Il dopo 25 aprile dei giornali italiani: un vuoto a sinistra?
Quanto accaduto tra il 24 e il 25 aprile nella stampa italiana non è certamente un fatto di ordinaria amministrazione: in un solo gruppo editoriale, quello guidato dal giovane Elkann, c’ è stato un vasto cambiamento di direttori, in particolare per quanto riguarda due testate che hanno fatto la storia del giornalismo italiano: “La Stampa” e “la Repubblica“.
Cerchiamo di capire cosa è successo e cosa potrà accadere, guardando la scena e non immaginando ipotetici retroscena, e affidandoci il più possibile ai fatti e agli scritti dei protagonisti. Cominciamo da “Repubblica“: c’è un direttore, Carlo Verdelli, che ha ricevuto (lo dice il ministero degli Interni che lo ha messo sotto scorta) pesanti minacce anche di morte da gruppetti di fascisti. Naturalmente il giornale non fa mancare la sua convinta e pugnace solidarietà al direttore nei comunicati e nella titolazione. Eppure, mentre quei titoli campeggiano, sulle pagine del quotidiano arriva anche da parte dell’editore il “fine corsa” (licenziamento è una brutta parola) per il direttore sotto attacco. C’è un nesso tra le due cose? Probabilmente no. Ma non c’è neanche da parte di chi avrebbe dovuto una particolare attenzione al fatto che siamo alla vigilia del 25 aprile.
In fondo in un giornale liberaldemocratico una certa attenzione alle date ci vorrebbe. Ma pare che alle date si guardi sempre meno se è vero che anche il “Corriere della sera” nel giorno della festa della Liberazione, non gradita da fascisti e leghisti, ha voluto dedicare una pagina di intervista (sugli sviluppi politici) proprio a Matteo Salvini.
A sostituire Verdelli viene chiamato Maurizio Molinari che lascia così scoperto il ruolo di direttore de “La Stampa” a coprire il quale viene subito indicato Massimo Giannini che lascia così la vicedirezione di Repubblica. Tutto secondo le regole e anche secondo tradizione, visto che nel giornale di Largo Fochetti viene subito proclamato la sciopero. Il minimo sindacale, visti tempi e modi.
Naturalmente sulla Rete e non solo imperversa il retroscenismo e i riflettori guardano soprattutto all’arrivo al quotidiano fondato da Scalfari di Maurizio Molinari, descritto da Stefano Cingolani su “Il Foglio” come “atlantista” in politica estera e “centrista” in politica interna. Descrizione abbastanza calzante e appropriata forse un po’ schematica. E c’è anche da osservare che non sarà sempre facile fare l’atlantista ai tempi di Trump. Ma questo dipende dal presidente americano e non certo da Molinari.
Quanto alla linea di politica interna si vedrà. Difficile trarre lumi su essa dall’articolo di fondo del neodirettore, un po’ sovrabbondante di citazioni e senza alcun riferimento al suo predecessore: Kennedy, Dahrendorf, e naturalmente Eugenio Scalfari. E tocca proprio al Fondatore, spiegare nel suo consueto articolo domenicale garantire che il nuovo direttore non defletterà dalla tradizionale linea “liberalsocialista” del giornale. Tradizione alla quale orgogliosamente Scalfari ha sempre detto di rifarsi non soltanto nella conduzione del giornale ma nel corso di un’intera vita.
E qui vorrei aprire una breve e dubbiosa parentesi. Io penso che Scalfari sia stato il più bravo direttore e organizzatore di giornali in Italia. La storia de “L’Espresso” e di “Repubblica” sono qui a dimostrarlo. Al tempo stesso la linea politica ed editoriale è sempre stata democratico-progressista, e collocata nella sinistra italiana. Su liberalsocialista, qualche subbio penso sia lecito, soprattutto sulla parte socialista: se è vero che Scalfari al riformismo del Psi di Craxi ha dedicato più riserve che aperture, dando spesso l’impressione di preferire una sorta di ipotetico asse tra De Mita (quest’ultimo peraltro assai guardingo in proposito) e Berlinguer. Il tutto concepito il più delle volte in contrapposizione con il Psi e non come allargamento dell’area liberalsocialista. Per quanto riguarda poi la tradizione della sinistra liberale, Scalfari e L’Espresso sono stati una cosa diversa da “Il Mondo” e da Mario Pannunzio. E per approfondire il tema c’ il bel libro di Massimo Teodori: “L’impegno politico e intellettuale di Mario Pannunzio“.
Per quanto riguarda poi il nuovo direttore de La Stampa io credo che il compito che Giannini ha dato a sè stesso sia un po’ più agevole di quello di Molinari. Almeno stando alle intenzioni palesate nel suo primo articolo di fondo dal titolo quanto mai esplicito: “Un giornale moderno e perbene“. Insomma, nel solco del giornale dell’avvocato Agnelli, la cui influenza era comunque assai più discreta di quella di altri. Aggiungerei che la forza di quel giornale “moderno e perbene” stava in un fatto: il fortissimo radicamento torinese e piemontese e l’altrettanta autorevolezza nella politica (interna) nazionale. Non so se questo sia davvero moderno, ma certamente è “perbene”.
Infine un interrogativo: quanto avvenuto in questi giorni apre un vuoto a sinistra nel panorama della stampa italiana? Probabilmente sì anche se non so quanto esso possa essere grande. Di certo avverto con grande malinconia e amarezza un piccolo vuoto che c’è da tempo in quel panorama: quello della mancanza dei giornali di partito. Erano giornali “perbene“.
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