Se anziché Nicola, si fosse candidato alla guida del PD il più noto Luca, probabilmente avrebbe commentato la sua clamorosa vittoria, e per certi aspetti inaspettata a livello numerico, in questo modo: “ Ora non mi rompete i cabasisi”. Perché al di là delle ecumeniche dichiarazioni dei tre candidati sull’esito del voto, una cosa è chiarissima e va detta con forza , e cioè che un milione e ottocentomila elettori, iscritti e simpatizzanti del centrosinistra hanno chiesto una netta discontinuità con il passato recente. L’autocritica sul voto del 4 marzo dell’anno scorso, che qualcuno ha voluto derubricare a brutta, vecchia e inutile prassi da comunisti nostalgici, l’hanno fatta loro e hanno chiaramente detto che o si cambia o si muore. O si torna a dare senso e anima alla parola “sinistra” o il governo gialloverde, con tutto il suo portato di politiche regressive sui temi sociali, politici ed economici, non sarà una breve parentesi.
Non è tempo del politicamente corretto o, quanto meno, non sento di doverlo esserlo io. E allora diciamo chiaramente che c’era una parte del PD, che ieri si è scoperta assolutamente minoritaria, che aveva due evidenti obiettivi: una scarsa affluenza ai gazebo e non far ottenere la maggioranza assoluta a Zingaretti, rimandando tutto all’Assemblea Nazionale. Entrambi gli obiettivi sono, alla luce dei numeri, miseramente falliti. Anzi, spero che proprio la forza dei numeri dia maggiore coraggio a Nicola Zingaretti e lo induca a delle scelte ancora più chiare circa il futuro del centrosinistra di cui il PD è certo parte rilevante, anche essenziale, ma non unica.
In un certo senso questo risultato può essere utile allo stesso Maurizio Martina. Certo, si aspettava molto di più da questa tornata di voto, sperava di confermare a livello percentuale quanto meno il risultato ottenuto nei circoli. E’ stato punito, ritengo, per un semplicissimo motivo. Non ha convinto non tanto la sua oggettiva ambiguità sull’esperienza politica e di governo del PD degli ultimi anni, quanto il fatto che di quella esperienza è stato uno dei protagonisti. Se ti poni come “rinnovatore” non ti si chiede di rinnegare tutto ciò che hai contribuito, da ministro e da dirigente di primo piano, a realizzare. E’ giusto riconoscere, e io e gli altri “scappati di casa” lo abbiamo sempre riconosciuto, che nel governo Renzi prima e Gentiloni poi, non vi erano solo ombre ma anche luci, e queste è sacrosanto rivendicarle. Ma devi chiaramente dire cosa salvi e cosa è opportuno, se non abrogare, rivedere. La speranza poi, diciamocelo, che Renzi e i suoi fedelissimi lo appoggiassero nella corsa alla segreteria, gli ha fatto commettere un altro imperdonabile errore: evitare una discussione seria e approfondita sulle cause delle sconfitte quando era segretario del partito. Perché quella del 4 marzo fu solo l’ultima di una lunga serie. Ora finalmente, affrancato da doveri di lealtà che si sono alla fine rivelati unilaterali, può tornare a fare quello che sa fare meglio: l’uomo di sinistra. Perché sono convinto che Martina, verso cui ho nutrito sempre rispetto e molta stima sia una risorsa preziosa e irrinunciabile per la sinistra. Non coltivi l’orticello della minoranza interna, collabori con intelligenza e passione a rifondarla la sinistra.
Per quanto riguarda Giachetti, ritengo che sostenesse le posizioni più chiare. Ne condividevo solo quelle sui diritti civili, ma gli riconosco chiarezza. Si è attardato, però, unicamente ad attaccare Zingaretti, quasi fosse solo quello il suo obiettivo, impedirgli l’elezione a segretario. Un altro che si è inutilmente immolato sull’altare del suo leader che, a questo punto, deve decidere seriamente cosa fare da grande. Dopo ieri è evidente che deve alzarsi dal divano e lasciar perdere i pop corn. Il ragazzo può essere umanamente antipatico, politicamente poco attrattivo per alcuni (per molti, a quanto pare), ma stupido non è. E’ un animale politico a tutto tondo, con tutta l’intelligenza personale e politica che ciò comporta. Preparare la sua personale rivincita sarebbe oltre che sciocco, inutile. Non ne trarrebbe alcun vantaggio personale e condannerebbe il PD ad una irreversibile marginalità. Tentare di condizionare Zingaretti contando sulla maggioranza dei gruppi parlamentari, sarebbe oltremodo rischioso. I gruppi parlamentari del PD, da diversi anni a questa parte, hanno dimostrato di subire irresistibilmente il fascino del vincitore di turno (Renzi sa, molti dei “suoi” parlamentari erano “bersaniani di ferro”). Ha una visione liberaldemocratica della società e del suo stesso partito. Una visione liberista dell’economia e delle questioni sociali. Queste visioni possono convivere all’interno di uno stesso partito? Credo che la storia, se ancora può insegnarci qualcosa, ha detto di no. Allora, anziché – e rubo ancora a Camilleri – amminchiarsi con ciò che dicono o fanno quelli che nel PD non ci sono più, si assuma la responsabilità di scelte coraggiose.
In ultimo, un appello e un invito a Zingaretti e a tutti gli amici e i compagni del PD, ovunque geograficamente essi siano. Sempre Luca, e non Nicola, avrebbe detto che il brand PD non vale più una minchia. Quanti Abruzzo o Sardegna ci vogliono ancora per convincersi? Personalmente, quando ho capito che la falce e martello e il PCI avevano una grande, grandissimo, valore sentimentale ma purtroppo destinati a scarso valore politico, a malincuore, con grande sofferenza, ho voltato pagina. La storia di quel Partito era oggettivamente un tantino più importante e gloriosa, eppure era giusto andare oltre. Credo sia giusto anche ora.
E ora non rompete i cabasisi
Se anziché Nicola, si fosse candidato alla guida del PD il più noto Luca, probabilmente avrebbe commentato la sua clamorosa vittoria, e per certi aspetti inaspettata a livello numerico, in questo modo: “ Ora non mi rompete i cabasisi”. Perché al di là delle ecumeniche dichiarazioni dei tre candidati sull’esito del voto, una cosa è chiarissima e va detta con forza , e cioè che un milione e ottocentomila elettori, iscritti e simpatizzanti del centrosinistra hanno chiesto una netta discontinuità con il passato recente. L’autocritica sul voto del 4 marzo dell’anno scorso, che qualcuno ha voluto derubricare a brutta, vecchia e inutile prassi da comunisti nostalgici, l’hanno fatta loro e hanno chiaramente detto che o si cambia o si muore. O si torna a dare senso e anima alla parola “sinistra” o il governo gialloverde, con tutto il suo portato di politiche regressive sui temi sociali, politici ed economici, non sarà una breve parentesi.
Non è tempo del politicamente corretto o, quanto meno, non sento di doverlo esserlo io. E allora diciamo chiaramente che c’era una parte del PD, che ieri si è scoperta assolutamente minoritaria, che aveva due evidenti obiettivi: una scarsa affluenza ai gazebo e non far ottenere la maggioranza assoluta a Zingaretti, rimandando tutto all’Assemblea Nazionale. Entrambi gli obiettivi sono, alla luce dei numeri, miseramente falliti. Anzi, spero che proprio la forza dei numeri dia maggiore coraggio a Nicola Zingaretti e lo induca a delle scelte ancora più chiare circa il futuro del centrosinistra di cui il PD è certo parte rilevante, anche essenziale, ma non unica.
In un certo senso questo risultato può essere utile allo stesso Maurizio Martina. Certo, si aspettava molto di più da questa tornata di voto, sperava di confermare a livello percentuale quanto meno il risultato ottenuto nei circoli. E’ stato punito, ritengo, per un semplicissimo motivo. Non ha convinto non tanto la sua oggettiva ambiguità sull’esperienza politica e di governo del PD degli ultimi anni, quanto il fatto che di quella esperienza è stato uno dei protagonisti. Se ti poni come “rinnovatore” non ti si chiede di rinnegare tutto ciò che hai contribuito, da ministro e da dirigente di primo piano, a realizzare. E’ giusto riconoscere, e io e gli altri “scappati di casa” lo abbiamo sempre riconosciuto, che nel governo Renzi prima e Gentiloni poi, non vi erano solo ombre ma anche luci, e queste è sacrosanto rivendicarle. Ma devi chiaramente dire cosa salvi e cosa è opportuno, se non abrogare, rivedere. La speranza poi, diciamocelo, che Renzi e i suoi fedelissimi lo appoggiassero nella corsa alla segreteria, gli ha fatto commettere un altro imperdonabile errore: evitare una discussione seria e approfondita sulle cause delle sconfitte quando era segretario del partito. Perché quella del 4 marzo fu solo l’ultima di una lunga serie. Ora finalmente, affrancato da doveri di lealtà che si sono alla fine rivelati unilaterali, può tornare a fare quello che sa fare meglio: l’uomo di sinistra. Perché sono convinto che Martina, verso cui ho nutrito sempre rispetto e molta stima sia una risorsa preziosa e irrinunciabile per la sinistra. Non coltivi l’orticello della minoranza interna, collabori con intelligenza e passione a rifondarla la sinistra.
Per quanto riguarda Giachetti, ritengo che sostenesse le posizioni più chiare. Ne condividevo solo quelle sui diritti civili, ma gli riconosco chiarezza. Si è attardato, però, unicamente ad attaccare Zingaretti, quasi fosse solo quello il suo obiettivo, impedirgli l’elezione a segretario. Un altro che si è inutilmente immolato sull’altare del suo leader che, a questo punto, deve decidere seriamente cosa fare da grande. Dopo ieri è evidente che deve alzarsi dal divano e lasciar perdere i pop corn. Il ragazzo può essere umanamente antipatico, politicamente poco attrattivo per alcuni (per molti, a quanto pare), ma stupido non è. E’ un animale politico a tutto tondo, con tutta l’intelligenza personale e politica che ciò comporta. Preparare la sua personale rivincita sarebbe oltre che sciocco, inutile. Non ne trarrebbe alcun vantaggio personale e condannerebbe il PD ad una irreversibile marginalità. Tentare di condizionare Zingaretti contando sulla maggioranza dei gruppi parlamentari, sarebbe oltremodo rischioso. I gruppi parlamentari del PD, da diversi anni a questa parte, hanno dimostrato di subire irresistibilmente il fascino del vincitore di turno (Renzi sa, molti dei “suoi” parlamentari erano “bersaniani di ferro”). Ha una visione liberaldemocratica della società e del suo stesso partito. Una visione liberista dell’economia e delle questioni sociali. Queste visioni possono convivere all’interno di uno stesso partito? Credo che la storia, se ancora può insegnarci qualcosa, ha detto di no. Allora, anziché – e rubo ancora a Camilleri – amminchiarsi con ciò che dicono o fanno quelli che nel PD non ci sono più, si assuma la responsabilità di scelte coraggiose.
In ultimo, un appello e un invito a Zingaretti e a tutti gli amici e i compagni del PD, ovunque geograficamente essi siano. Sempre Luca, e non Nicola, avrebbe detto che il brand PD non vale più una minchia. Quanti Abruzzo o Sardegna ci vogliono ancora per convincersi? Personalmente, quando ho capito che la falce e martello e il PCI avevano una grande, grandissimo, valore sentimentale ma purtroppo destinati a scarso valore politico, a malincuore, con grande sofferenza, ho voltato pagina. La storia di quel Partito era oggettivamente un tantino più importante e gloriosa, eppure era giusto andare oltre. Credo sia giusto anche ora.
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Foto in evidenza: Nicola e Luca Zingaretti
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Luigi Pizzolo
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