Il risultato delle elezioni amministrative del 5 giugno rappresenta una tendenza in atto ed a poco servono i tentativi per ridimensionarne la portata. Il voto delle grandi città negli ultimi 20 anni ha sempre anticipato i movimenti della politica nazionale e rappresentato fenomeni che negli anni successivi avrebbero caratterizzato la politica nazionale.
Per l’ennesima volta – come democratici – siamo alle prese con milioni di abbandoni e con risultati percentuali che segnano un crollo in picchiata rispetto a soli 2 anni fa. In tutta Italia molti ottimi amministratori democratici che per cinque anni hanno governato contribuendo alla crescita dei loro Comuni, si sono ritrovati assai distanti dalla soglia del 50% necessaria per una rielezione al primo turno perché sono venuti i consensi dell’elettorato di centrosinistra.
A Roma in molti davano la partita persa in partenza, ma in pochi si aspettavano che il primato del Movimento 5 Stelle si sarebbe tradotto in oltre 450 mila voti e ben 10 punti di distacco. Una rimonta al ballottaggio del candidato democratico Roberto Giachetti – nonostante un profilo all’altezza del ruolo – è un’impresa impossibile: Virigina Raggi incasserà il consenso della destra e di buona parte dei delusi di sinistra. A Napoli il PD, vittima delle sue lacerazione e delle sue opacità, non è nemmeno arrivato al ballottaggio ed ha assunto una posizione pilatesca tra il candidato della destra – vicino a Cosentino – ed il sindaco di sinistra De Magistris. A Torino, acquisita la delusione per il deludente risultato di Fassino, si giocherà una delle partite più difficili. Il Sindaco uscente – che ha avuto il suo primo ruolo amministrativo a Torino 41 anni fa – è un amministratore competente ed esperto, ma appare stanco e rappresenta la continuità, mentre il Movimento 5 Stelle ha espresso una candidata appetibile anche per gli elettori più distanti dalle tradizionali posizioni di Grillo.
Il divario tra Pd e destra a Bologna e Trieste (a favore del Pd nel primo caso ed a favore della destra nel secondo) rende più probabile una conferma al ballottaggio dei candidati arrivati primi lo scorso 5 giugno. A Bologna, così come a Ravenna, si rileva una battuta di arresto del centrosinistra emiliano che nonostante sia stato in grado di comporre un’alleanza più larga del PD, conferma la perdita di consensi già vista con il crollo dell’affluenza alle regionali del 2014. Il dato di Trieste, da abbinare al risultato di Pordenone, segna invece una crisi del modello Serracchiani e mette in discussione la leadership della governatrice, forse troppo proiettata sulle scenario nazionale ed eccesivamente appiattita su Renzi. Infine Milano. Con due candidati che tra loro appaiono molto simili ed una destra compatta e motivata che potrebbe ribaltare il risultato del primo turno.
Nei comuni minori si é invece rilevata la crescita di liste civiche e la ripresa della destra che – anche sfruttando le divisioni del centrosinistra – hanno conquistato numerosi comuni.
Un PD isolato, che ha sposato una linea politica disorientante per il proprio elettorato e con un leader che ha poca tolleranza verso qualsiasi opinioni diversa. Una condizione pessima in cui ritrovarsi, visto che il sistema elettorale mette faccia a faccia due candidati e polarizza l’elettorato tra i “pro” ed i “contro” al principale Partito ed al Governo in carica.
Fino a pochi anni fa la campagna elettorale compresa tra il primo turno ed i ballottaggi veniva interamente giocata sulle alleanze e sugli apparentamenti e raramente, nelle urne del secondo turno, sono usciti risultati molto diversi dalla somma algebrica delle forze politiche che sceglievano di apparentarsi tra loro. Una polarizzazione tra destra e sinistra, giocata prevalentemente sull’affinità tra programmi elettorali.
In questi anni stiamo assistendo ad una dinamica molto diversa. La partecipazione al voto ed il livello di entusiasmo verso una proposta politica determinano esiti inattesi e spesso i candidati favoriti durante la campagna elettorale sono crollati a seguito dell’esito del primo turno, quando l’inatteso exploit di un competitor ha mutato l’umore dell’elettorato e determinato un rovesciamento del quadro politico. Inoltre va rilevato come il Partito Democratico abbia, nell’attivismo dei candidati al Consiglio Comunale giocato con la campagna del primo turno, un valore aggiunto che non é ripetibile quando in gioco – come avviene nei ballottaggi – ci sono solo i due candidati a sindaco.
Dopo l’esito del voto del 5 giugno risulta evidente di quanto il PD non abbia compreso l’esito elettorale di Parma del 2012, il primo voto in cui il Movimento 5 Stelle é arrivato ad un ballottaggio ed ha vinto. In quell’occasione il PD ha schierato un buon candidato per giocare la competizione elettorale con la destra sottovalutando la possibilità di trovarsi – al ballottaggio – in uno scenario completamente diverso. Vecchio contro nuovo, esperienza contro entusiasmo, governo contro opposizione. E in una sfida di questo tipo, dove si vince motivando un elettore in più della controparte, peseranno come macigni tutti gli abbandoni che come democratici non abbiamo fermato. Chiamare alle armi il popolo del centrosinistra nelle ultime due settimane potrebbe non essere sufficiente per una parte del nostro stesso elettorato.
A tre anni di distanza dall’ultimo congresso possiamo dire che il Partito in molte zone del paese ha ridotto al minimo la propria base, non discute nessuna delle grandi decisioni ed é diventato poco più di un comitato elettorale. Ed a poco serve ricordare che altre forze hanno forme meno democratiche per scegliere i propri candidati ed i propri organi dirigenti. Ed ugualmente a poco serve demonizzare la destra dopo averla scelta come alleato di Governo. Quando ci si candida a vincere senza rappresentare, l’esito rischia di essere devastante ed i partiti perdono la propria funzione primaria: quella di motivare le persone verso la cosa pubblica.
Di fronte a questo quadro abbiamo due strade. La prima: ritenere queste elezioni un incidente di percorso, diventare ancora più aggressivi nella campagna referendaria e affidarci mani e piedi al leader. Oppure possiamo chiedere un cambio di rotta, ritornare a lavorare per una coalizione di centro sinistra più larga ed abbandonare la sciagurata operazione di coinvolgimento di Alfano e Verdini. Vorrei dirlo ora, prima di acquisire i risultati dei ballottaggi che credo – nonostante l’impegno di tanti ottimi candidati del PD – rifletteranno in pieno le tendenze del primo turno.
Personalmente credo nella seconda strada e penso che si possa ricostruire un Ulivo delle origini, progressista ed alternativo alla destra. Plurale, capace di rinnovare il proprio linguaggio ed il proprio personale politico con trasparenza, onestà e partecipazione. Senza cerchi magici e senza gruppetti che a livello locale si auto-candidano ad ambasciatori del Capo di turno, di cui vorrebbero avere la stessa personalità e lo stesso successo.
Temo che questa strada non sarà seguita e che si insisterà sulla strada presa in questi due anni. L’esito sarà scontato: la totale scollatura con il nostro elettorato e la perdita – oltre al l’identità – del consenso necessario per competere per il governo del paese. Una sola avvertenza: un eventuale disastro non sarà imputato solo al leader, ma ad un’intera classe dirigente ed avrà conseguenze a tutti i livelli.
Chi ha ruoli politici ad amministrativi a locale ha una credibilità, ha un rapporto con il territorio e può invertire questa tendenza cercando di porsi alla testa di un nuovo processo, anziché seguirlo acriticamente. Proviamoci, o saremo travolti.