“Il punto è capire se condividiamo tutti l’analisi della fase storica, il giudizio sul renzismo e sul governo” (Arturo Scotto. Il Manifesto, 25 luglio 2017).
I UN’ANALISI CHE AIUTA
L’ultimo partito. 10 anni di Partito Democratico (Torino Giappichelli 2017) è sicuramente una lettura che aiuta a documentare nel fuoco della lotta, su che basi giungere a condividere o meno il punto in questione.
I suoi autori sono Paolo Natale, prof. presso l’università degli studi di Milano e Luciano M. Fasano, ricercatore presso la stessa università. Hanno collaborato alla ricerca Francesco Capuzzi, dottorando dell’università di Pavia e Nicola MartocchiaDiodati, dottorando presso la scuola Normale Superiore di Pisa (cfr. nota metodologica). L’equipe attraverso le vicende dell’ organizzazione e del confronto, durissimo, tra le leadership democratiche, tenta di individuare differenti tipi di partito che hanno fatto capolino nell’arco di vita del PD e, nello stesso tempo, registra e riconosce, en passant, il costituirsi di una identità multipla della sinistra. Ovviamente si possono mettere in discussione non pochi aspetti concettuali e non solo lessicali di questa trama e di questo riconoscimento. Come quando si definisce “di stampo etico” l’anima “tipicamente marxiana”; e invece “più democratico-riformista” l’anima “pragmatica” (p. 4) — la quale ultima utilizzando ”tutte le risorse possibili sul mercato politico” sposterebbe il partito dalla sua “originaria collocazione ideologica” verso un comportamento “razionale rispetto allo scopo” (p.17).
In effetti il libro non è certamente il risultato di osservatori imparziali o dissociati. Ha comunque il merito di analizzare in una prospettiva sociologica più che storico-sociale, non meramente di propaganda e di imbarbarimento della sfera pubblica, alcuni passaggi essenziali: snodi concreti che dalla segreteria di Veltroni portano all’attuale segreteria e, quindi, al renzismo e al governo Gentiloni. Un lavoro difficile, ma limpido, condotto su una specie di “piano inclinato” (per riprendere intenzionalmente l’immagine di Romano Prodi), che ugualmente può contribuire, per gli strumenti adottati, alla focalizzazione di “un confronto democratico e partecipato” con cui archiviare tradimenti, scissioni, frantumazioni e rendere chiaro, non solo alla “nostra gente”, “l’agenda programmatica” e lo stesso processo costituente di un nuovo soggetto politico a sinistra del PD (cfr Roberto Speranza, Il Manifesto cit))..
II A PROPOSITO DELL’IDENTITA’
Intanto, per stare al testo e seguire le tracce del tema che ci interessa, ecco cosa avviene dell’identità del soggetto nuovo all’interno dell’”ultimo partito” .
Al termine dello scritto menzionato si legge un passo decisivo: “L’elevato numero di leader ‘usati e gettati’ …Una successione di segretari … che si alternano ….ciascuno con il suo stile …stanno a indicare…..[l’] estrema difficoltà [del PD] a dotarsi di una identità stabile” (p.139. sott. mia np)
A questa conclusione severa gli autori pervengono sulla base del nerbo della ricerca, composto dalla comparazione di sei aree di indagine: consenso elettorale ed elettori; il voto locale; le primarie; i delegati nazionali; i parlamentari ; la direzione nazionale e la segreteria.
Tramite l’analisi di tali aree è rilevata la difficoltà del partito ad istituzionalizzarsi come soggetto unitario capace di delineare una cultura politica complessiva e indicare un insieme di referenti sociali e di valori da incorporare. Difficoltà che sembra esitare nell’”identità di tre partiti diversi” (140-141) . La prima identità individuata è quella costituita dal partito amalgama di Veltroni e Franceschini; la seconda è l’identità del partito “old-style” di Bersani ed Epifani; la terza è quella del partito pragmatico di Renzi e del gruppo dirigente che lo sostiene. La loro differenza “fondamentale” viene scorta nell’intreccio e nello snodo tra il partito-organizzazione e il partito-istituzione, tra il “partito dei membri” e il “partito degli eletti” (p. 131 e passim) .
III ELEMENTI DEL RENZISMO
Il “renzismo”, si sostiene, prende forma politica dentro il partito “tradizionale”, il partito massa modernizzato da Veltroni, con la scomposizione dello snodo partito/istituzione. Ha inizio col sottrarsi dello spregiudicato ex sindaco di Firenze “al controllo delle élite ex Ds ed ex Margherita” e cresce con il caratterizzarsi del partito–organizzazione come “costola del gruppo parlamentare”.
Si fa avanti con tale caratterizzazione una compagine di dirigenti politici in “stil nuovo”, con background professionali volti a rappresentare alcune costituency “classiche” del centro sinistra, interconnesse con “numerose sfaccettature che compongono la società” (p. 130) .
Si potenzia, soprattutto, col “renzismo”, nei molteplici gruppi che lo supportano, lo affiancano e gli si oppongono, un ricambio generazionale peculiare, che getta una luce anche sulle trasformazioni dell’identità all’ incrocio delle precedenti segreterie. Entra sulla scena, ora “una massiccia quota di nativi democratici senza esperienza partitica precedente”, (sott. mia) privi di quei condizionamenti ereditari del passato, post-comunista o post-democristiano, che avevano permesso “al vecchio gruppo dirigente di vivere sulla rendita dei rispettivi partiti di appartenenza”. Per entro il varco del renzismo, insomma, prende corpo, aldilà del personaggio, una pratica di emancipazione dall’identità “socialdemocratica” ed “etica”—storicamente determinate—e si afferma una condotta politica apprezzata dall’elettorato, più tipicamente laica, pragmatica, che non ripiega, per le questioni economiche e sociali sul passato novecentesco, i suoi interpreti e i suoi miti.
IV CONDIVIDERE E NON CONDIVIDERE
Con questo stile di narrazione, che si può variamente apprezzare e contestare, lo “sguardo” fanatico sulle leadership viene ripetutamente depotenziato. L’operare dei gruppi dirigenti, i loro successi e difetti sono contestualizzati, senza demonizzazioni, con i dati. I limiti dell’ Ulivo, nell’esperienza di governo e nella forma della sua composizione, vengono pianamente analizzati. La metodologia impiegata consente di misurare il consenso ottenuto dai vari tipi di segreterie del PD senza scandalismi, settarismi, propaganda. Nella sua consapevole prefazione, Michele Salvati sottolinea con ragionevolezza che “i compiti che Renzi ha indicato e non è stato in grado di assolvere stanno ancora tutti di fronte a noi”. Per il loro assolvimento, si potrebbe aggiungere, l’ “analisi del sangue” variamente invocata (Fratoianni, Paolucci) non rende più facile il ricambio generazionale, la costituzione di una leadership riconosciuta, il riproporsi di una lista unitaria e la formazione di un attuale “partito di massa”. Anzi, a questo fine, per una dialettica concreta fra stile pragmatico e old style potrebbe convenire, forse, uno stile Pisapia, (cfr. l’intervista a Massimiliano Smeriglio, Il Manifesto, Daniela Preziosi, 29/7/ 2017) .
Il lavoro si chiude sulla possibilità dello scacco del progetto di un campo di forze di centrosinistra: un pericolo visibile, che non ha niente a che fare con la “fatalità”, la “fortuna”, le “parentesi”, e che sembra incombere non solo sul PD.
L’identità di sinistra: Il punto
“Il punto è capire se condividiamo tutti l’analisi della fase storica, il giudizio sul renzismo e sul governo” (Arturo Scotto. Il Manifesto, 25 luglio 2017).
I UN’ANALISI CHE AIUTA
L’ultimo partito. 10 anni di Partito Democratico (Torino Giappichelli 2017) è sicuramente una lettura che aiuta a documentare nel fuoco della lotta, su che basi giungere a condividere o meno il punto in questione.
I suoi autori sono Paolo Natale, prof. presso l’università degli studi di Milano e Luciano M. Fasano, ricercatore presso la stessa università. Hanno collaborato alla ricerca Francesco Capuzzi, dottorando dell’università di Pavia e Nicola Martocchia Diodati, dottorando presso la scuola Normale Superiore di Pisa (cfr. nota metodologica). L’equipe attraverso le vicende dell’ organizzazione e del confronto, durissimo, tra le leadership democratiche, tenta di individuare differenti tipi di partito che hanno fatto capolino nell’arco di vita del PD e, nello stesso tempo, registra e riconosce, en passant, il costituirsi di una identità multipla della sinistra. Ovviamente si possono mettere in discussione non pochi aspetti concettuali e non solo lessicali di questa trama e di questo riconoscimento. Come quando si definisce “di stampo etico” l’anima “tipicamente marxiana”; e invece “più democratico-riformista” l’anima “pragmatica” (p. 4) — la quale ultima utilizzando ”tutte le risorse possibili sul mercato politico” sposterebbe il partito dalla sua “originaria collocazione ideologica” verso un comportamento “razionale rispetto allo scopo” (p.17).
In effetti il libro non è certamente il risultato di osservatori imparziali o dissociati. Ha comunque il merito di analizzare in una prospettiva sociologica più che storico-sociale, non meramente di propaganda e di imbarbarimento della sfera pubblica, alcuni passaggi essenziali: snodi concreti che dalla segreteria di Veltroni portano all’attuale segreteria e, quindi, al renzismo e al governo Gentiloni. Un lavoro difficile, ma limpido, condotto su una specie di “piano inclinato” (per riprendere intenzionalmente l’immagine di Romano Prodi), che ugualmente può contribuire, per gli strumenti adottati, alla focalizzazione di “un confronto democratico e partecipato” con cui archiviare tradimenti, scissioni, frantumazioni e rendere chiaro, non solo alla “nostra gente”, “l’agenda programmatica” e lo stesso processo costituente di un nuovo soggetto politico a sinistra del PD (cfr Roberto Speranza, Il Manifesto cit))..
II A PROPOSITO DELL’IDENTITA’
Intanto, per stare al testo e seguire le tracce del tema che ci interessa, ecco cosa avviene dell’identità del soggetto nuovo all’interno dell’”ultimo partito” .
Al termine dello scritto menzionato si legge un passo decisivo: “L’elevato numero di leader ‘usati e gettati’ …Una successione di segretari … che si alternano ….ciascuno con il suo stile …stanno a indicare…..[l’] estrema difficoltà [del PD] a dotarsi di una identità stabile” (p.139. sott. mia np)
A questa conclusione severa gli autori pervengono sulla base del nerbo della ricerca, composto dalla comparazione di sei aree di indagine: consenso elettorale ed elettori; il voto locale; le primarie; i delegati nazionali; i parlamentari ; la direzione nazionale e la segreteria.
Tramite l’analisi di tali aree è rilevata la difficoltà del partito ad istituzionalizzarsi come soggetto unitario capace di delineare una cultura politica complessiva e indicare un insieme di referenti sociali e di valori da incorporare. Difficoltà che sembra esitare nell’”identità di tre partiti diversi” (140-141) .
La prima identità individuata è quella costituita dal partito amalgama di Veltroni e Franceschini; la seconda è l’identità del partito “old-style” di Bersani ed Epifani; la terza è quella del partito pragmatico di Renzi e del gruppo dirigente che lo sostiene. La loro differenza “fondamentale” viene scorta nell’intreccio e nello snodo tra il partito-organizzazione e il partito-istituzione, tra il “partito dei membri” e il “partito degli eletti” (p. 131 e passim) .
III ELEMENTI DEL RENZISMO
Il “renzismo”, si sostiene, prende forma politica dentro il partito “tradizionale”, il partito massa modernizzato da Veltroni, con la scomposizione dello snodo partito/istituzione. Ha inizio col sottrarsi dello spregiudicato ex sindaco di Firenze “al controllo delle élite ex Ds ed ex Margherita” e cresce con il caratterizzarsi del partito–organizzazione come “costola del gruppo parlamentare”.
Si fa avanti con tale caratterizzazione una compagine di dirigenti politici in “stil nuovo”, con background professionali volti a rappresentare alcune costituency “classiche” del centro sinistra, interconnesse con “numerose sfaccettature che compongono la società” (p. 130) .
Si potenzia, soprattutto, col “renzismo”, nei molteplici gruppi che lo supportano, lo affiancano e gli si oppongono, un ricambio generazionale peculiare, che getta una luce anche sulle trasformazioni dell’identità all’ incrocio delle precedenti segreterie. Entra sulla scena, ora “una massiccia quota di nativi democratici senza esperienza partitica precedente”, (sott. mia) privi di quei condizionamenti ereditari del passato, post-comunista o post-democristiano, che avevano permesso “al vecchio gruppo dirigente di vivere sulla rendita dei rispettivi partiti di appartenenza”. Per entro il varco del renzismo, insomma, prende corpo, aldilà del personaggio, una pratica di emancipazione dall’identità “socialdemocratica” ed “etica”—storicamente determinate—e si afferma una condotta politica apprezzata dall’elettorato, più tipicamente laica, pragmatica, che non ripiega, per le questioni economiche e sociali sul passato novecentesco, i suoi interpreti e i suoi miti.
IV CONDIVIDERE E NON CONDIVIDERE
Con questo stile di narrazione, che si può variamente apprezzare e contestare, lo “sguardo” fanatico sulle leadership viene ripetutamente depotenziato. L’operare dei gruppi dirigenti, i loro successi e difetti sono contestualizzati, senza demonizzazioni, con i dati. I limiti dell’ Ulivo, nell’esperienza di governo e nella forma della sua composizione, vengono pianamente analizzati. La metodologia impiegata consente di misurare il consenso ottenuto dai vari tipi di segreterie del PD senza scandalismi, settarismi, propaganda. Nella sua consapevole prefazione, Michele Salvati sottolinea con ragionevolezza che “i compiti che Renzi ha indicato e non è stato in grado di assolvere stanno ancora tutti di fronte a noi”. Per il loro assolvimento, si potrebbe aggiungere, l’ “analisi del sangue” variamente invocata (Fratoianni, Paolucci) non rende più facile il ricambio generazionale, la costituzione di una leadership riconosciuta, il riproporsi di una lista unitaria e la formazione di un attuale “partito di massa”. Anzi, a questo fine, per una dialettica concreta fra stile pragmatico e old style potrebbe convenire, forse, uno stile Pisapia, (cfr. l’intervista a Massimiliano Smeriglio, Il Manifesto, Daniela Preziosi, 29/7/ 2017) .
Il lavoro si chiude sulla possibilità dello scacco del progetto di un campo di forze di centrosinistra: un pericolo visibile, che non ha niente a che fare con la “fatalità”, la “fortuna”, le “parentesi”, e che sembra incombere non solo sul PD.
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Nestore Pirillo
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