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25 aprile, circola una certa indifferenza. Intervista a Paolo Pezzino

L’indifferenza delle giovani generazioni verso le radici della nostra democrazia. La libertà come dato acquisito. Un’Europa smarrita alla ricerca di un rinnovato sistema valoriale. Ne parliamo con il prof. Paolo Pezzino, autorevole storico e accademico italiano. Per anni si è occupato delle indagini sulle stragi nazifasciste in Italia tra il 1943 e il 1945, anche come Consulente tecnico della Procura Militare di La Spezia e della Commissione parlamentare di inchiesta sulle cause di insabbiamento dei fascicoli relativi alle stragi. Attualmente è direttore scientifico dell’Atlante delle stragi naziste e fasciste (www.straginazifasciste.it). Dalla conversazione che abbiamo con lui in occasione del 71esimo anniversario della Liberazione dal Nazifascismo, emerge tutta la debolezza del legame che oggi le nostre società hanno con ciò che è alla base dell’Italia repubblicana e dell’idea di Europa unita.
Nel nostro Paese, Resistenza, Liberazione, Antifascismo sono, purtroppo, un patrimonio allo stesso tempo condiviso, diviso e ignorato. Il grande ideale di Spinelli, Rossi, Capitini di un continente senza frontiere è in crisi sotto la spinta di forze e movimenti populisti e xenofobi che soffiano sul fuoco della paura. Sostiene Pezzino:
Dobbiamo interrogarci sul decadimento della consapevolezza storica di quello che è successo. Contro l’indifferenza che circola e l’apologia restano fondamentali il ruolo della scuola e dei mezzi di comunicazione e non rinunciare a condurre una lotta politica, ideologica, culturale molto dura. Mentre l’Europa, pena la sua dissoluzione, deve rilanciare, a cominciare dai Paesi fondatori, un nuovo sistema valoriale”.

Nella foto: Prof. Paolo Pezzino 

Prof. Pezzino, fino a che punto il 25 Aprile, Resistenza e Liberazione sono davvero considerati patrimonio condiviso nella società italiana?

Per le istituzioni pubbliche il 25 aprile rappresenta una data fondamentale. Non sempre è stato così. Ricordo che a lungo Silvio Berlusconi, quando era presidente del Consiglio, rifiutò di partecipare alle celebrazioni. Ma ormai a livello di istituzioni pubbliche è una data assolutamente acquisita.
Per quanto riguarda l’opinione pubblica, la situazione è un po’ più complessa. Quello che circola è una certa indifferenza. Credo che il tema sia un decadimento della consapevolezza storica di quello che è successo, sul quale bisognerebbe interrogarci. Forse sono responsabili le scuole, dove quei momenti non vengono sufficientemente insegnati. Forse sono responsabili i mezzi di comunicazione di massa che se ne ricordano solo in occasione del 25 aprile. Sta di fatto che in molti delle giovani generazioni questa data significhi poco o niente.
C’è, poi, una parte di opinione pubblica, di mondo politico che è chiaramente nostalgica di quel periodo: la vicenda scandalosa del mausoleo a Graziani lo dimostra, così come lo dimostra il fatto che ci siano organizzazioni che si rifanno esplicitamente all’ideologia fascista. E su questo credo sia necessario una lotta politica, ideologica, culturale molto dura perché l’ignoranza può essere forse scusata anche se va comunque deprecata, ma l’esplicita apologia di quel regime va assolutamente condannata.

Ormai rimangono pochissimi testimoni diretti, soprattutto tra i partigiani combattenti. Come possiamo tramandare e attualizzare la memoria, senza svuotarla o perderla?

Bisogna passare dalla memoria alla storia. La scomparsa di quei testimoni è ormai pressoché completa. Per fortuna ce ne sono ancora e godono di ottima salute. Ma il tempo, insomma, scorre inesorabile. E’ un problema che viene affrontato anche su altre tematiche seppur connesse, come, ad esempio, i testimoni e sopravvissuti della Shoah. E’ vero che molte testimonianze sono ormai salvate su memorie e interviste. Ma è fondamentale che quegli anni vengano effettivamente studiati a scuola e che venga fatta informazione non solo in occasione del 25 aprile e del 27 gennaio. Altrimenti appaiono e appariranno fatti lontani di cui non si capisce perché tutti gli anni dovremmo ricordare.

Dunque c’è anche una scarsa percezione del legame tra la nostra democrazia e la lotta di liberazione e la Resistenza?

Diciamo che questo legame è ignorato. Dalle giovani generazioni la democrazia viene vista come qualcosa di acquisito definitivamente. Cosa che non è, perché le preoccupazioni per le cadute democratiche ci sono sempre anche se non provengono dall’ideologia fascista e nazista. Conoscerne le radici, però, può servire a essere più avvertiti rispetto ai pericoli che la democrazia sempre corre, se non altro di riduzione di spazi di democrazia. E può servire a comprender meglio l’importanza delle libertà che viviamo.

Ci sono ancora criminali nazisti condannati dalla giustizia italiana che sono liberi in Germania ed Austria. Il nostro governo e le nostre istituzioni cosa dovrebbero fare?

Guardi, ormai non c’è da fare praticamente più niente. Sono morti quasi tutti. La Germania si è sempre rifiutata non solo di estradarli ma anche di far scontare loro una pena in Germania comminata dai tribunali militari italiani. Non mi pare che il governo italiano abbia condotto una azione diplomatica decisa. Probabilmente ha preferito non muovere le acque per quieto vivere. Del resto, le relazioni con la Germania oggi sono molto complesse per altri motivi.

E l’incontro tra Gauck e Napolitano sembrava aver aperto una nuova fase? O è stato solo un momento mediatico?

Ero presente a Stazzema in quell’occasione. Fu un momento molto commovente, in cui però Gauck ribadì che come presidente della Repubblica non poteva che accettare quella che era l’indipendenza della magistratura tedesca. Ci fu un riconoscimento esplicito di responsabilità ma non si entrò nel merito della vicenda. E quindi ho l’impressione che la partita sia definitivamente persa.

Ampliando lo sguardo, tra muri, dimostrazioni di forza in piazza e nelle urne delle destre estreme vecchie e nuove, l’Europa unita, nata dal Manifesto di Ventotene, rischia di perdere la sua radice antifascista?

La situazione mi sembra preoccupante. Certo è che mai come oggi l’Europa sia alla ricerca di un sistema valoriale condiviso che possa orientare le istituzioni europee nell’affrontare sfide epocali. Perché è indubbio che i temi dei profughi e migranti siano temi esplosivi che andrebbero però affrontati con razionalità politica e con attenzione ai valori di solidarietà e di comprensione delle ragioni di milioni di persone spinte a cercare in Europa una vita migliore. E questo non sta avvenendo.

E i partiti socialisti e progressisti come si pongono di fronte a questa offensiva conservatrice e xenofoba? Sono completamente immersi in questa deriva e in questo smarrimento?

Attraversano molto difficoltà. Non possono fare a meno dei valori di solidarietà ma non possono nemmeno rischiare di essere ridotti elettoralmente all’insignificanza totale. Anche lì, forse, bisognerebbe riflettere maggiormente a livello europeo (dalla sinistra italiana ai laburisti inglesi) per provare a portare avanti politiche comuni.

Il livello di smarrimento è altissimo. E’, dunque, urgente rilanciare un sistema valoriale?

Assolutamente. Ma non mi sembra che i paesi fondatori, tra cui l’Italia e la Germania, mostrino di svolgere il ruolo guida che dovrebbero avere. Forse proprio da lì si dovrebbe partire, da un nuovo accordo per una nuova fase almeno tra i paesi che fondarono l’Europa. Non ci sono alternative, pena la dissoluzione di tutto quello che abbiamo costruito. E sinceramente un futuro, qualora questa dissoluzione si facesse concreta, di cui non so prevedere le conseguenze.

Nella foto di copertina: Ragazze in festa per la Liberazione di Firenze (da corriere.it)

Paolo Pezzino, storico e accademico italiano, docente emerito dell’Università di Pisa, è direttore scientifico dell’Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia 1943-1945 (www.straginazifasciste.it), promosso dall’Associazione nazionale partigiani d’Italia (Anpi) e dall’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia (Insmli). Consulente tecnico della Procura Militare di La Spezia, che ha indagato sulle stragi naziste, e della Commissione parlamentare di inchiesta sulle cause di insabbiamento dei fascicoli relativi alle stragi nazifasciste. Membro della Commissione storica italo-tedesca (composta da 5 membri tedeschi e 5 membri italiani) con il mandato di elaborare un’analisi critica della storia e dell’esperienza comune durante la seconda guerra mondiale, per contribuire alla creazione di una nuova cultura della memoria.

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