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L’occidente, l’utopia. A proposito dell’identità di sinistra

“A un certo punto della loro vita storica i gruppi sociali si staccano dai loro partiti tradizionali, cioè i partiti tradizionali in quella data forma organizzativa,… Quando queste crisi si verificano, la situazione immediata diventa delicata e pericolosa, perché il campo è aperto alle soluzioni di forza, all’attività di potenze oscure… Come si formano queste situazioni di contrasto tra rappresentanti e rappresentati,…? In ogni paese il processo è diverso, sebbene il contenuto sia lo stesso. E il contenuto è la crisi di egemonia della classe dirigente,… o crisi dello Stato nel suo complesso”.
(A. Gramsci, Noterelle sulla politica del Machiavelli)

Gli “innegabili limiti del disegno costituzionale in ordine ad una forma di governo parlamentare non compiutamente realizzata…sono… l’effetto del mancato accordo pieno alla Costituente tra le forze antifasciste sui fondamenti della democrazia”.
(R. Ruffilli, Il cittadino come arbitro, BolognaIl Mulino 1988).

Occidente senza utopie, l’agile testo con gli interventi, importanti, di Paolo Prodi e Massimo Cacciari , pubblicato presso Il Mulino (Bologna 2016), non è solo una operazione editoriale. Segnala autorevolmente con approcci transdisciplinari la crisi profonda dei gruppi dirigenti. Prodi individua gli snodi storici da cui la crisi ha origine, Cacciari individua la rottura che la crisi produce. Affrontata con diversi approcci e accenti dai due autori, la questione riguarda nei suoi “fondamenti”, l’identità “democratica”, di “sinistra”. Secolarizzazione e pensiero negativo, impolitico, utopia e profezia, rinviano ad un Novecento che non vuole passare, come ha egregiamente sottolineato il prof. Vincenzo Vitiello, presentando il libro a Caserta, davanti ad un folto pubblico e alla presenza del sindaco Carlo Marino e dello stesso Cacciari (per una documentazione sul tema sollevato da Vitiello, cfr G. De Rosa, La storia che non passa. Diario politico 1968-1989. Soveria Mannelli, Rubettino 1999). In effetti, facendo irruzione nella tragica Campania il volume sembra raggiungere un orizzonte di aspettative – proprie del meridione oggi – già documentato egregiamente qualche anno fa dal vescovo emerito di Caserta Mons. Raffaele Nogaro (V. R. Nogaro, O. La Rocca, Ero straniero e mi avete accolto. Il Vangelo a Caserta. Bari Laterza 2011). Occasionalmente, le ricerche di Prodi sulla profezia e l’ avvento della democrazia in occidente, innestata nel “dualismo” tra Politico e Sacro, dentro cui si sviluppano “diverse strade verso la modernità” (pp. 17. 19, 31), si connettono, come raccontano le cronache dei giornali, riprendendo le dichiarazioni del sindaco Marino e di Cacciari, con le iniziative di supplenza politica, promosse dall’Istituto Superiore di Scienze Religiose “S.Pietro”, diventato negli anni recenti, centro di formazione della coscienza civile e punto di riferimento per l’intero territorio regionale. L’istituto casertano (con una ispirazione in parte assimilabile a quella dell’Istituto di scienze religiose di Trento) ha aperto confronti con eminenti intellettuali, eredi degli “intellettuali nazionali” , non necessariamente solo di stampo sturziano e gramsciano. Emanuele Severino, Gianni Vattimo, Vincenzo Vitiello, Pietro Barcellona, Gerardo Marotta, Goffredo Fofi, lo stesso Cacciari, sono tra i nomi che hanno intercettano la “fuoriuscita” dal “dualismo istituzionale” di cui parla Prodi, e hanno esemplificano in un “altro presente”, la relazione “negativa” e del tutto “contemporanea” tra politico e sacro, tra chiesa e stato.

II – Storia e teologia 

E’ su questo sfondo, sicuramente d’avanguardia, non solo per le aspettative di una chiesa meridionale che in passato aveva assunto il compito, come voleva Luigi Sturzo, di superare ”la mentalità privatistica e regalistica del clero locale” e adoperarsi per un impegno civile del clero, (“non schiavo della roba che possiede, non superstizioso, non dipendente dalle case dei baroni”. Cfr, G. De Rosa Luigi Sturzo nella storia d’Italia, Roma Edizioni di Storia e Letteratura 1973), che Cacciari, elaborando alcune premesse, esposte anni fa su una rivista anch’essa “meridionale”: Il Centauro, giunge alla proposta di comprendere la storia in una prospettiva teologica, appropriata, capace di non perdere il riferimento alla trascendenza-totalmente smarrita e mondanizzata nella dialettica storicistica teoria-prassi (p. 129).
A questo fine, l’autore oppone il paradigma del socialismo utopico a quello “scientifico” marxiano, in base alle fonti di tre fratelli nemici, Bloch, Lukacs e Benjamin; con l’aiuto di uno dei più grandi teologi degli anni ’30, H. U. Balthasar, getta Marx, “ nel mezzo delle apocalissi del pensiero contemporaneo” (pag 104-105, 133 n.); e mimando il volgare interrogativo del celebre opuscolo di Lenin, si chiede in latino che fare, “quid tun”, con un felice riferimento a Leon Battista Alberti.
La proposta, riassunta nelle ultime pagine, suppone una valutazione dell’utopia per l’appunto negativa e certamente molto lontana dalle aspettative “democratico-consiliari”, dialettiche, della rivoluzione del ’17, ricordata di recente da un altro grandissimo storico italiano ( Cfr L. Canfora, 1956. La crisi dell’utopia. Aristofane contro Platone Bari Laterza 2014, 2016). Per certi aspetti, la proposta di Cacciari, nel contesto in cui è stata discussa, corre il pericolo di fare da pendant all’aggregazione degli interessi su base clientelare, efficaciamente sostenuta dal Presidente della regione Campania. “Per cogliere l’evento del novum”, sostiene Cacciari, bisogna custodire “pure”, diversificate nella loro radicalità, politica, teologia e utopia. Da un lato bisogna “rendere pura l’attesa di Dio”, dall’altra bisogna mantenere nella sua autonomia il politico, incapace a reggere il dialogo con le immagini e le idee concernenti “redenzione, salvezza, verità”. Per il filosofo “la stagione del confronto creativo tra scienza e utopia si chiude col Sessantotto”. Oggi bisogna distinguere politica e regno di Dio, che la secolarizzazione della profezia unificava. “A noi, si legge a conclusione dell’articolo, spetta forse soltanto il compito di fare chiarezza su come esse si siano storicamente divise…contro ogni consolante compromesso o nostalgia” (pp. 130).

III – Un passato che non passa

Una domanda legittima, che una volta chiuso il volume può sorgere spontanea nella mente di un lettore fortemente interessato, è se questo ”orizzonte” nuovo può fondare la ricerca e la costruzione di una identità che, anche a Caserta, non può tanto facilmente mettere in soffitta le aspettative ”archeologiche“ ma comunque vicine, nel tempo, agli autori citati da Cacciari, ricorrenti nei testi meridionalistici (già globalizzati nell’italianistica europea e americana) di Cristo si è fermato a Eboli, di Fontamara, di Morte e pianto rituale, fino a Mistero napoletano. Possono oggi Bloch, Benjamin e Lukacs, applicati a questo contesto, veramente riorientare, nei processi di globalizzazione, le aspettative di redenzione sociale, intimamente proprie della “questione meridionale”? Può la frattura tra utopia e politica veramente incentivare un allargamento della “cittadinanza” intesa – come forse avrebbe voluto il prof Roberto Ruffilli – come aggiornamento delle arcaiche, aspettative di sinistra, socialiste e comuniste, inscritte non solo in quei testi ma nella storia viva del nostro Paese? Può il deus adveniens di una politica senza utopia, non più “idolatra”, produrre , invece che forme immediate di aggregazione populistica – erede in Campania dell’Uomo qualunque e dell’amministrazione del “comandanteLauro – una identità fondata sul lavoro cioè sul riscatto e sull’assunzione della propria soggettività? Può il “popolo di diavoli “ oggi, a Caserta, e in tutto il meridione, conquistare con l’”accelerazione”, con Carl Schmitt, Max Weber e la narrazione della teologia politica, spazi di vita meno “offesa”, più “garantita” (Cfr S. Cassese, Lezioni sul meridionalismo. Nord e Sud nella storia d’Italia Bologna, Il Mulino 2016. L. Pirillo, a cura di, Le due Napoli, scritti di Domenico Pizzuti Napoli, Giannini Editore 2011)?

 

Nella foto : Occidente senza utopie, di Massino Cacciarri e Paolo Prodi, editore Il Mulino

 IV – Mediazione

Forse mettendo insieme con il potere delll’immaginazione Ernst Bloch e Annamaria Ortese, emblematicamente “L’utopia concreta” e “Il mare non bagna Napoli”, possiamo raffigurarci nuovamente , questa vita e questa identità, strutturate dentro gli attuali, storici, rapporti sociali di forza. E’ palese che in tali rapporti si è riprodotto un “popolo di diavoli”, nuovamente separato e disperso tra “clientele”, malavita organizzata, classe media semi-scomparsa, frantumazione “operaia”, “nuovi poveri”, braccianti immigrati, giovani disoccupati, fuga dei cervelli, “plebe”, (Dispersione e frantumazione che appartengono alla storia del meridione, colte da Cacciari ma non da gran parte delle formazioni anch’esse frammentate della sinistra). Peraltro, l’ esperienza dei “nuovi poveri”, adombrata nelle iniziative del volontariato o nella ricomposizione che affiora disordinatamente nelle lotte sindacali, sembra richiedere, più che separazioni sostenute da una redistribuzione di bonus, una utopia crescente, incorporata ad una “analisi concreta della situazione concreta”, in grado di produrre, oggi, nuovi soggetti sociali (Cfr Una politica di massa. Antonio Gramsci e la rivoluzione della società, Roma,Carocci, 2015) . Manca una “mediazione”. Se i filosofi ritornano ad interpretare il mondo secondo il “libro sacro” invece di mediare il suo cambiamento, già in atto nelle “forze produttive”, l’utopia non potrà mai coincidere e accompagnarsi con il riconoscimento effettuale del dominio; cioè con la lettura del “libro del mondo”, con la quotidianità delle riforme istituzionali, per l’integrazione nel sociale (e non nella famiglia amorale ) dei diritti di genere, dei diritti umani, dei diritti dei lavoratori, immigrati e nativi, specializzati e non . “L’utopia concreta” e” Il mare non bagna Napoli” alludono a questa integrazione, ad una sorta di fantasia razionale che denuncia una dispersione sociale di massa e al tempo stesso rileva, anche per le plebi meridionali, la possibilità di essere soggetto. Separare l’utopia (kantianamente posta dal “basso” nelle domanda: che cosa posso sperare?) dalla prassi politica, dall’avvinghiarsi di rappresentante e rappresentato, oggi, rischia di intensificare la violenza nel sociale e collimare, nel meridione, con una rivoluzione “passiva”, secondo i caratteri di una teleologia risalente forse, prima che a Weber, Hegel o Giustino Fortunato, alle rappresentazioni “romantiche”, sentimentali e morali (Croce) della condizione delle masse.

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