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Viva il referendum, “Quién sabe?”

«Quién sabe?» chi lo sa, dice El Cruncho prima di ammazzare Bill Niño. Poi dà i soldi a uno del popolo che c’era lì e gli dice «non comprarte pan, compra dinamite» e scappa. Chi lo sa il referendum? Prima del voto e di qualsiasi commento, dico: viva il referendum. Ci fa una domanda spesso tecnica, è uno strumento di democrazia diretta e perciò fa una domanda tecnica a persone che non sanno, che tecnici non sono. Dobbiamo prenderci una laurea ogni volta che dobbiamo decidere? Oppure definire limiti tecnici alle cose di cui si può decidere, più stringenti di quelli già dati dalla Costituzione? O addirittura definire limiti a chi può decidere? No, al contrario. L’Europa tracima di populismo e da sinistra noi dobbiamo difendere il suffragio universale, per quanto possa essere duro, e difenderci dalla tentazione tecnocratica di credere le persone più o meno abili al voto.

Perché penso questo? A un certo punto della serie tv House of cards, Frank Underwood guarda in camera e dice: «democracy is so overrated», la democrazia è così sopravvalutata. Io ho guardato dentro la mia bolla di contatti e amicizie, fisiche e virtuali, e ho notato, dopo i recenti parti del suffragio universale, Brexit e Trump, un’insofferenza malcelata al voto per tutti. Insofferenza che nella mia bolla significa insofferenza da sinistra (forse guardarsi l’ombelico a volte serve). In generale, il dubbio sulla democrazia e sui suoi meccanismi è più che legittimo. Giorgio Napolitano – una vita nel Pci – ne ha esplicitati alcuni a seguito dell’elezione di Trump, collocandola «tra gli eventi più sconvolgenti (…) della storia del suffragio universale, che non è sempre stata una storia lineare e di avanzamento (…) delle nostre società (…); è stato qualche volta – l’esito di elezioni a suffragio universale – anche foriero di gravissime conseguenze negative per il mondo». Di certo è storicamente vero. Ma può divenire facile concludere: “no, davvero non possono votare tutti, un buon modo di discriminare chi può e chi non può ci dev’essere e va sicuramente trovato”.

Che la gente alle elezioni si lasci convincere da ciarlatani di qua e di là, lo sapevamo. Ma il problema del rapporto tra la democrazia e la presunta abilità al voto si scopre del tutto quando si parla di referendum. Lì infatti si decide di una specifica questione, lì si risponde a una domanda che in ogni caso ha un linguaggio tecnico, richiede competenze o ha implicazioni tecniche.
IL CASO BREXIT – Per primo c’è il caso della Brexit che ci ha agitato. Problema enorme e tecnico per chiunque. Un punto sembrava animare la discussione della mia bolla fisica e virtuale: gli anziani hanno votato pro-Leave, i giovani no. In realtà i giovani non ci sono proprio andati al voto, ma dall’analisi frettolosa presto si saltava alle conclusioni. George Chesterton, commentatore di Gq e del Guardian, ne ha scritta una proprio su Gq: «Dovremmo bandire i vecchi dal voto». In Italia Andrea Cominetti su La Stampa aveva descritto il risultato come: «una situazione quasi paradossale. Sono stati proprio i più anziani (…) a scegliere il futuro dei più giovani che, invece, avrebbero voluto (quasi tutti) rimanere nell’Unione Europea».

IL CASO TRIVELLE – Il secondo caso è nostrano: quello delle trivelle. Anche in quel caso si trattava di una questione spinosa, tecnica ma pur sempre politica. Circolavano numerosi pareri esperti, nessuno capace di dirci cosa fosse totalmente giusto. Approfonditi gli aspetti specialistici, si doveva decidere della durata delle concessioni metanifere, ritenere insomma se fosse più giusta l’una o l’altra scelta. Eppure circolava nella mia bolla lo scoramento, la domanda: è sensato che io decida – o che loro decidano – su cose tanto tecniche? Quién sabe?

IL REFERENDUM COSTITUZIONALE – Ora, anche il referendum costituzionale ha nel pacco prendere-o-lasciare domande molto diverse e anche in questo caso si tratta di problemi tecnici. Anche in questo caso, ci sono esperti per il Sì ed esperti per il No. La faccenda è però percepita come più politica e per fortuna nessuno, al momento, sembra mettere in discussione la capacità propria o altrui di esprimersi e di potere. Aspetteremo dopo i risultati. Nel frattempo però il problema viene a galla: perché pensiamo di essere competenti sul referendum costituzionale più che sulle trivelle? O se pensiamo che in entrambi i casi noi non siamo competenti o alcuni non sono competenti, chi allora è davvero competente? Quién sabe?

Facciamo una lista dei competenti allora. Come in quel video del gruppo satirico, Il Terzo Segreto di Satira, #nonpossonovotare: «…non possono votare quelli che fumano la sigaretta elettronica, quelli che hanno sempre la battuta pronta, quelli che usano inglesismi…». O immaginiamo di settorializzare il voto, a ciascuno il suo: io mi occupo di giurisprudenza e voterò al referendum costituzionale, io mi occupo di geologia e voterò al referendum sulle trivelle. No, la soluzione non sta qui. Il fatto è che oggi ci sono giurisprudenti per il Sì, giurisprudenti per il No, ieri geologi per il Sì, geologi per il No; quindi il punto è che queste questioni sono questioni tecniche ma sempre politiche.

La soluzione sta nel ridarci un’idea di mondo, un’ideologia, a cui contribuiscano competenze diverse e in cui si formi la consapevolezza della base. Oggi è un miraggio. Non cerchiamo però alibi alle nostre mancanze politiche, alla nostra incapacità di costruire nuovi discorsi pubblici che parlino al “popolo” (se ancora esiste) sfaccettato e frammentato, lasciandoci sedurre dalla tentazione di una competenza tecnica che sostituisca la scelta politica. Tentazione mossa da un’idea che è pur sempre politica e però tecnocratica del potere. La stessa idea che oggi allontana quel fantasma di “popolo” dall’Europa. Accade allora che questo fantasma, cioè chi crede (ancora ingenuamente?) al potere del proprio voto, ci rifila un’altra sberla a noi di sinistra. Quién sabe?, mette una x e un altro po’ di dinamite.

Chi è di sinistra ed è o si crede élite culturale faccia allora voto di umiltà. Proprio il 1 dicembre, ancora Napolitano – una storia nel Pci – ha detto: «Non esiste un mondo senza élite, sia pure nei termini giusti». Bene. Ma neppure un mondo senza base, sia pure nei termini giusti.

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