Barca_Migranti

La solitudine del buonista

Sì, parlo proprio a te, quello che l’orgia social della demenza collettiva ha appellato da anni col termine buonista.

Sei buonista perché pensi che il primo dovere di una nazione civile e progredita come l’Italia sia quello di accogliere le persone che – per fame o guerra, come se ci fosse una qualche differenza – fuggono da inferni inimmaginabili, vivono un viaggio che può ucciderli sotto il sole del deserto, in un campo di prigionia libico, o in mezzo al mare, e poi devono sentirsi appellati dal ministro della nostra Repubblica come crocieristi che vengono qui a fare la pacchia. Ti arrabbi, ti sembra impossibile vedere il tuo Paese ridotto così, in queste mani, guidato da queste menti, ma alla fine ti resta l’impotenza della solitudine.  Ti consoli al pensiero di essere accanto alle solitudini di tanti altri, che si indignano ma non sanno che fare per far sentire la propria voce. Una voce che sai essere giusta, non per una presunta superiorità intellettuale etica o morale, ma per semplice senso di umanità, perché vedi negli occhi neri dei fratelli che già sono qui una luce diversa, spenta, quasi come se si vergognassero per il fastidio che danno in un Paese scopertosi razzista, o che forse probabilmente razzista lo è sempre stato nelle sue viscere se per un meridionale è normale sentirsi nomare terrone da quasi 160 anni, appena varcato l’Arno.

I fan di questo governo tremendo, di questo infernale ministro pigliatutto, ribattono che non se ne può più, che la gente è esausta, che prima gli italiani, che indignatevi quando picchiano un carabiniere o stuprano una tua connazionale, e ti senti incapace di argomentare una lettura seria del fenomeno migratorio, non perché non ce l’hai, ma perché hai di fronte dei cani arrabbiati indottrinati da anni di paranoie a reti unificate che li hanno persuasi che il paradiso terrestre chiamato Italia sia stato deturpato dai negri. Non c’è più mafia disoccupazione evasione divario nord-sud morti sul lavoro, l’unica paura dell’italiano medio e mediocre è il negro.

Non esiste empatia per il dolore di una fetta di umanità che vaga su un barcone nel Mediterraneo, e la folla social si eccita davanti alla figura ombrata del ministro infernale che chiude i porti con un tweet, padrone dei nostri mari e della terra italica perché accompagnato al governo da idioti politici che gli stanno reggendo il gioco e aumentando il consenso a costo zero.

Ti senti colpevole per i tuoi figli e nipoti, ti senti colpevole perché questo è il tuo dannato Paese e loro vivono e vivranno dopo di te in questa fogna che gli stai consegnando, non sai che fare, incapace come sei di fottertene del prossimo e di pensare solo a te stesso e alla cerchia ristretta dei tuoi cari.

Vorresti uscire dalla tua bolla social e trovare compagni di strada per organizzare una qualche forma di resistenza politica, ma non trovi luoghi, partiti, sinistra, da nessuna parte. Ci siamo dissolti, evaporati, spenti. Continui a sperare in un domani che ti riscatti, che ti faccia ancora sognare un mondo più giusto in cui uno con la pelle di un altro colore non sia il nemico del povero ma il suo più stretto alleato in questa eterna lotta di classe vinta dai ricchi, che fanno sbranare tra loro gli ultimi e i penultimi e intanto continuano bellamente a ballare sulle loro debolezze.

I tuoi compagni ti dicono di resistere, ma tu hai voglia di cedere. Di non indignarti più, anche se la tua coscienza te lo chiede. Di non cercare di salvare l’anima del tuo Paese, perché vedi che un’anima non ce l’ha più, oppure è colorata di nero.

Resistere, o cedere.

Essere te stesso e soffrire per il tuo Paese. Oppure cambiare, radicalmente. Cambiare la tua coscienza. E, sostanzialmente, fottertene.

Puoi pensare di scegliere la seconda opzione, ma il fuoco dentro di te non si spegne. Continuerai a lottare, anche senza sapere come e chi ti sarà compagno. Anche se è troppo tardi e se la speranza è svanita.

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