Pd

A trenta secondi dalla fine

Parafrasando la frase di una scena finale di un celeberrimo film, si potrebbe dire: anche il più cinico dei politici avrebbe un briciolo di buon senso. Ma io non ne ho, quindi non sono un politico.
Il film è “A trenta secondi dalla fine”, la frase avrebbero tranquillamente potuto recitarla tutti coloro che, a dispetto del dibattito di ieri in Direzione, hanno votato l’ordine del giorno del segretario umiliando il dibattito stesso e tutti coloro che vi avevano preso parte. Eppure sin dai primi interventi, tralasciando l’inutilmente lunga relazione di Renzi in cui l’unica cosa chiara è stata l’esaltazione dei mille giorni del suo governo senza la benché minima traccia di autocritica , si respirava un’aria che sembrava nuova. Sia minoranza (Cuperlo, Bersani, Rossi) che maggioranza (Delrio, Fassino, Orlando, lo stesso Orfini), ponevano tutti l’accento sul fatto che per poter contrastare efficacemente l’ondata di populismo reazionario che rischia di devastare non solo l’Europa ma anche l’Italia, occorrono risposte diverse, occorre un PD che sia capace di entrare di nuovo in sintonia con quei larghi strati di società che non solo ci hanno abbandonati, ma che vedono in noi la causa principale del proprio impoverimento, della mancanza di qualsiasi prospettiva, di un futuro. Occorre, insomma, un PD che valorizzi e renda di nuovo visibili e chiare le ragioni che hanno determinato la sua nascita.

Oggi, l’unica personalità che riesce ad emozionare, che denuncia in modo critico e serrato gli effetti perversi del capitalismo finanziario e della globalizzazione, non è politica ma religiosa: Papa Francesco. Nessun soggetto politico riesce a fare altrettanto. C’è chi interpreta i sentimenti di rabbia, chi offre presunta protezione dalle paure ed insicurezze che questa società sta producendo, ma nessuno offre una prospettiva politica che motivi ed induca a pensare ad un orizzonte diverso, che parli ai giovani del loro futuro. Non si può discettare di disuguaglianze e della necessità di affrontarle se l’orizzonte, appunto, è quello dell’accettazione della filosofia e dell’economia neoliberista.

Temi, si può intuire, immensi, fondamentali. Temi che per poter essere sviluppati necessitano di tempi e di luoghi adeguati: un congresso sicuramente o, non in alternativa ma propedeutico allo stesso, una seria Conferenza Programmatica. Ma, ribadisco, i tempi non sono una variabile indipendente ma fondamentale se si vuole un dibattito né sterile né autoreferenziale. Non, quindi, una “gazebata” o congressi locali a cui partecipano poche persone alla discussione ma con code lunghissime ai seggi (cit. Orlando). La maggioranza dei presenti ieri in direzione non ha evidentemente ritenuto che le premesse, da loro stessi riconosciute come prioritarie, dovessero coniugarsi con decisioni conseguenti. Una raro esempio di schizofrenia politica. Vedremo quale sarà la road map che l’Assemblea Nazionale indicherà ma intanto, ed inevitabilmente, la prospettiva di scissione si è fatta più seria anziché allontanarsi. Posto che nessuno compirà una tale scelta con leggerezza e superficialità, proviamo a ragionare su quale possa essere l’unica strada per scongiurarla e aprire una stagione nuova nel PD.

Nella foto: Enrico Rossi, il presidente della Toscana e candidato alla segreteria del Pd, ospite del programma di Radio Uno “Un giorno da pecora”, il giorno dopo la Direzione nazionale del Partito Democratico

Oltre a Renzi, la minoranza potrebbe schierare, ad oggi, tre suoi esponenti e cioè Enrico Rossi, Roberto Speranza e Michele Emiliano. Significativa anche la probabilità di una candidatura del Ministro Andrea Orlando. E’ evidente che una tale frammentazione ridurrebbe le possibilità di successo. Queste candidature, però, sono nate tutte sulla base di percorsi assolutamente diversi. La candidatura di Enrico Rossi è nata sulla base di una piattaforma politica che è, al di là delle considerazioni di merito, assolutamente chiara. Non nasce come pura e semplice opposizione a Renzi e al suo governo, ma dall’analisi delle dinamiche economiche, sociali e politiche che stanno caratterizzando il terzo millennio e sull’inadeguatezza non solo di Renzi ma della sinistra italiana e del socialismo europeo a trovare risposte efficaci. Risposte nuove che partono da valori inopinatamente rottamati e la cui rottamazione non è responsabilità esclusiva di Matteo Renzi. Vi è nell’analisi di Rossi, ad esempio, perfetta identità con quanto ha dichiarato Fassino circa l’idea e l’organizzazione di partito. Di fatto, ora tutti i candidati, oltre che la stragrande maggioranza dei dirigenti a prescindere dal proprio strano voto in direzione, concordano con quelle analisi e con le proposte.

Se c’è condivisione, il problema è capire chi ne possa essere il migliore interprete. Rossi ha sempre affermato che la sua candidatura era finalizzata alla guida del partito e che auspicava una rivisitazione dello Statuto che prevedesse con nettezza la separazione tra Segretario e candidato alla guida del governo. Distinzione tanto più necessaria in un sistema politico non più bipolare e che induce, quindi, necessariamente ad alleanze e a coalizioni di governo, auspicabilmente omogenee. Credo, allora, che la minoranza possa trovare una intesa alta, oltre che sui contenuti politici, su chi sia naturalmente predisposto a guidare il PD e chi potrebbe rappresentare al meglio quei contenuti in chiave governativa. Forse la sfida a Renzi e alla sua idea, legittima, di PD e di società, assumerebbe un altro sapore e avrebbe esiti non necessariamente scontati. Riflettiamoci bene, se vogliamo evitare di essere davvero a 30 secondi dalla fine.

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