Dopo 83 giorni di assordante silenzio, Liberi e Uguali ha finalmente convocato la propria Assemblea Nazionale, il 26 maggio scorso a Roma, per assumere finalmente decisioni concrete e indifferibili sul proprio futuro. Un milione e centomila cittadini hanno ritenuto alle scorse elezioni di darci fiducia e, per quanto pochi (pochissimi, forse), meritano comunque rispetto e sono creditori esigenti di risposte.
In verità, si è arrivati in ordine sparso. Art. 1 sembrerebbe sinceramente convinto ad accelerare i tempi per la costituzione di un Partito di chiara ispirazione socialista, con robuste venature verdi e aperto a tutte le contaminazioni positive presenti nella società. Possibile, la formazione di Pippo Civati, è restìa ad abbandonare il salotto del suo fondatore, luogo dove – vista la consistenza numerica – normalmente si svolgono sia congressi sia riunioni del gruppo dirigente (i partecipanti, per numero, coincidono). Sinistra Italiana un partito ce l’ha già, è gelosissimo delle proprie posizioni identitarie, della propria presunta purezza politica e non è che abbia una gran voglia di sciogliersi per aderire ad altro.
La relazione introduttiva di Pietro Grasso è sufficientemente dura circa gli innumerevoli errori che hanno caratterizzato la campagna elettorale, compresi i suoi. Meno netta nel prendere atto che LeU è morto nella culla e che non di sua evoluzione si dovrebbe parlare, ma di un nuovo percorso con programmi e gruppo dirigente nuovo e, finalmente, legittimato da un percorso democratico che deve coinvolgere chiunque guardi con interesse, o con curiosità, a questa prospettiva.
I numerosi interventi che si sono susseguiti, in maggioranza, hanno confermato l’impellenza di non perdere ulteriormente tempo ma sentito uno, sentiti tutti: i pericoli per il Paese dalla nascita di un Governo giallo-verde; la necessità di riconnettersi con tutti coloro che negli anni ci hanno abbandonato ritirandosi nel bosco o votando proprio per i giallo-verdi, ecc.
Questioni assolutamente serie e con cui c’è necessità di misurarsi seriamente. Ma in che modo?
E qui abbiamo assistito ad un florilegio di politicismo, di proposte incomprensibili, nonché di analisi un tantino preoccupanti.
Stefano Fassina, per dire, non pago di aver esaltato la figura del Prof. Savona in un’intervista al “Corriere” apparsa proprio la mattina del 26, ha voluto stupirci con effetti speciali, anzi specialissimi. E così ci ha spiegato che la colpa della deriva populista è da attribuirsi interamente a Giorgio Napolitano che anziché portare il Paese al voto nel 2011, impose Monti e il suo governo. Ma la vera chicca è l’invito dotarsi di un’identità “Sovranista Costituzionale”. Ho già scritto di non essere un raffinato giurista e ancor meno un raffinato politico, ma questo mi sembra un ossimoro giuridico e politico. E pur non essendo, a differenza di Fassina, un economista, ho come la percezione che le scelte macroeconomiche si decidano a Bruxelles, piuttosto che nelle singole capitali europee. Magari mi sbaglio. Come sicuramente mi sbaglio sul fatto che lo spread a oltre 500 punti non l’ha provocato Napolitano.
Prima era, comunque, intervenuto Nicola Fratoianni che con sufficiente chiarezza ha detto che il ritardo con cui si era arrivati alla convocazione dell’assemblea e il silenzio dei gruppi parlamentari di LeU erano dovuti a profonde divergenze all’interno degli stessi. Su due punti, sostanzialmente, pare vertano le divisioni: collocazione europea (famiglia socialista o “Tsipras”?) e rapporto con il PD. Su quest’ultimo punto, a dirla tutta, Sinistra Italiana si è portata autonomamente avanti con il lavoro e in città come Siena e, soprattutto, Pisa ha deciso che nessuna alleanza è possibile con il PD alle amministrative e, quindi, correranno con un proprio candidato. 5S e centrodestra sentitamente ringraziano.
Allearsi con il PD non è assolutamente obbligatorio, ma non lo è altrettanto essere alternativi ad esso a prescindere. Magari misurarsi su singoli temi, siano essi inerenti al governo della Nazione che a quello delle città o delle Regioni, potrebbe essere una strategia ispirata dal buon senso politico. In Europa, poi, si corre il serio rischio che le “famiglie di sinistra”, comunque caratterizzate, rischiano l’estinzione o, al meglio, l’assoluta irrilevanza. Non è il caso di porsi il problema di come allargare il campo progressista europeo su proposte condivise e alternative alle politiche neoliberiste che i neoliberisti europei, maggioranza in gran parte d’Europa e nello stesso Parlamento europeo, hanno sino ad oggi imposto? Lavorare, ad esempio, per levare di torno la candidatura di Moscovici, individuandone un’altra che unisca, potrebbe essere il primo passo.
Comunque, alla faccia delle critiche severe rivolte da più d’uno al PD durante lo svolgimento dell’Assemblea, abbiamo dimostrato di essere stati infettati dallo stesso virus: abbiamo scelto di non scegliere. Non occorre scorrere tutto il breve documento finale per capire il disastro che ci apprestiamo a partorire, basta la metà del primo rigo: “L’Assemblea di Liberi e Uguali assume l’orientamento di proseguire il percorso unitario …”. Non, quindi, l’esigenza, l’impellenza, l’urgenza, l’indifferibilità di proseguire il percorso unitario. No, l’orientamento. E chi ci dovrebbe orientare? Un organismo provvisorio nazionale e organismi provvisori a livello territoriale. Con quali criteri si determineranno questi organismi? Temo, anche perché altre indicazioni non ve ne sono, con gli stessi che hanno portato all’individuazione delle candidature e delle liste alle recenti elezioni. Si ripropone, cioè, lo stesso metodo che tutti dal palco dell’Hotel Marriot, Grasso per primo, hanno rinnegato e additato come una delle cause della sconfitta!
Andiamo avanti così, facciamoci del male, avrebbe chiosato Nanni Moretti.
La verità è che abbiamo a che fare con un gruppo autonominatosi dirigente, che coincide con il gruppo parlamentare, che non ha ancora capito una beneamata mazza di quello che sta succedendo nel Paese, di quanto la realtà sia sideralmente lontana dalle loro raffazzonate analisi.
Due esempi a mio avviso illuminanti per cercare di cogliere cosa avviene nella pancia del Paese.
Vasco Errani, nell’ultima assemblea nazionale di Art. 1, ha raccontato un episodio su cui pochi mi pare abbiano riflettuto. Durante la campagna elettorale, alcuni operai di un’azienda emiliana gli confessarono che, fatti due conti, la flat tax gli sarebbe convenuta. Difronte all’obiezione di Errani che in tal modo vi era il serio rischio che il sistema sanitario nazionale saltasse, la risposta è stata tanto semplice quanto disarmante: noi abbiamo il welfare aziendale.
In un reportage commissionatomi da Peppino Caldarola per Italianieuropei, ho intervistato nella mia città due giovanissimi ragazzi che hanno votato per la prima volta e hanno votato M5S.
E’ emerso che: a) la loro “coscienza politica” si è formata esclusivamente sul web e, in particolare, sui social; b) 5S e Lega erano gli unici che trasmettevano messaggi comprensibili; c) Jobs Act e art. 18 erano non solo argomenti sconosciuti ma poco interessanti. L’importante era trovare lavoro, tanto, una volta trovato, “se ti comporti bene, mica ti licenziano”.
Ecco, valutando il combinato disposto di ciò che hanno raccontato gli operai a Errani e i due ragazzi a chi scrive, si arriva inevitabilmente ad una drammatica conclusione: qui non si tratta di riconnetterci con un fantomatico popolo che non aspetta altro che LeU diventi partito e interpreti e garantisca i suoi bisogni. Il compito che ci attende è quello di andare a cercarli uno per uno, quelli nel bosco e quelli che ne sono usciti votando altri, e cercare di riconnetterli tra loro.
Dobbiamo, cioè, spiegare all’operaio emiliano che solidarietà e sussidiarietà sono concetti distinti e insegnargli di nuovo a privilegiare il primo. Spiegandogli perché dovrebbe convenire anche a lui. Riconnetterlo sentimentalmente e politicamente con il bracciante di Cerignola, che oggi è nero ed immigrato clandestinamente, e fargli condividere le stesse battaglie, le stesse necessità, le stesse ansie e aspirazioni. Capito di cosa stiamo parlando? Di una nuova epocale rivoluzione politica, economica e culturale che ci vede come quei pochi illuminati dell’800 alle prese con una massa di lavoratori sfruttati ed emarginati ma senza “coscienza di classe”, organizzazione e direzione politica. Ma gli strumenti non possono essere quelli del secolo scorso. Il “principe” gramsciano si è trasferito dalle sezioni al web. O si individuano proposte serie e dannatamente concrete, ma veicolate da parole d’ordine facili e seducenti, o nel bosco possiamo ritirarci pure noi. Prima che ci mandino altri definitivamente.
E, in questo senso, il documento di sabato scorso è un decisivo passo in avanti. Per essere confinati nel bosco, intendo.
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Foto in evidenza: L’Assemblea nazionale di Liberi e Uguali di sabato 26 maggio 2018