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Perchè il contratto Di Maio-Salvini non basta a risolvere la crisi di governo

Può un patto tra i capi di due movimenti politici tradotto in una bozza di contratto (a sua volto sottoposto al parere dei rispettivi popoli) risolvere di colpo una crisi di governo? Certamente no. E tutto lascia intendere che nel corso delle sue consultazioni il presidente della repubblica Sergio Mattarella, con il consueto garbo istituzionale, lo abbia più volte spiegato ai suoi interlocutori del movimento Cinquestelle e della Lega. La crisi si risolve, o meglio si avvia a soluzione, soltanto quando le forze politiche che quel governo dovranno sostenere, sono in grado di mostrare i numeri di una possibile maggioranza parlamentare e soprattutto di indicare un nome (uno solo) al quale il capo dello Stato potrà affidare l’incarico. A quel punto l’incaricato avrà due interlocutori: il presidente della Repubblica al quale proporrà i nomi dei ministri che dovrà nominare e, successivamente (una volta fatto il governo) il Parlamento al quale sottoporrà il suo programma.

Oggi, dopo oltre due mesi di crisi, e nonostante i titanici sforzi di Mattarella per mantenere le precedure nell’alveo costituzionale, i due partiti usciti più forti dalle elezioni (i cinquestelle da soli, la Lega in quanto a guida di una coalizione) il nome non sono ancora riusciti a portarlo alla valutazione del capo dello Stato. In compenso hanno più volte chiesto tempo (prudentemente e generosamente accordato) per poter preparare una piattaforma programmatica e trovare un nome condiviso.
Sul primo punto il programma (quello che dovrebbe essere prerogativa prima del presidente incaricato e, poi, sottoposto alla fiducia del Parlamento) hanno interloquito tra loro i due partiti, arrivando alla stesura di una bozza di contratto. In grado, con i contenuti talvolta bizzarri, spesso ben oltre la Costituzione, di allarmare i mercati provocare interventi (anche fuori luogo) da parte di rappresentanti della Ue, ma non certo sufficienti a risolvere la crisi di governo.

Al di là dei discutibilissimi contenuti, nonostante i riferimenti non proprio pertinenti al modello tedesco, le cose più appropriate sul metodo del contratto scelto dai due capipartito, le ha dette Giovanni Maria Flick, già ministro della Giustizia e presidente emerito della Corte costituzionale. “Si fa – ha osservato – un contratto privatistico tra due persone fisiche che ha forza di legge solo tra le parti. Il tutto ha il sapore di una decostituzionalizzazione“. Difficile non condividere e altrettanto difficile non essere preoccupati dalla prospettiva di un governo decostituzionalizzato.

Insomma, al di là degli annunci al limite del trionfalismo, da parte di Di Maio e Salvini la soluzione della crisi resta incerta. E soprattutto manca il primo tassello dal quale partire: l’indicazione di un nome e uno solo da proporre a Mattarella per il conferimento dell’incarico. L’unico in grado, tra l’altro, di mettere un freno alla ridda di ipotesi, candidature, autocandidature, totoministri che in questi giorni hanno fatto di tutto per complicare ciò che era già complicato di suo.

Foto in evidenza: Matteo Salvini e Luigi Di Maio al tavolo per la definizione del programma Lega-Cinquestelle

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