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Caporalato, lo schiavismo di casa nostra

Charles è un uomo che viene dal Ghana. Charles è uno dei tanti immigrati che vive in una borgata del Comune di CerignolaBorgo Tre Titoli – insieme ad altre centinaia di immigrati, clandestini e non. Charles ha seri problemi di circolazione vascolare che richiedono tempi di cura, e di riposo, lunghi. Il medico dell’ospedale, dove l’ho accompagnato per un controllo, gli ha raccomandato soprattutto questo: riposo. Ma Charles è un lavoratore “precario” della terra, tra un po’ inizia la raccolta del pomodoro e il suo “caporale” lo escluderebbe per sempre se non fosse immediatamente disponibile. Charles non può permettersi il lusso di riposare neanche per un giorno. Charles mi dice che si affiderà a Dio ma non potrà dire no al suo caporale, al suo attuale padrone della sua vita. Charles non sa che nella terra di Giuseppe Di Vittorio il caporalato era un po’ come il vaiolo nel campo della medicina, sembrava essere debellato. Invece è tornato con maggiore virulenza di prima.

Analizzare le cause che da un decennio almeno hanno generato forme di “nuovo caporalato” in gran parte del Sud del Paese ed in Puglia in particolare, sarebbe esercizio lungo ed impegnativo. Cause e concause (mutamenti sociali, economici ed antropologici: trasformazione dei braccianti in coltivatori diretti; gli effetti negativi di alcune forme di globalizzazione sul mercato dei prodotti agricoli; nanismo strutturale della stragrande maggioranza delle imprese agricole e la relativa difficoltà, se non impossibilità, di investire su tecnologie e produzioni innovative e il conseguente scarso potere contrattuale nei confronti delle aziende di commercializzazione e trasformazione; gli effetti dell’immigrazione di massa e spesso irregolare che pone in balia di “caporali” senza scrupoli decine di migliaia di donne e uomini. Il lavoro, quindi, come unica leva per abbattere i costi, con tutto il portato di diritti negati, sotto salario, evasione contributiva) che devono comunque essere affrontate e la soluzione al problema rappresentare una priorità per una qualsiasi forza politica che immagina un nuovo modello di società e quindi nuovi modelli di produzione e diritti per i protagonisti di tali processi.

Le nuove forme di caporalato che si sono affermate in vaste zone d’Italia, vanno oltre il pur inaccettabile sfruttamento: volgono verso forme di vero e proprio schiavismo. E’ un esercito di invisibili, costretti a vivere in condizioni a volte inumane a cui sino ad ora è stata dedicata scarsa attenzione, nonostante alcuni encomiabili sforzi legislativi a livello regionale. Riconoscersi quali eredi delle lotte di Giuseppe Di Vittorio, non basta più. Di Vittorio va declinato, non citato.

Bisogna avere il coraggio di denunciare che anche questo è un chiaro ed evidente segno della debolezza e dell’inadeguatezza del capitalismo che, lungi dal risolvere le contraddizioni sociali ed economiche che si vanno manifestando nel secolo in corso, provoca ed alimenta nuove ed intollerabili disuguaglianze.

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