializzazione, ossia il declino dell’industria finlandese tradizionale e poi del gigante delle comunicazioni Nokia. Come hanno plasmato l’economia finlandese questi due processi?

Il declino della Nokia ha impattato significativamente sulla produttività, lasciando la Finlandia con molti posti di lavoro ad alta produttività in meno. Solitamente, quando accade qualcosa del genere con un’industria dell’export, provi ad aumentare la competitività svalutando la tua moneta. Ma la Finlandia è membro dell’Unione economica e monetaria dell’Unione europea e usa l’euro, quindi ci mancano questi strumenti. Perciò, come molti altri paesi europei, è stata costretta a ricorrere a una svalutazione interna. E questo è stato eccessivamente dannoso, anche se non ai livelli dei paesi del sud dell’Europa colpiti più duramente dalla crisi. Il governo ha costretto i sindacati e i datori di lavoro a un accordo sul mercato di lavoro che ha tagliato i salari. Il risultato è che il costo del lavoro finlandese è sceso di molti punti percentuale, mentre la Germania, la Svezia e altri paesi dell’Europa del Nord lo hanno visto aumentare. Ci siamo opposti a questo accordo e all’idea che ci sta dietro, ossia costringere la Finlandia a una competizione internazionale sui salari. Il governo ha cercato di applicare le stesse misure di austerità che si sono viste in tutta Europa, con i tagli ai salari e alla spesa pubblica e questo non ha funzionato. Noi, invece, proponiamo una politica d’investimenti, soprattutto nella ricerca, che potrebbe aiutare a sviluppare la produttività nel settore dell’export.

Il problema per questo tipo di politiche in Finlandia è l’appartenenza all’Unione economica e monetaria dell’Unione europea. Fino a poco tempo fa, la sinistra in Europa era relativamente unita sulle proprie richieste di riforma dell’UEM. […] Ma dopo quello che l’Eurogruppo ha fatto a Syriza in Grecia, la spinta verso il cambiamento in questa direzione è svanita.

Si è parlato molto del prossimo passo da fare, ma non si è mai trovato un punto d’accordo. L’Unione Europea è un progetto politico con un simbolismo importante. Ma se paragoniamo la sinistra in termini di politiche alla destra, è chiaro che loro si sono concentrati maggiormente sull’economia. Forse è giunto il momento di guardare all’UEM solo da un punto di vista economico. Non possiamo averne uno che è una via di mezzo. Le decisioni e le proposte a livello europeo sulle politiche finanziarie comuni vanno tutte in una direzione disastrosa. Sono determinati a riformare soprattutto il mercato del lavoro e questo significa maggiori guadagni per il capitale. A meno che non s’inverta la rotta, è difficile immaginare un qualsiasi progresso per la sinistra in Europa.

A un certo punto, i Veri Finlandesi erano visti come gli afieri della destra populista in Europa. Poi sono andati al governo e la loro spinta propulsiva ha visto una battuta d’arresto. Recentemente si sono scissi, con gli elementi moderati che sono rimasti al governo e quelli più radicali sono andati all’opposizione. Cosa ne pensi dell’esperienza dei Veri Finlandesi?

[…] A differenza dei Democratici Svedesi e del Front National, il partito dei Veri Finlandesi è iniziato come un partito agrario, dove le politiche migratorie giocavano un ruolo relativamente minore. La sua retorica era più quella del populismo traduzionale – l’uomo comune contro le élite, soprattutto contro l’UE. A metà degli anni 2000, i gruppi di destra anti-migranti stavano cercando di mettersi insieme e videro il potenziale come vettore dei Veri Finlandesi. Il partito che raggiunse la notorietà era fondato su questo mix di politici xenofobi e concentrati sull’immigrazione e una base di populisti agrari. Il 2011 è stato l’anno della svolta e le ricerche suggeriscono che è stato un ampio range di sentimenti in merito al cambiamento a dare loro la spinta. Dicevano di essere fuori dalla politica, con la gente comune, una retorica che è possibile ritrovare in figure più centriste come Macron in Francia. Quindi non era un voto puramente anti-immigrati.

Il leader dei Veri Finlandesi dell’epoca, Timo Soini, sapeva che questa combinazione stava funzionando per loro. Non è mai intevenuto sulle questioni che riguardavano la xenofobia. È stato in silenzio e ha lasciato che fossero gli elementi più radicali a definire l’agenda sull’immigrazione del partito. Questa è stata una strategia di successo che li ha portati al governo. Ma una volta al potere hanno appoggiato misure che hanno davvero colpito le persone con un reddito basso. Hanno anche scoperto, nonostante siano riusciti a cambiare le politiche migratorie e dell’accoglienza finlandesi, che non soddisfacevano i loro sostenitori radicalmente anti-immigrati. Quindi hanno perso metà del gradimento nei sondaggi durante il primo anno al governo.

Alcune persone mi chiedono, “Ma questo non dimostra che per sconfiggere la destra populista bisogna farla andare al governo?”. Sfortunatamente, però, hanno causato un sacco di danni. Sono riusciti a polarizzare la società finlandese. La loro retorica anti-immigrati ha indirizzato la diffusa insicurezza economica contro gli immigrati. Poi le loro politiche una volta al governo hanno fatto del male a un sacco di persone, soprattutto a quelle marginalizzate. […]

Ma è importante che abbiano mostrato il loro vero volto sulle politiche sociali ed economiche. […] D’ora in poi possiamo indicare i Veri Finlandesi e dire che sappiamo a cosa è interessata veramente la destra populista. […]

Come ha risposto l’Alleanza di Sinistra alla destra populista e alla sua influenza sulla politica finlandese?

È chiaro come parte dei loro voti provengano da aree dove un tempo eravamo forti noi, in particolar modo dai lavoratori più anziani fuori dalle grandi città. Ciò è stato favorito dalla narrazione dei media, che dicevano che eravamo il partito delle élite urbane. Ma nelle elezioni municipali di quest’anno i nostri risultati migliori li abbiamo avuti fuori dalle grandi aree urbane. La ragione del nostro successo è stata la relazione più stretta che abbiamo costruito con i sindacati. […]

Ma ci sono state anche delle difficoltà. La nostra base è divisa fra elettori di sinistra più conservatori, che si trovano nelle zone più industriali e nelle campagne, ed elettori più liberali nelle grandi città. I Veri Finlandesi hanno giocato su questa divisione.

Più riescono a intrappolarci in questo quadro di politiche identitarie, peggio sarà per noi. Più riusciamo a incentrare la lotta politica sulle questioni tradizionali della sinistra – le politiche per la casa, la sicurezza sociale, i salari, la povertà, i servizi pubblici, l’istruzione – più possibilità avremo di battere i Veri Finlandesi. Dobbiamo politicizzare questioni materiali.

Dobbiamo anche guadagnare credibilità da utilizzare come strumento per il cambiamento. Le campagne politiche di successo degli ultimi anni sono state in grado di comunicare lo status di outsider, mettendosi dalla parte delle persone contro le élite. A sinistra, spesso abbiamo problemi a comunicare questo in maniera efficace. Ci posizioniamo in quel modo, ma poi finiamo per essere percepiti come simili ai partiti mainstream. A meno che non verremo visti come quelli che hanno più possibilità di portare un cambiamento e migliorare le vite delle persone, sarà difficile per noi avere un vantaggio. […]

Negli ultimi tempi, i maggiori leader europei di sinistra – Corbyn, Mélenchon, Iglesias – sono stati principalmente uomini. Com’è essere una donna alla guida di un partito di sinistra, soprattutto in un paese dove la destra porta avanti una battaglia culturale contro il femminismo?

Non è facile. Cerco di parlare il meno possibile di me stessa perché questo è ciò che vogliono. Vogliono che parli dell’essere una giovane donna. Provo a parlare delle politiche. Altrimenti, t’incastrano all’interno di quel frame dove parli dell’essere giovane e donna tutto il tempo, quando invece vuoi parlare delle proposte politiche del tuo partito e di quello che puoi fare per le persone. […] A essere sincera, avrai sempre un problema di credibilità. Diranno che non sei una rappresentante credibile dei tuoi elettori e della gente in generale. Quindi devi dimostrare loro di esserlo mostrando le informazioni che hai.

(foto: kotiliesi.fi)

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