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Caro Peppino, caro babbo, parliamone

E’ noto, perché più volte pubblicamente manifestato, il mio “debole” politico ed intellettuale nei confronti di Peppino Caldarola. Lo considero, oltre che un eccellente giornalista, uno degli intellettuali più raffinati della sinistra, con un pregio rispetto a molti altri: quando parla o scrive è estremamente chiaro. Uno di quelli, per intenderci, che non le manda a dire. E’ anche un grande anticipatore di temi. Già due anni fa ha posto con Enrico Rossi il tema, che solo oggi timidamente si affaccia nel dibattito politico complice il bicentenario della nascita di Karl Marx, di quali nuove risposte politiche dare alla storica rottura dell’equilibrio tra capitale e lavoro (Rivoluzione Socialista – Castelvecchi editore). E prima ancora dell’intervista di Carlo Calenda al Corriere della Sera, per l’esattezza il 28 maggio scorso, nella sua rubrica su “Lettera43.it” ha lanciato la proposta di un’alleanza costituzionale difronte al rischio di un avvitamento della democrazia e al concreto pericolo di fascismo risorgente in virtù delle forti venature e pulsioni antidemocratiche di Lega e 5 Stelle. Ritenendo necessario, quindi, che la sinistra dia segno di maturità politica, oltre che di responsabilità, e superi la guerra civile interna ad essa. E’ un appello che rivolge a tutti, da Renzi a LeU.

Un convinto sostenitore di questa proposta (senza se e senza ma, oserei dire) ce l’ho in casa: mio padre.
La cosa, ovviamente, non mi stupisce affatto, si sono formati, anche se in tempi diversi – Peppino ha molti meno anni – alla stessa scuola politica. Scuola, aggiungo, alla quale mi sono formato anch’io. Ma era già molto meno rigida, diciamo. E a quella scuola hanno appreso e fatto loro l’insegnamento di Togliatti che per sconfiggere il fascismo e per portare a casa la “Costituzione più bella del mondo”, si alleò con i monarchici dell’epoca e accettò che i Patti Lateranensi fossero costituzionalizzati (e il Vaticano, all’epoca, non era propriamente sulle posizioni di Giovanni XXIII o di Papa Francesco).
Peppino ritiene, e mio padre con lui, che potrebbero essere Gentiloni e Calenda i frontmen di questo Fronte Repubblicano. Il fuoco divampa, denunciano, e se non si ha tempo o voglia di ripassarsi la storia del movimento operaio del nostro Paese, si faccia almeno come i coraggiosi pompieri di New York.

Personalmente, vista l’assoluta gravità del momento, sono sostanzialmente d’accordo con la proposta.
Mi rendo conto che l’avverbio utilizzato può suonare ambiguo, per cui chiarisco subito: ho qualche dubbio e nessuna certezza, e vorrei discuterne proprio per fugarlo.
Partiamo da un dato che ritengo sia oggettivamente incontrovertibile.
Il 4 marzo, per la prima vola nella storia repubblicana, quasi l’80% dell’elettorato ha detto alla classe dirigente della sinistra, di tutta la sinistra ovunque collocata, andate fuori dalle scatole (eufemismo) voi, le vostre politiche, i vostri programmi (quelli chiari e in continuità con il passato del PD; quelli fumosi e poco coraggiosi di LeU)!
Mi chiedo e vi chiedo: perché un nuovo CLN – detto con serietà e rispetto – dovrebbe e potrebbe essere argine al populismo antidemocratico espresso da Lega e 5 Stelle? Cosa è avvenuto di sostanziale in questi ultimi 3 mesi che potrebbe far cambiare idea a quei nostri ex elettori che hanno votato per quelle forze politiche (attenzione, oltre a preoccuparci e analizzare i motivi che hanno portato tanta gente storicamente di sinistra a votare per i grillini, ricordiamoci di quella fetta altrettanto consistente del nostro ex elettorato storico che ha votato Lega: gli operai del nord)?

E ancora, questo nuovo Fronte, per essere credibile e attirare almeno una parte di elettorato ancora rintanata nel bosco, non dovrebbe proporsi con una classe dirigente, se non totalmente, almeno parzialmente rinnovata? E non dovrebbe individuare alcuni punti programmatici, tradotti in altrettante parole d’ordine, che siano il segno di una certa discontinuità con il recente passato e indichino un orizzonte concreto per il futuro?
Mi è chiaro, non sono così ingenuo, che usare la ruspa su un’intera classe dirigente non solo non è possibile ma sarebbe addirittura controproducente, ma temo che non basti solo il richiamo alla difesa della democrazia perché il 4 marzo quasi 23 milioni di italiani hanno ritenuto che questo pericolo non ci fosse o, peggio, era il male minore rispetto ai loro reali problemi e bisogni.

Scoraggianti, poi, le prime reazioni a sinistra alla proposta di Calenda.
Martina la vede positivamente, ma ritiene che non una lista unica che superi anche i simboli di partito dovrà essere, quanto piuttosto una larga coalizione (tradotto nella pratica del sistema elettorale vigente: gli altri portano anche pochi voti, il PD prenderà anche pochi parlamentari in più). Renzi non è contrario, ma è principalmente preoccupato del suo ruolo. Pare voglia giocare non più da centravanti ma da mediano. La personalità del soggetto mi porta a credere che non pensi ad un generoso portatore d’acqua come il mitico Giampiero Marini, quanto piuttosto ad un regista alla Falcao. Bersani, per dirla con una metafora a lui cara, vede anche qui la “mucca nel corriodio”, e in effetti c’è, ma non ha ancora chiara la via d’uscita. Per la mucca, intendo.
Nel frattempo gravano sempre sulla nostra testa e nella nostra coscienza, macigni enormi come il Jobs Act, la Buona Scuola, i bonus inutili, la decontribuzione che ha portato pochi posti di lavoro stabile ma profitti enormi, ecc.

Caro Peppino e caro Babbo, le vostre sono state generazioni meritorie. Ci hanno garantito progressivamente migliori condizioni materiali di vita insieme a diritti che hanno migliorato le nostre condizioni di lavoro e ci hanno restituito dignità.
Le generazioni successive, e mi limito sempre al perimetro della sinistra, sono quelle che hanno accettato supinamente, per non dire con convinzione, che – come ci ha ricordato proprio ieri il Prof. Luca Michelini su questa testata – non si parlasse più di capitalismo perché la parola, dopo Marx, non era solo più una analisi di un modo di produrre e di realizzare profitti, ma presupponeva anche una critica allo stesso ed è stata sostituita con la più rassicurante “economia di mercato” che crea anche disuguaglianze, ma alla fine garantisce sviluppo e affrancamento dalla povertà; il capitalista, il padrone, è diventato “datore di lavoro” operando non solo una violenza filologica ( il lavoro lo “danno” i lavoratori, l’altro lo offre) ma politica e culturale; le classi sociali liquefatte e sostituite dai “consumatori”.

E (anche) su tutto questo che, prima o poi bisognerà intervenire, provando a rovesciare la logica e cercando di affermare una egemonia diversa da quella ora imperante.
Non mi sfuggono certo la complessità e i tempi perché una rivoluzione di questo tipo possa non dico compiersi, ma avviarsi. E le elezioni, sia che si faccia un governo politico che tecnico, sono comunque dietro l’angolo.
E allora se “alleanza costituzionale” dovrà essere, e mi auguro lo sia, che lo sia letteralmente.
Cioè un’alleanza che oltre a rinnovare il più possibile e, ribadisco, per quanto possibile la sua classe dirigente assuma come programma politico la Parte I della Costituzione della Repubblica Italiana.
C’è in giro, senza doverselo inventare, qualcosa di più bello e credibile, di più socialista, di più attento ai valori della dottrina sociale della Chiesa, di più ambientalista, di più liberale della nostra Carta costituzionale?
Forse se si individuasse qualcuno (qualcuno, non tutti), altrettanto credibile; se qualcuno dimostrasse generosità e consapevolezza del gravissimo momento, potrebbe essere l’orizzonte giusto.
Voi che ne dite?

Foto in evidenza: Carlo Calenda e Paolo Gentiloni

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