“E gli occhi intorno cercano/quell’avvenire che avevano sognato/ma i sogni sono ancora sogni/e l’avvenire ormai quasi passato”. Questa strofa di “Un giorno dopo l’altro” di Luigi Tenco si adatta benissimo, come un abito su misura, a qualunque genuino militante di sinistra a prescindere dall’età e dal sesso. La data a cui si fa riferimento per indicare l’elettroencefalogramma piatto della sinistra è il 4 marzo scorso. Sbagliato, avevamo smesso di pensare, di ragionare e di innovarci molto tempo prima. Non solo abbiamo ritenuto che, venute meno (per fortuna) le esperienze del socialismo reale, il socialismo non solo fosse da relegare al secolo scorso e si dovessero abbracciare senza se e senza ma culture, prassi e politiche neoliberiste (magari temperandole, senza che nessuno, però, abbia mai saputo indicare come), ma era tempo di adeguarsi ad un’altra presunta verità assoluta dei nostri tempi: il leaderismo. E’ il leader che traccia il solco ed è il leader che lo difende, si potrebbe dire parafrasando il tristemente noto statista di Predappio.
Succede, quindi, che le fortune di un partito e/o movimento dipendano non dalla sua chiara identità, ma da ciò che il leader di turno propone. Con risultati, a volte, paradossali.
Mi spiego. Il prossimo (tanto, prima o poi si celebrerà) congresso del PD vede in campo più o meno autorevoli candidati ognuno portatore di una propria visione del partito e del suo ruolo.
Si sta ripetendo, sostanzialmente, lo schema dell’ultima assise dove, ad esempio, se qualcuno avesse avuto tempo e voglia di leggere le piattaforme programmatiche di Renzi e Orlando avrebbe tratto l’impressione che fossero due candidati alla leadership di due partiti diversi tanto profonde e oggettivamente inconciliabili le loro visioni e proposte rispetto ai temi più sensibili della società.
Se uno sostiene, ad esempio, che le battaglie per i diritti sociali sono roba del secolo scorso e la nuova frontiera è l’impegno per l’affermazione dei (sacrosanti) diritti civili, e l’altro invece critica la fretta nell’archiviare e rendere inoperosi diritti in materia del lavoro che non sono affatto alternativi a quelli civili, qualcuno è in grado di spiegarmi in quale modo il perdente potrà garantire “leale sostegno politico” al vincente senza fargli quotidianamente guerra?
Lo schema si sta riproponendo pari pari anche oggi. Cambiano gli interpreti ma il copione è sempre lo stesso.
Se poi dal PD volgiamo lo sguardo a LEU, peggio mi sento.
Peppino Caldarola proprio oggi su Lettera43.it gli dedica un ennesimo articolo spiegando che la sua morte (di LEU, dico) era già scritta. Condivido la sua analisi, ma vorrei aggiungere solo qualche altro elemento. La fine dell’esperienza “scissionista” è iniziata a Milano con “Fondamenta” nel maggio di due anni fa. Ci si era riuniti per un nuovo inizio, ma in realtà fu, appunto, l’inizio della fine.
E sì, perché anziché confrontarci e prendere a base del nuovo soggetto il programma frutto della fatica e del lavoro di Vincenzo Visco, il tutto si ridusse nell’attesa del terzo giorno, nell’arrivo di quello che qualcuno ritenne il nostro Messia: Giuliano Pisapia. Da lì a qualche mese fu chiaro che il Messia non solo non aveva un Verbo, ma quel poco che proponeva non era chiaro nemmeno a lui. In più era circondato da apostoli tanto riottosi, quanto ambiziosi e la sua leadership andò a farsi benedire.
Nel frattempo elezioni e soglie di sbarramento avevano cominciato a far perdere il sonno a più d’uno e quindi era necessario inventarsi una alleanza e, manco a dirlo, un nuovo leader.
Il combinato disposto composizione delle liste elettorali – Pietro Grasso sancì (prima del 4 marzo, ha ragione Caldarola) la morte nella culla di Leu.
L’ho detto e lo ripeto, avevamo in mano un ottimo soggetto e una altrettanto ottima sceneggiatura, ma regista ed interpreti si sono rivelati un disastro!
Ora si annuncia un altro giro di giostra. Sinistra Italiana con De Magistris e, forse, Rifondazione.
Art. 1 ci chiama a raccolta il 16 dicembre a Roma per dar vita ad una nuova forza ecologista e socialista. Una nuova forza ecologista e socialista l’avevano pensata tre anni fa lo stesso Caldarola ed Enrico Rossi. Chissà, forse con meno timidezza e meno riluttanza oggi si parlerebbe d’altro.
Io personalmente non credo che né il congresso del PD, né ciò che si muove alla sua sinistra riusciranno non solo ad invertire la rotta rispetto all’attuale situazione politica, ma a far vibrare l’elettroencefalogramma. Credo che le prossime elezioni europee saranno un disastro da un punto di vista elettorale e non ci saranno Fronti, Listoni o alleanze che tengano. E ciò mi preoccupa, molto. Dovremmo, quindi, prepararci a parafrasare Gramsci anziché Mussolini (che ci viene pure meglio): loro porteranno l’Europa alla rovina e toccherà a noi ricostruirla. Sì, ma come?
C’è una sola strada a mio avviso: una Costituente della Sinistra Europea che sappia dare a chiunque ancora si riconosca nel PSE e, quindi, nei valori del socialismo una identità, chiara, netta, comune.
E’ l’identità che la sinistra ha smarrito, e non la può dare il leader di turno. Definire con chiarezza orizzonti, rappresentanza e percorso. Il leader, in Italia come in qualsiasi altra parte del Vecchio Continente, sarà quello che meglio rappresenta la sintesi delle varie e legittime istanze che potranno divergere sulle strategie, mai sull’identità.
Suona troppo di Prima Repubblica?
Non è che buttare il bambino con l’acqua sporca sia necessariamente una virtù.
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Foto in evidenza: Fondamenta, iniziativa di Art.1 (Milano, maggio 2017)