Dunque, grazie al “colpo di mano” del Governo che ha imposto la “fiducia” (anche Ezio Mauro, che non è un facinoroso, lo ha definito così), il cosiddetto – con orribile definizione – “Rosatellum bis” è stato approvato dalla Camera. Perché il metodo adottato – che Gentiloni aveva in numerose occasioni sostenuto di non voler assolutamente percorrere, poi clamorosamente smentendosi (evidentemente in conseguenza di “pressioni” alle quali non ha saputo o voluto ribellarsi) – è stato così largamente deplorato?
Brevemente: intanto, il disegno di legge era di iniziativa parlamentare, quindi è del tutto irrituale che il Governo – che è, per definizione, titolare del “potere esecutivo” (quello di far eseguire le leggi) e non di quello “legislativo” (quello, appunto, di fare le leggi), come Montesquieu ha insegnato fin dal 1748 nello “Spirito delle leggi“, che è a tutt’oggi il fondamento della teoria politica della separazione dei poteri – (il Governo) improvvisamente si appropri di un disegno che è nato nel seno dell’Assemblea e forzi la discussione imponendo la fiducia, il che fa saltare tutti gli emendamenti proposti (facendosi beffe dell’art. 79, comma 10 del Regolamento della Camera, che sancisce che «per ogni articolo siano posti in votazione, di norma, almeno due emendamenti, indicati da ciascun Gruppo». Ettore Rosato, il primo firmatario del disegno di legge e Capogruppo del Pd alla Camera, insieme a molti altri (che ripetono a filastrocca, come siamo abituati a vedere), ha bellamente sostenuto che “era obbligatorio” fare così, perché altrimenti i “franchi tiratori” non avrebbero fatto passare il provvedimento e l’Italia sarebbe rimasta senza una legge elettorale (il che è falso di per sé; e poi, non è detto che non fosse possibile proporre una diversa legge).
Oh bella! Anzitutto, suona contradditorio da un lato sostenere (rivendicandolo, anzi, come merito) che quella legge fosse condivisa da una “larga maggioranza” della Camera, e poi dire che per evitare che essa fosse bocciata dai franchi tiratori (o “traditori“) era inevitabile imporre il voto di fiducia: delle due l’una, la “larga maggioranza” a favore o c’è o non c’è. Ma poi: il voto favorevole o contrario ad una legge non è l’espressione pura della libertà di giudizio e di scelta dei parlamentari (che, ricordiamo, non hanno “vincolo di mandato“), e quindi esso deve non essere coartato da misure furbesche, per quanto “regolamentari” (nel senso che non sono vietate dai Regolamenti: e già questo non è vero, come si è richiamato)? Metodo, perciò, e per forti ragioni di principio, assolutamente da bocciare (come è stato fatto largamente, da osservatori e cittadini di ogni parte politica).
Nel merito: con un’unica scheda si voterà sia per il Collegio uninominale (un solo eletto per ogni Collegio: ogni candidato quindi è alternativo a tutti gli altri), quindi per la quota “maggioritaria“, sia per la parte “proporzionale“. E’ quindi impossibile il “voto disgiunto“, che consente di votare un candidato al maggioritario anche non appartenente allo schieramento al quale l’elettore assegna il proprio voto proporzionale (esempio: nelle Comunali di Roma molti votarono per Virginia Raggi sindaco ma dando il voto di lista, in modo “disgiunto”, non al M5S ma ad un’altra lista). Inoltre: ciascun candidato maggioritario è sostenuto da una serie di liste, e votando per lui si assegna un consenso, pro-quota, a tutte quelle liste: ergo, è possibile ed anzi probabile che il voto espresso dall’elettore a favore di un certo candidato vada a finire, pro-quota, anche a liste alle quali l’elettore non darebbe mai il proprio consenso.
Ancora: una volta scelto il candidato uninominale, come si è detto, non si può esprimere il voto proporzionale, poiché la scheda elettorale è una sola, per una lista che non sia sostenitrice di quel candidato; la lista proporzionale sarà “corta“, cioè composta da pochi candidati, che saranno scelti (“nominati“) dai capi dei partiti e senza che l’elettore possa decidere a quale di loro dare preferenza. In altri termini, se la lista XY ottiene in un certo Collegio un numero di voti che le dà diritto a due eletti, gli eletti saranno necessariamente il primo ed il secondo della lista, non può essere diversamente (la lista è “bloccata” dall’alto verso il basso). Si dice: ma se l’elettore non apprezza uno dei candidati può non votare per lui. Ma questo è possibile solo non assegnando il proprio voto all’intera lista, e con ciò viene limitata la piena espressione del consenso dell’elettore, che può voler dare il proprio voto ad una certa lista e non ad un’altra, e perciò è costretto a mandare in Parlamento coloro che sono stati “nominati” dai capi dei partiti e nell’ordine di preferenza imposto dai capi dei partiti e non secondo la sua libera espressione. Altrimenti, quell’elettore deve o non andare al voto, oppure votare scheda bianca o nulla: bella libertà di voto, non è vero?
Può piacere una legge siffatta? Pare proprio difficile: il solco fra politica e cittadini ne verrà allargato ancora di più, e la democrazia andrà ancora di più in sofferenza. E’ questo il gioco mortale che viene irresponsabilmente giocato.
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Nella foto di copertina: Fac simile della nuova scheda elettorale (parte interna) per la elezione della Camera dei Deputati
Le storture di merito e di metodo del ‘Rosatellum bis’
Dunque, grazie al “colpo di mano” del Governo che ha imposto la “fiducia” (anche Ezio Mauro, che non è un facinoroso, lo ha definito così), il cosiddetto – con orribile definizione – “Rosatellum bis” è stato approvato dalla Camera. Perché il metodo adottato – che Gentiloni aveva in numerose occasioni sostenuto di non voler assolutamente percorrere, poi clamorosamente smentendosi (evidentemente in conseguenza di “pressioni” alle quali non ha saputo o voluto ribellarsi) – è stato così largamente deplorato?
Brevemente: intanto, il disegno di legge era di iniziativa parlamentare, quindi è del tutto irrituale che il Governo – che è, per definizione, titolare del “potere esecutivo” (quello di far eseguire le leggi) e non di quello “legislativo” (quello, appunto, di fare le leggi), come Montesquieu ha insegnato fin dal 1748 nello “Spirito delle leggi“, che è a tutt’oggi il fondamento della teoria politica della separazione dei poteri – (il Governo) improvvisamente si appropri di un disegno che è nato nel seno dell’Assemblea e forzi la discussione imponendo la fiducia, il che fa saltare tutti gli emendamenti proposti (facendosi beffe dell’art. 79, comma 10 del Regolamento della Camera, che sancisce che «per ogni articolo siano posti in votazione, di norma, almeno due emendamenti, indicati da ciascun Gruppo». Ettore Rosato, il primo firmatario del disegno di legge e Capogruppo del Pd alla Camera, insieme a molti altri (che ripetono a filastrocca, come siamo abituati a vedere), ha bellamente sostenuto che “era obbligatorio” fare così, perché altrimenti i “franchi tiratori” non avrebbero fatto passare il provvedimento e l’Italia sarebbe rimasta senza una legge elettorale (il che è falso di per sé; e poi, non è detto che non fosse possibile proporre una diversa legge).
Oh bella! Anzitutto, suona contradditorio da un lato sostenere (rivendicandolo, anzi, come merito) che quella legge fosse condivisa da una “larga maggioranza” della Camera, e poi dire che per evitare che essa fosse bocciata dai franchi tiratori (o “traditori“) era inevitabile imporre il voto di fiducia: delle due l’una, la “larga maggioranza” a favore o c’è o non c’è. Ma poi: il voto favorevole o contrario ad una legge non è l’espressione pura della libertà di giudizio e di scelta dei parlamentari (che, ricordiamo, non hanno “vincolo di mandato“), e quindi esso deve non essere coartato da misure furbesche, per quanto “regolamentari” (nel senso che non sono vietate dai Regolamenti: e già questo non è vero, come si è richiamato)? Metodo, perciò, e per forti ragioni di principio, assolutamente da bocciare (come è stato fatto largamente, da osservatori e cittadini di ogni parte politica).
Nel merito: con un’unica scheda si voterà sia per il Collegio uninominale (un solo eletto per ogni Collegio: ogni candidato quindi è alternativo a tutti gli altri), quindi per la quota “maggioritaria“, sia per la parte “proporzionale“. E’ quindi impossibile il “voto disgiunto“, che consente di votare un candidato al maggioritario anche non appartenente allo schieramento al quale l’elettore assegna il proprio voto proporzionale (esempio: nelle Comunali di Roma molti votarono per Virginia Raggi sindaco ma dando il voto di lista, in modo “disgiunto”, non al M5S ma ad un’altra lista). Inoltre: ciascun candidato maggioritario è sostenuto da una serie di liste, e votando per lui si assegna un consenso, pro-quota, a tutte quelle liste: ergo, è possibile ed anzi probabile che il voto espresso dall’elettore a favore di un certo candidato vada a finire, pro-quota, anche a liste alle quali l’elettore non darebbe mai il proprio consenso.
Ancora: una volta scelto il candidato uninominale, come si è detto, non si può esprimere il voto proporzionale, poiché la scheda elettorale è una sola, per una lista che non sia sostenitrice di quel candidato; la lista proporzionale sarà “corta“, cioè composta da pochi candidati, che saranno scelti (“nominati“) dai capi dei partiti e senza che l’elettore possa decidere a quale di loro dare preferenza. In altri termini, se la lista XY ottiene in un certo Collegio un numero di voti che le dà diritto a due eletti, gli eletti saranno necessariamente il primo ed il secondo della lista, non può essere diversamente (la lista è “bloccata” dall’alto verso il basso). Si dice: ma se l’elettore non apprezza uno dei candidati può non votare per lui. Ma questo è possibile solo non assegnando il proprio voto all’intera lista, e con ciò viene limitata la piena espressione del consenso dell’elettore, che può voler dare il proprio voto ad una certa lista e non ad un’altra, e perciò è costretto a mandare in Parlamento coloro che sono stati “nominati” dai capi dei partiti e nell’ordine di preferenza imposto dai capi dei partiti e non secondo la sua libera espressione. Altrimenti, quell’elettore deve o non andare al voto, oppure votare scheda bianca o nulla: bella libertà di voto, non è vero?
Può piacere una legge siffatta? Pare proprio difficile: il solco fra politica e cittadini ne verrà allargato ancora di più, e la democrazia andrà ancora di più in sofferenza. E’ questo il gioco mortale che viene irresponsabilmente giocato.
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Nella foto di copertina: Fac simile della nuova scheda elettorale (parte interna) per la elezione della Camera dei Deputati
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Franco Bianco
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