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La sinistra che verrà

Pare proprio che ci siamo. L’appuntamento lanciato lo scorso maggio a Milano, al termine dei lavori di “Fondamenta”, la conferenza programmatica di Art. Uno – MDP, è previsto per il prossimo 1 luglio a Roma. Appuntamento importante?

Decisivo? Storico? Personalmente userei un altro aggettivo: impegnativo. Perché occorrerà generosità, onestà politica ed intellettuale e, soprattutto, impegno per costruire ciò che in Italia ed in Europa manca: una sinistra moderna di ispirazione socialista e aperta alle contaminazioni della cultura cattolica, ambientalista e alle forme sane di civismo, quello che raccoglie e cerca di dare risposte ai bisogni delle comunità locali, non quello che nasconde poderose operazioni di trasformismo e di riciclaggio di alcuni dinosauri della politica. Mi piacerebbe pensare che l’invito lanciato da Giuliano Pisapia a tutte le forze a sinistra del PD per la costruzione di una “casa comune”, non sia solo conseguenza dell’annunciata legge elettorale simil tedesca che il Parlamento si accingerebbe ad approvare, ma nasca dalla consapevole necessità di colmare proprio quel vuoto.

Sarà necessario, però, aggiungere un secondo fondamentale aggettivo: credibile. La priorità che dobbiamo soddisfare non è quella che la grande stampa e l’informazione nazionale tenta di dettarci, e cioè chi sarà l’eventuale leader, quale sarà il ruolo di D’Alema o quello di Bersani, se sarà replicato il meccanismo delle primarie, quali presunti veti interni e esterni potrebbero essere posti. E’ vitale, piuttosto, la necessità di darsi un programma di governo concreto, affascinante, realizzabile. Credibile, appunto.

Sarà pur vero che ci si dovrà rivolgere a quell’elettorato deluso dalle politiche del PD, a quello che ha per larga parte trasformato la propria rabbia in consenso per i 5 Stelle, ai giovani senza lavoro e senza prospettive e a tutti coloro, ovunque siano collocati, che ritengono che una società più giusta possa essere realizzata e non solo vagheggiata. Ma questa moltitudine di individui non la raggiungi ragionando sugli assetti che la prossima Alleanza dovrà darsi, ma su proposte di politica economica, di rilancio degli investimenti, su interventi di natura ambientale e di messa in sicurezza del territorio, su un grande piano per il lavoro e il welfare. Significa saper indicare con chiarezza, senza ambiguità ed equivoci, come e dove reperire le risorse per abbattere il debito e quelle necessarie per realizzare gli altri punti qualificanti del programma. Solo indicando un orizzonte non lontano e realisticamente raggiungibile, puoi sperare di modificare forze ed energie che saranno molto più vaste e consistenti della somma dei consensi che i sondaggi oggi attribuiscono ad ogni singola forza politica tra quelle interessate e disponibili a questo nuovo progetto, a questa nuova avventura.

Ho già detto e scritto, ma voglio ribadirlo con ancora più forza, che non si parte da zero. Le riflessioni che ci ha consegnato Enrico Rossi nel suo saggio e il documento elaborato da Vincenzo Visco per “Fondamenta” non solo possono, ma devono essere la base politico programmatica da cui partire. Certo non basta. E allora occorrerà riprendere (pratica nefastamente e presuntuosamente interrotta dall’attuale centrosinistra) il confronto con gli intellettuali, con i corpi sociali intermedi del lavoro e della produzione, con gli economisti non rassegnati alla supremazia del liberismo, con le associazioni, gli uomini e le donne impegnati nel volontariato e in particolar modo coloro che si dedicano all’accoglienza e all’integrazione dei migranti, con il mondo della scuola.

Occorrerà, inoltre, una nuova e diversa attenzione al Mezzogiorno. In un’area del Paese dove la disoccupazione giovanile è oltre il 50%, dove la sanità pubblica arranca e costringe ad un’ esodo continuo verso le regioni del centro nord per ottenere prestazioni sanitarie all’altezza, dove gli investimenti pubblici e privati sono al di sotto della già precaria media nazionale, non possiamo limitarci ad indicare solo nel fenomeno della criminalità organizzata, delle mafie, la causa del persistente mancato sviluppo.

Un giovane del sud, ad esempio, oggi ha di fronte a sé tre strade. L’incognita del “cammino della speranza” verso le aree più ricche del nord, esprimere la sua disperazione e rabbia con il non voto o indirizzando il proprio consenso verso forme inconcludenti di populismo, affidare la sua dignità, quindi il suo voto, al potente di turno per sperare di “svoltare”. Questi giovani non c’è possibilità di attrarli se non indichi loro una prospettiva concreta e credibile.

Pensateci, Corbyn era dileggiato solo fino a qualche giorno fa dai maggiori quotidiani italiani ed europei (per non parlare dei maggiori dirigenti del PD); il suo programma bollato come vecchio e che avrebbe agevolato la vittoria dei conservatori inglesi. Ebbene, il buon Jeremy ora “rischia” di vincere le prossime elezioni, con un programma che raccoglie il meglio delle idee e dei contenuti che la sinistra post-blairiana ha saputo elaborare e proporre. Bisogna avere altrettanto coraggio, bisogna essere altrettanto visionari. La nuova classe dirigente, i nuovi leader saranno e dovranno essere coloro capaci di tanto pragmatismo visionario. Il treno partito da Milano è alla sua prima fermata: Roma. Buon viaggio a tutti noi.

Nella foto di copertina: Giuseppe Di Vittorio in un comizio del Primo Maggio

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